La Turchia sta diventando una discarica per rifiuti europei in plastica
Secondo i più aggiornati dati Eurostat, ammontano a oltre 32 mln di tonnellate i rifiuti spediti annualmente verso i Paesi extra-Ue, in particolare Turchia, India, Regno Unito, Svizzera, Norvegia, Egitto, Pakistan, Indonesia, Marocco e Usa. Ma si stima che fino al 30% delle spedizioni di rifiuti verso Paesi non europei sia di fatto illegale, per un giro d’affari da 9,5 miliardi di euro l’anno.
Non a caso all’inizio di quest’anno l’Europarlamento ha approvato norme più stringenti verso l’export di rifiuti – vietando in primis le esportazioni di plastiche verso i Paesi non Ocse –, ma resta molto da fare come documenta oggi una nuova ricerca Greenpeace.
I rifiuti plastici esportati dall’Europa continuano a finire prevalentemente in Turchia: nel solo 2023 il Regno Unito ha esportato in Turchia 140.907 tonnellate di rifiuti in plastica, la Germania 87.109, il Belgio 74.141, l’Italia 41.580 e i Paesi Bassi 27.564.
L'aumento incontrollato dell’invio di rifiuti in plastica verso la Turchia – ma anche verso Malesia, Thailandia e Vietnam – è iniziato nel 2018, quando la Cina, fino ad allora prima destinazione globale di questa tipologia di rifiuti, ha deciso di bloccarne le importazioni. Da allora, la Turchia ha visto una crescita esponenziale dell’import da parte dei principali Paesi europei.
«Negli anni passati, le nostre ricerche sul campo hanno dimostrato che il suolo, l'aria e i corsi d’acqua della Turchia sono stati contaminati dai rifiuti in plastica importati dall’estero – dichiara Giuseppe Ungherese, responsabile campagna Inquinamento di Greenpeace Italia – È inaccettabile che Paesi come il nostro, anziché affrontare il problema alla radice e ridurre la produzione di plastica, continuino a spostare il proprio fardello sulle zone più vulnerabili del pianeta. Da cinque anni, la Turchia è diventata la discarica dell'Europa, e non può più sopportare questo peso».
Nel 2023 la Turchia è stato il primo Paese di destinazione extra Ue dei rifiuti in plastica italiani, seguita da Arabia Saudita, Stati Uniti, Svizzera e Yemen. Il trend è peraltro in continua ascesa: nel 2013, esportavamo circa 440 tonnellate di rifiuti plastici in Turchia, mentre nel 2023 i quantitativi erano pari a 41.580 mila tonnellate, quasi 100 volte in più. È così che i rifiuti italiani finiscono per alimentare discariche abusive sempre più grandi e inquinanti, come quella di Smirne.
Eppure, gli Stati membri dovrebbero, secondo la normativa europea, spedire i propri rifiuti plastici fuori dall’Unione esclusivamente per avviarli al riciclo o al recupero energetico, e in ogni caso scegliendo sempre impianti con standard ambientali e tecnici pari a quelli comunitari.
«È la prassi che sembrerebbe seguire Corepla, il Consorzio nazionale per la raccolta, il riciclo e il recupero degli imballaggi in plastica che gestisce i rifiuti plastici urbani nel 92% dei Comuni italiani: nei suoi report – sottolinea Greenpeace – la Turchia non figura tra le destinazioni citate esplicitamente per l’export. Tuttavia, il flusso in uscita non si ferma, e tonnellate di scarti dall’origine non del tutto chiara continuano a raggiungere Paesi perlopiù impreparati ad accoglierli».
Corepla dichiara di avviare a riciclo oltre il 56% dei rifiuti plastici raccolti in Italia, ma una recentissima indagine svolta dalla Corte di giustizia Ue a livello europeo mostra che nel Vecchio continente ci sono forti rischi che non tutti i rifiuti avviati a riciclo vengano poi effettivamente riciclati, a causa della bassa sostenibilità economica del processo. Anche per questo la filiera industriale nazionale – e in particolare Assorimap, Assoambiente e Utilitalia – chiede l’introduzione d’incentivi a sostegno per la rinnovabilità della materia, come del resto già esistono da molti anni per l’energia rinnovabile.
Con la diffusione dei dati odierni, intanto Greenpeace lancia una campagna per chiedere lo stop immediato dell’export di rifiuti plastici, anche in vista dei nuovi negoziati per il Trattato globale sulla plastica, che si terranno dal 25 novembre al 1°dicembre a Busan, in Corea del Sud: l’ultimo round di un percorso avviato da tempo sotto l’egida dell’Onu ma non ancora concluso positivamente.
La buona notizia è che, secondo l’Agenzia Onu per l’ambiente (Unep) l’inquinamento da plastica può essere ridotto dell’80% entro il 2040 usando le tecnologie esistenti. Come? Riducendo del 55% la produzione di plastica vergine e puntando sull’economia circolare: si potrebbero così risparmiare 4,52 trilioni di dollari a livello globale e creare 700mila nuovi posti di lavoro.