Il metano che dà una mano è quello che non emettiamo
La COP29 Unfccc in corso a Baku sarà anche l’occasione per fare il punto sull’accordo globale per la riduzione delle emissioni di metano dei Paesi firmatari del Global Methane Pledge, accordo siglato nel 2020 e a cui ad oggi hanno aderito 158 Paesi, tra cui l’Italia, impegnandosi a ridurre di almeno il 30% le loro emissioni di metano, entro il 2030.
«Peccato che ad oggi gli impegni non hanno prodotto risultati tangibili», fa notare Legambiente che alla COP29 ha chiesto impegni credibili e seri, a partire dall’Italia.
In Italia il peso relativo del metano ha raggiunto l’11,2% delle emissioni complessive di gas serra (42,8 Mt CO2eq su 381,2 Mt CO2eq), misurate nel 2020, anno di riferimento per gli obiettivi di riduzione del Global Methane Pledge. Il picco delle emissioni antropiche di metano, per tutte le fonti, è stato raggiunto in Italia alla fine degli anni ‘90, da allora è in corso una riduzione che però avviene ad un passo eccessivamente lento: in assenza di politiche ed investimenti, il nostro Paese non potrà raggiungere l’obiettivo dell’impegno che ha siglato, ovvero la riduzione del 30% di queste emissioni entro il 2030. Da notare, inoltre, come il 45% delle emissioni per il settore del gas e del petrolio si potrebbero abbattere a costo netto zero e secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia basterebbero 9,22 milioni di euro l’anno fino al 2030 per arrivare a tale obiettivo.
Sebbene il metano venga emesso da molte fonti naturali, il contributo di origine antropica è cresciuto fino a rappresentare oltre il 60% delle emissioni complessive e continua a crescere, tanto che la sua concentrazione in atmosfera aumenta di oltre 0,01 ppm all’anno. Questo si traduce in un contributo al riscaldamento globale stimato di almeno 0,5°C, in pratica un terzo del totale. Anche a livello globale le principali fonti antropiche di emissioni di metano sono le medesime, seppure con rapporti differenti. Quella più importante è legata all’agricoltura e, soprattutto, all’allevamento bovino, che produce crescenti quantità di metano con l’espansione degli allevamenti intensivi. La seconda fonte è rappresentata dal settore energetico, che rilascia metano sia come sottoprodotto di combustione che come perdita di impianti e condotte in cui viene trasportato, oltre che dai processi di estrazione dal sottosuolo. Infine, una fonte rilevante di metano è costituita dalle esalazioni delle discariche di rifiuti. Legambiente fa notare che «Le principali differenze rispetto all’Italia riguardano il settore energetico, considerato che non siamo grandi produttori di gas ma importanti importatori che vedranno ampliare gli approvvigionamenti, a causa del Piano Mattei e delle politiche energetiche prima del Governo Draghi e poi quello Meloni, e il settore rifiuti, che per noi costituisce la seconda fonte emissiva dopo quella agro-zootecnica, a causa della grande quantità di rifiuti che sono accumulati, e che in parte vengono ancora conferiti, in discariche».
Il Cigno Verde ricorda che «Sebbene per molti anni il metano abbia rappresentato l’alternativa “più pulita” ad altre fonti energetiche fossili carbone e petrolio in primis; oggi questa nobile missione del metano fossile è finita, non solo perché disponiamo di fonti energetiche alternative e rinnovabili sempre più accessibili (tra cui rientra anche il biometano da biomasse di scarto e reflui zootecnici), ma anche perché è sempre più chiaro il legame stretto tra emissioni di metano e riscaldamento climatico. Anche il metano, come la C2, è un gas serra. Ed anzi, lo è in modo molto più efficace avendo un “potenziale di riscaldamento globale” fino a 86 volte quello della CO2. Significa che, sebbene nell’atmosfera terrestre le concentrazioni di metano siano molto inferiori a quelle della CO2, i suoi effetti sul clima sono estremamente rilevanti: nel suo VI rapporto l’IPCC quantifica il contributo di riscaldamento climatico imputabile alla crescita delle concentrazioni di metano: nell’atmosfera terrestre c’erano meno di 0,7 parti per milione (ppm) di metano nel periodo preindustriale, che sono schizzate a 1,93 ppm secondo le ultime rilevazioni dell’istituto statunitense che monitora lo stato dell’atmosfera (NOAA). Ridurre le emissioni di metano permette di invertire il trend di aumento di temperatura previsto da qui al 2050: è la nostra unica ‘arma segreta’ per rispettare gli accordi di Parigi! Non a caso, la stessa IPCC inserisce nella classifica degli strumenti e tecnologie che possono contribuire a raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione al 2030, la riduzione delle dispersioni di metano dal settore energetico come il terzo strumento per efficacia e costi nella lotta all’emergenza climatica».
Il presidente nazionale di Legambiente Stefano Ciafani ha sottolineato che «La riduzione delle emissioni di metano è il modo più economico ed efficace per contrastare il riscaldamento globale, ci aspettiamo che a Baku i rappresentanti del nostro Paese assumano impegni credibili e rapidamente attuabili per ridurre il nostro contributo alle emissioni, nei settori dell’agricoltura, degli impianti energetici e dei rifiuti. Le azioni per la riduzione delle emissioni di metano sono all’origine dello sviluppo delle catene di valore della transizione ecologica, come Paese abbiamo solo da guadagnarci, ma dobbiamo fare presto e bene, approfittando anche dell’occasione del recepimento del nuovo Regolamento europeo in tema energetico che l’Italia può migliorare e fare da Paese apripista per dettare la linea agli altri Paesi europei».
Secondo Legambiente per ridurre le emissioni di metano «Occorre in primo luogo accelerare la transizione verso le energie rinnovabili, con una exit strategy per la nostra dipendenza dalle importazioni di gas fossile – gasdotti e gas liquefatto – e l’impulso all’elettrificazione sia per il riscaldamento domestico che per i trasporti. Accompagnando il tutto con un sistema di monitoraggio e intervento delle dispersioni che come dimostrato attraverso la campagna C’è Puzza di Gas riguardano in maniera importante tutta la filiera delle fonti fossili. Ma anche mettere in agenda una politica agricola che sostenga azioni per la riduzione delle emissioni di origine zootecnica, trovando con le organizzazioni agricole e di filiera gli accordi necessari a ridurre gli impatti degli allevamenti intensivi e promuovendo un cambiamento di abitudini alimentari nella direzione indicata dalla dieta mediterranea e dai più recenti studi sul rapporto tra alimentazione e salute, riducendo i consumi nazionali di carni e latticini. Ed infine dare un impulso definitivo alla buona gestione dei rifiuti, mettendo al bando il conferimento a discarica di rifiuti e scarti organici, per i quali devono essere completate le filiere di raccolta e valorizzazione».
L’associazione ambientalista conclude: «Gli obiettivi di riduzione del nostro Paese devono non solo essere acquisiti dal PNIEC, il piano nazionale integrato energia e clima che l’Italia ha spedito a Bruxelles la scorsa estate, eludendo del tutto gli impegni internazionali sulle emissioni di metano, ma anche presi sul serio dal Governo che entro le prossime settimane e mesi dovrà affrontare le prime scadenze dettate dal Regolamento europeo, tra cui l’identificazione delle autorità competenti per la quantificazione delle emissioni, ma anche il programma di rilevamento e riparazione perdite per gli impianti già attivi che dovranno fare gli operatori del settore su cui il Governo dovrà vigilare e le specifiche informazioni sulle metodologie di monitoraggio per paesi importatori».