Al largo dell’Inghilterra la motonave Ruby, con 20mila ton di nitrato d’ammonio che nessuno vuole
Una nave da carico del tipo “general cargo” battente bandiera maltese, lunga 183 metri per 23.765 tonnellate di stazza, contenente fertilizzante potenzialmente esplosivo, si trova attualmente al largo della costa meridionale della Gran Bretagna. La motonave Ruby, secondo fonti inglesi, sarebbe stata respinta da diversi paesi a causa del suo carico; infatti nelle stive della general cargo sono presenti oltre 20.000 tonnellate di nitrato di ammonio, altamente esplosivo, lo stesso genere di prodotto che causò quell’immane esplosione nel porto di Beirut – agosto 2020 – e che provocò la morte di 218 persone, ferendone altri 7.000.
Sempre secondo fonti di stampa nord-europee, la motonave Ruby, che ha subito un incaglio dopo aver lasciato il porto russo di Kandalaksha (nel luglio scorso!), nella Russia settentrionale, avrebbe bisogno di riparazioni; tuttavia, le autorità norvegesi l'hanno ritenuta idonea alla navigazione (sic!) e le hanno negato l'accesso nei loro porti per via del carico che trasporta.
La nave in questione risulta essere di proprietà della società maltese “Ruby Enterprise”. Il servizio nazionale di emergenza marittima maltese, che monitora il percorso della nave mentre si dirige verso acque britanniche, ha disposto che il rimorchiatore Amber II segua, scortandola, la motonave Ruby.
Il nitrato di ammonio viene regolarmente trasportato in tutto il mondo e utilizzato come base di numerosi fertilizzante ma, non dimentichiamolo, ancor oggi viene anche impiegato nella fabbricazione di esplosivi. È stato stimato che la Ruby trasporti un quantitativo di nitrato di ammonio sette volte superiore a quello che causò la terribile deflagrazione di Beirut. Ricordiamo che la Ruby, dopo aver lasciato il porto russo, si è incagliata in una tempesta; successivamente, ha poi proseguito la navigazione attorno alla penisola di Kola per spingersi fino ad arrivare a Tromso, in Norvegia, dove gli è stato negato il permesso di entrare.
Riportiamo le considerazioni espresse alla stampa inglese da Andrea Sella, professore di chimica all'University College di Londra, secondo cui il carico non presenta rischi elevati, a meno che non scoppi un incendio a bordo: «Sebbene comprenda la cautela delle autorità di Tromso, sospetto che le possibilità di un disastro simile a quello di Beirut siano relativamente modeste», ha affermato il cattedratico.
Il 25 settembre la nave ha gettato l'ancora a circa 13 miglia (circa 25 Km) a nord-est di Margate, nel Kent, in prossimità dello Stretto della Manica, vicino a Dover, una delle vie d'acqua più trafficate del mondo. Assume particolare importanza la dichiarazione fatta dalla Maritime and coastguard Agency (Mca) che ha affermato: «La nave attualmente è alla fonda, in sicurezza, al di fuori delle acque territoriali del Regno Unito e resta in attesa di rifornirsi di carburante in mare prima di attraversare la Manica. Il rifornimento di carburante in mare è una pratica comune e avverrà nel rispetto delle procedure di sicurezza e in condizioni meteorologiche favorevoli».
Tutto questo panegirico nasconde l’evidente difficoltà a far entrare la Ruby in qualche scalo inglese perché la paura che ha colpito le Autorità norvegesi si è propagata su quelle inglesi - che non sono da meno -, spingendosi ad affermare che il bunkeraggio in mare aperto può essere considerato una pratica comune e diffusa… ma sappiamo bene che così non è.
La destinazione finale della Ruby dovrebbe essere a Marsaxlokk (Malta) ma già da ora le autorità maltesi messo le mani avanti e hanno dichiarato ai media locali che la nave potrà entrare nello scalo maltese “solo se prima avrà sbarcato il carico”, ma non dicono dove e come farlo.
In questa ennesima tragica storia di mare e navi sfortunate scorgo diversi elementi che caratterizzano la storia ancora non conclusa della motocisterna greca Sounion, colpita dagli Houthi nel sud del Mar Rosso nell’agosto scorso e che con 150.000 tonnellate di greggio nel suo ventre infiammato dai razzi dei ribelli yemeniti, non sappiamo ancora oggi che fine abbia fatto e se l’allibo postulato sia poi veramente avvenuto e con quali risultati.
Resta solo l’amaro nello scoprire che il concetto di “porto rifugio” molto in voga dopo i disastri ambientali dell’Erika (1999) e della Prestige (2002) è rimasto solo un astratto principio teoretico, al quale l’Unione europea non è riuscita a dare un connotato pratico e concreto. Forse (eufemisticamente) la famiglia mondiale dello shipping oltre al profitto dovrebbe dedicare maggiore attenzione agli aspetti di tutela dell’ambiente marino nel senso più ampio del termine; al Segretario generale Arsenio Dominguez affidiamo questa nostra riflessione: ne tragga ammaestramento e agisca di conseguenza.