Ecomafia 2024, i crimini ambientali censiti da Legambiente salgono a quota 35.487
Legambiente ha presentato ieri a Roma il rapporto “Ecomafia 2024. Le storie e i numeri della criminalità ambientale in Italia” (edito da Edizioni Ambiente), nel 30esimo anno dalla sua prima pubblicazione, senza che in tre decenni la situazione sia migliorata.
Anzi: i reati censiti nel 2009 erano poco meno di 30mila, e anno dopo anno sono sempre oscillati attorno a questa soglia, con picchi attorno ai 35mila/anno. È accaduto nel 2011, nel 2012, nel 2019, nel 2020 e infine nel corso del 2023, quando l’asticella è arrivata a quota 35.487 (+15,6% sul 2022).
Nel dettaglio, nel 2023 in Italia aumenta anche il numero delle persone denunciate (34.481, +30,6%), così come quello degli arresti (319, +43% rispetto al 2022) e quello dei sequestri (7.152, +19%). Tra gli illeciti, nella Penisola continua a salire la pressione del ciclo illegale del cemento (13.008 reati, +6,5%), che si conferma sempre al primo posto tra i reati ambientali; ma a preoccupare è soprattutto l’impennata degli illeciti penali nel ciclo dei rifiuti, 9.309, + 66,1% che salgono al secondo posto: «Seguiremo con attenzione quanto sta accadendo nella raccolta dei Raee (i rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche), dove diminuisce la quantità di quelli avviati al riciclo e aumentano le esportazioni illegali, verso Asia e Africa», aggiunge nel merito Enrico Fontana, responsabile Osservatorio ambiente e legalità.
Al terzo posto con 6.581 reati la filiera degli illeciti contro gli animali, seguita dagli incendi dolosi, colposi e generici con 3.691 illeciti. Crescono anche i numeri dell’aggressione al patrimonio culturale (642 i furti alle opere d’arte, +58,9% rispetto al 2022) e degli illeciti nelle filiere agroalimentari (45.067 illeciti amministrativi, + 9,1% rispetto al 2022), a cominciare dal caporalato. Sono inoltre 378 i clan mafiosi censiti.
Continua l’applicazione della legge 68/2015 sugli ecoreati che nel 2023 ha superato la quota 600, anche se registra un lieve calo rispetto all’anno precedente quando era stata contestata 637 volte. Un calo dovuto al calo dei controlli, passati da 1.559 a 1.405. Il delitto di inquinamento ambientale resta nel 2023 quello più contestato, 111 volte, portando a ben 210 denunce e 21 arresti.
Gli illeciti che si concentrano soprattutto in Campania, Puglia, Sicilia e Calabria – dove si concentra il 43,5% degli illeciti penali –, mentre tutto il mercato illegale nella Penisola è valso nel 2023 ben 8,8 miliardi di euro.
Scendendo più a fondo nel dettaglio geografico, a livello regionale la Campania si conferma al primo posto della classifica con più illeciti ambientali, 4.952 reati, pari al 14% del totale nazionale, seguita da Sicilia (che sale di una posizione rispetto al 2022, con 3.922 reati, +35% rispetto al 2022), Puglia (scesa al terzo posto, con 3.643 illeciti penali, +19,2%) e Calabria (2.912 reati, +31,4%). La Toscana sale dal settimo al quinto posto, seguita dal Lazio. Balza dal quindicesimo al settimo posto la Sardegna. Tra le regioni del Nord, la Lombardia è sempre prima.
«Dal Governo Meloni ci aspettiamo un segnale di discontinuità – commenta Stefano Ciafani, presidente nazionale del Cigno verde – Serve approvare quanto prima le riforme necessarie per rafforzare le attività di prevenzione e di controllo. Ne gioverebbero molto la salute delle persone, degli ecosistemi, della biodiversità e quella delle imprese sane che continuano ad essere minacciate dalla concorrenza sleale praticata da ecofurbi, ecocriminali ed ecomafiosi».
Sono quindici le proposte messe in fila dall’associazione ambientalista, ma ancora una volta quelle in prima fila si concentrano essenzialmente sull’inasprimento delle pene: recepire quanto prima la nuova direttiva europea in materia di tutela penale dell’ambiente, approvata dal Parlamento europeo il 27 febbraio 2024, che introduce nuove fattispecie di reato; introdurre nel Codice penale i delitti contro le agromafie; introdurre nel codice penale i delitti contro gli animali; restituire ai prefetti pieni poteri per la demolizione degli immobili; inasprire le sanzioni contro i reati nel ciclo dei rifiuti; completare l’approvazione dei decreti attuativi del Sistema nazionale di protezione ambientale e potenziare gli organici delle Agenzie regionali, per garantire controlli adeguati sul Pnrr e sulle Olimpiadi Milano-Cortina 2026.
Come lo stesso rapporto Ecomafia racconta nella sua analisi trentennale, però, il continuo quanto legittimo inasprimento delle pene da solo non basta. In proposito merita una lettura – e meriterebbe anche un aggiornamento – il report Istat pubblicato nel 2018 I reati contro ambiente e paesaggio: i dati delle procure: già con l’introduzione del Testo unico ambientale nel 2006 i procedimenti penali sono aumentati del 1300% ma le indagini durano in media 457 giorni, e inoltre il 40% dei casi poi c’è l’archiviazione (che arriva al 77,8% guardando alla legge 68/2015 sugli ecoreati, dati riferiti al 2016).
Che fare dunque? L’esperienza empirica mostra che, almeno in alcuni settori colpiti dall’ecomafia – a partire dal ciclo di gestione rifiuti – limitarsi semplicemente a varare leggi su leggi con l’intento di stringere il cappio normativo contro gli ecocriminali non basta.
Anzi, senza un riordino della legislazione in materia che sappia semplificare garantendo la certezza del diritto, oltre a quella della pena per chi sgarra, la bulimia normativa rischia di confondere ancora più le acque con un risultato respingente nei confronti di amministratori e imprenditori onesti, a tutto vantaggio di mafie e criminali veri.
Nel merito il ministro dell’Ambiente Pichetto ha promesso più volte, nel corso degli ultimi anni, la volontà di riformare il Codice dell’ambiente. Lo schema di legge delega dovrebbe arrivare entro settembre, e dal dicastero assicurano ampia partecipazione e ascolto delle associazioni ambientaliste. Che però ancora non si vede.