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Inattesi livelli di un PFAS nella schiuma antincendio

I ricercatori dell'UNSW: il PFOA ramificato potrebbe essere più diffuso nell'ambiente di quanto previsto
 |  Inquinamenti e disinquinamenti

Secondo il nuovo studio “Characterization of PFOA isomers from PFAS precursors and their reductive defluorination”, pubblicao su Water Research da un team di ricercatori australiani dell’University of New South Wales (UNSW), «Potrebbe esserci una significativa sottostima di uno specifico tipo di PFAS, una "sostanza chimica eterna" nell'ambiente».
I ricercatori dell'UNSW di Sydney hanno scoperto che l'acido perfluoroottanoico ramificato (PFOA) è più diffuso del previsto nella schiuma antincendio. L’International Agency for Research on Cancer classifica il PFOA è classificato come cancerogeno per l'uomo.
All’UNSW ricordano che «Storicamente, le schiume antincendio sono state composte da sostanze perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche, note collettivamente come PFAS, che sono state collegate a problemi ambientali e sanitari perché possono impiegare centinaia o addirittura migliaia di anni per decomporsi naturalmente. Si ritiene che tracce ridotte di PFAS siano ormai presenti in oltre il 99% della popolazione mondiale e vi sono crescenti preoccupazioni circa il livello di contaminazione delle risorse idriche, compresa l'acqua potabile».
Lo studio pubblicato su Water Research dal team guidato da Denis O'Carroll e Michael Manefield ha dimostrato che «Le concentrazioni di PFOA ramificato nella schiuma antincendio raddoppiano dopo un certo periodo di tempo nell'ambiente».
I ricercatori hanno condotto un total oxidisable precursor assay (TOPA), che simula il processo di ossidazione che aiuta a creare PFAS regolati in modo naturale nell'ambiente, ma a una velocità molto più rapida.
O'Carroll spiega che «Abbiamo preso la schiuma antincendio e l'abbiamo sottoposta a un test per imitare ciò che accadrebbe a quei composti chimici nell'ambiente. E abbiamo scoperto che questo PFOA ramificato era in realtà un prodotto importante di quel processo». Il PFOA esiste anche in forma lineare, ma la gente non ha realmente cercato o analizzato la quantità di PFOA ramificato. Ma nei nostri campioni abbiamo scoperto che dopo il TOPA circa il 50% era lineare e il 50% era ramificato«.
Recentemente, il governo laburista australiano ha proposto di aggiornare le linee guida per l'acqua potabile, suggerendo un livello accettabile di 200 nanogrammi per litro per il PFOA. Ma ad aprile l’Environmental Protection Agency Usa aveva fissato i suoi limiti di concentrazione per il PFOA nell'acqua potabile a soli 4 nanogrammi per litro.
Semprea ad aprile, lo studio “Underestimated burden of per- and polyfluoroalkyl substances in global surface waters and groundwaters” pubblicato su Nature Geoscience da un team di ricercatori dell’UNSW e dell’università dell’Oklahoma, ha valutato i livelli di contaminazione da PFAS nelle acque superficiali e sotterranee in tutto il mondo e ha scoperto che gran parte dell'acqua potabile superava i limiti di sicurezza per il consumo di PFAS.
Alcuni studi hanno collegato i PFAS a effetti negativi sulla salute, come basso peso alla nascita dei neonati, livelli più elevati di colesterolo, ridotta funzionalità renale, malattie della tiroide, alterazione dei livelli degli ormoni sessuali, ridotta risposta ai vaccini e tumori al fegato, ai reni e ai testicoli.
O'Carroll afferma che la ricerca dell'UNSW, che comprende anche il lavoro di Jun Sun, »Dimostra che sono necessari ulteriori studi per identificare correttamente i livelli del maggior numero possibile di sostanze chimiche potenzialmente pericolose. I PFAS sono in realtà un gruppo di circa 14.000 sostanze chimiche sintetiche, ma in Australia le autorità misurano, monitorano e forniscono consulenza solo su tre di esse. In questo studio possiamo vedere che il PFOA ramificato è probabilmente più pervasivo nell'ambiente di quanto attualmente previsto. Ma poi ce ne sono altri 14.000 che potremmo anche misurare. Quel che penso che questa ricerca dimostri, più in generale, è che dovremmo analizzare maggiormente alcuni di questi PFAS che sono là fuori e compilare un quadro più olistico per aiutare ad affrontare i problemi«.
Contemporaneamente, i ricercatori hanno lavorato allo sviluppo di nuovi catalizzatori in grado di scomporre le sostanze chimiche PFAS. Si tratta di una forma di defluorurazione riduttiva che utilizza un tipo di agente riducente chimico ecologico chiamato metalli zerovalenti (ZVM) in combinazione con vitamina B12 e suoi analoghi. I ricercatori australiani dicono che «E’ promettente il fatto che diverse sostanze chimiche ramificate del PFOA identificate nell'analisi della schiuma antincendio si siano degradate entro 10 giorni se trattate con zinco zerovalente e vitamina B12».
Uno degli autori del nuovo studio, Naresh Kumar, conclude: «Sappiamo già che il PFOA lineare è molto difficile da scomporre utilizzando i metodi tradizionali, ma con questo nuovo processo abbiamo dimostrato che il PFOA ramificato si degrada più facilmente utilizzando il nuovo processo da noi sviluppato. Quindi, se dimostriamo che il 50% delle sostanze chimiche PFAS sono in realtà PFOA ramificato, allora questo è potenzialmente positivo. Secondo alcuni modelli, il passaggio iniziale stimato nella defluorurazione riduttiva del PFOA richiederebbe 8 anni solo con lo zinco zerovalente, ma nei nostri test la maggior parte degli isomeri ramificati si è degradata entro 10 giorni utilizzando un sistema che includeva la vitamina B12. Ma è importante capire che non c'è un solo PFAS nella schiuma antincendio o in altre fonti come padelle antiaderenti, indumenti, cosmetici, insetticidi. Esiste una combinazione di fattori, ma la versione ramificata del PFOA si forma a partire dai precursori del PFAS attraverso le condizioni ambientali. E’ essenziale riconoscere che un’efficace bonifica dei PFAS richiederà delle combinazioni di trattamenti, poiché è improbabile che una singola tecnologia produca prodotti rispettosi dell’ambiente».

Umberto Mazzantini

Scrive per greenreport.it, dove si occupa soprattutto di biodiversità e politica internazionale, e collabora con La Nuova Ecologia ed ElbaReport. Considerato uno dei maggiori esperti dell’ambiente dell’Arcipelago Toscano, è un punto di riferimento per i media per quanto riguarda la natura e le vicende delle isole toscane. E’ responsabile nazionale Isole Minori di Legambiente e responsabile Mare di Legambiente Toscana. Ex sommozzatore professionista ed ex boscaiolo, ha più volte ricoperto la carica di consigliere e componente della giunta esecutiva del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano.