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L'inquinamento è dovuto principalmente al traffico auto e al riscaldamento

Inquinamento da PM10 e PM2,5, uno studio su Pisa svela il nesso con le malattie respiratorie

Indagata anche l'incidenza dello smog con trombosi venose profonde degli arti inferiori ed embolia polmonare
 |  Inquinamenti e disinquinamenti

L'incidenza della rinite è stata significativamente associata all'aumento dell'inquinamento atmosferico da PM2,5, l'incidenza della broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) è stata invece significativamente associata al PM10, nonché all'età e al fumo; inoltre, l’incidenza del catarro cronico è stata collegata all'aumento di PM2,5 e all'esposizione professionale. Ecco i risultati più significativi dello studio analitico longitudinale condotto da ricercatori provenienti da CNR, Università di Palermo, Dipartimento di Epidemiologia del Servizio Sanitario della Regione Lazio e INAIL che è andato ad indagare e stimare gli effetti dell'esposizione a PM10 e PM2.5 sull'incidenza di malattie respiratorie in un campione residente a Pisa, in un'area caratterizzata da un livello medio-basso di inquinamento atmosferico.

Del campione, composto da 305 adulti (135 uomini e 170 donne), con un’età media di circa 56 anni, residenti nella stessa zona per tutto il periodo dello studio, ovvero a partire dal 1991, sono stati considerati – spiega una nota dell’Arpat -  i singoli fattori di rischio, ad esempio essere fumatori, l’esposizione professionale.

I livelli di esposizione mediana (25°- 75° percentile) sono stati di 30,1 µg/m3 (29,9-30,7 µg/m3) per il PM10 e 19,3 µg/m3 (18,9-19,4 µg/m3) per il PM2,5.

Per inquadrare meglio la questione, l’Ispra ha chiarito ad aprile che negli ultimi trent’anni l’inquinamento atmosferico in Italia si è ridotto progressivamente, ma che ancora oggi è responsabile di una silenziosa ma enorme emergenza sanitaria contribuendo all’insorgenza di malattie come ictus, cardiopatie ischemiche, tumori e malattie respiratorie croniche. Inquinamento che in larga parte gli studi sempre più approfonditi di enti di ricerca, Agenzie di Protezione per l’Ambiente (ARPA) e delle comunità scientifiche internazionali, convergono nel dire che, a livello urbano, è dovuto prevalentemente dal “trasporto su strada”, ovvero dalle auto. Oltre al riscaldamento domestico.

Detto questo, i risultati suddetti forniscono nuove informazioni e prove sugli effetti a lungo termine dell'inquinamento atmosferico da PM sulla salute respiratoria. Le diverse associazioni di PM10 e PM2.5 con i diversi disturbi respiratori, presenti nello studio, possono suggerire ulteriori direzioni di ricerca e possono anche costituire elementi utili per la definizione di politiche e provvedimenti normativi.

Sul tema l’Arpat segnala un altro studio condotto dal Dipartimento di Epidemiologia del Servizio Sanitario della Regione Lazio tra il 2006 e il 2017 nella città di Roma è andato ad analizzare la possibile associazione tra livelli giornalieri di inquinamento atmosferico e trombosi venose profonde degli arti inferiori ed embolia polmonare, con particolare riferimento all’esposizione a breve termine a PM2.5.

Se infatti sappiamo che l'esposizione a breve termine all'inquinamento atmosferico aumenta il rischio di mortalità e morbilità cardiovascolare, sono disponibili ancora poche prove sugli effetti dell'inquinamento sul tromboembolismo venoso, una malattia vascolare comune.

Per lo studio in questione sono stati analizzati tutti i ricoveri urgenti per trombosi venosa profonda o embolia polmonare tra i pazienti di età superiore a 35 anni nella capitale nel periodo di riferimento; è stato quindi esaminato se: l'esposizione a breve termine al PM2,5 aumenta il rischio di ricovero in ospedale per queste due patologie; le associazioni dipendono dal periodo dell'anno (stagioni calde/stagioni fredde), da sesso, età e comorbidità, ovvero la coesistenza di più patologie diverse in uno stesso individuo.

Dallo studio è emerso che l'esposizione a breve termine al PM2,5 è associata ad un aumento del rischio di ricovero in ospedale per embolia polmonare durante la stagione calda (da aprile a settembre); non sono invece emersi effetti statisticamente significativi durante la stagione fredda o per i ricoveri per trombosi venosa profonda. L'età, il sesso e le condizioni di comorbidità non modificano l'associazione evidenziata.

Redazione Greenreport

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