Monitorare i rifiuti marini dallo spazio
Come ricorda il Joint Research Centre (JRC) dell’Unione europea, «I rifiuti marini sono diventati un problema ambientale globale e sono riconosciuti come una priorità urgente nelle agende internazionali di sostenibilità. L’80% di questi rifiuti sono di plastica. I continui sforzi per mappare la sua presenza nelle superfici acquatiche hanno prodotto risultati importanti, come la scoperta della cosiddetta isola di plastica nel mezzo degli oceani Pacifico e Atlantico. A causa della vastità dell’oceano, tuttavia, le misurazioni sul campo rimangono limitate».
Lo studio “Proof of concept for a new sensor to monitor marine litter from space”, pubblicato su Nature Communications da un team di ricercatori coordinato da Andrés Cózar, del departamento de Biología dell’Universidad de Cádiz, e da Manuel Arias, dell’ del Instituto de Ciencias del Mar del CSIC de Barcelona, trasforma in realtà l'idea di monitorare i rifiuti marini tramite i satelliti.
All’Universidad de Cádiz ricordano che «I satelliti sono presentati come una delle grandi speranze per poter monitorare l’inquinamento marino da plastica. Tuttavia, la quantità di plastica sulla superficie del mare raramente è abbastanza elevata da generare un segnale rilevabile dallo spazio. E’ necessario che la plastica e altri detriti galleggianti si aggreghino in dense zone di almeno una dozzina di metri di dimensione in modo che gli attuali satelliti possano rilevarli. Queste macchie di spazzatura sono chiamate tracce, solitamente hanno la forma di filamenti e si formano a causa delle correnti marine superficiali. Il rilevamento di una scia di rifiuti è indicativo di un'elevata contaminazione in un luogo e in un momento specifici. Tuttavia, l’utilizzo di queste distese di rifiuti disperse ed effimere come base per lo sviluppo di una missione spaziale dedicata al monitoraggio globale dell’inquinamento da plastica ha sollevato seri dubbi. Non è noto se l’abbondanza di corsi d’acqua sia sufficiente per tracciare mappe o per rivelare tendenze nel tempo». Cózar evidenzia che «La rilevanza e il significato di queste piccole macchie di rifiuti galleggianti erano sconosciuti»
Il team di ricercatori, finanziato dall'Agenzia spaziale europea (ESA) e composto da multinazionali del settore spaziale, JRC e istituti di ricerca di 6 Paesi e al quale hanno partecipato Giuseppe Suaria e Stefano Aliani dell’Istituto di Scienze Marine - Consiglio Nazionale delle Ricerche (ISMAR-CNR), ha verificato l'utilità delle tracce come indicatori dei rifiuti marini nel Mar Mediterraneo. Utilizzando una serie storica di immagini satellitari durata 6 anni, ogni tre giorni i ricercatori hanno esplorato il Mar Mediterraneo alla ricerca di tracce di rifiuti con una risoluzione spaziale di 10 metri. Hanno analizzato circa 300.000 immagin provenienti dai satelliti Sentinel-2 del programma Copernicus dell’Unione europea, i cui sensori, sebbene non progettati per rilevare la spazzatura, sono in grado di rilevare la plastica.
Arias spiega che «Cercare aggregati di rifiuti grandi diversi metri sulla superficie dell’oceano è come cercare aghi in un pagliaio». L'automazione di questo compito è stata possibile solo con l'utilizzo di supercomputer e algoritmi di ricerca avanzati.
E’ così che i ricercatori hanno trovato migliaia di tracce di rifiuti, molte delle quali lunghe più di un chilometro e alcune lunghe fino a 20 chilometri. Abbastanza da creare la mappa dell'inquinamento dei rifiuti marini più completa mai realizzata fino ad oggi.
Cózar fa notare che «Il rilevamento dei rifiuti con un satellite non specializzato ha permesso di identificare le zone più inquinate del Mediterraneo e di sapere come cambiano ogni settimana e nel corso degli anni».
Un altro dei grandi contributi di questo studio è stato quello di comprendere il vero significato delle tracce dei rifiuti: «E’ ormai noto - dicono i ricercatori – che sono legati principalmente alle emissioni di rifiuti terrestri avvenute nei giorni precedenti. Questa caratteristica rende i percorsi particolarmente utili per il monitoraggio e la gestione del problema».
Gli autori dello studio hanno illustrato l'applicabilità di questa tecnica con casi reali e valutato l'efficacia dei piani d'azione contro i rifiuti nel Tevere, lungo l’attraversamento di Roma, oltre ad individuare le fonti di contaminazione legate al trasporto marittimo attraverso il Canale di Suez (Egitto) e utilizzare le osservazioni satellitari per indirizzare i lavori di pulizia nelle acque del Golfo di Biscaglia (Spagna).
Arias sottolinea che «Lo strumento è ora pronto per essere utilizzato in altre regioni, e sono convinto che ci insegnerà molto sul fenomeno dell’inquinamento dei rifiuti sul pianeta».
Ma per Cózar «Ci sono ancora aspetti che possono essere migliorati. Il sensore utilizzato in questo test non è stato progettato per rilevare la plastica. La capacità di rilevamento migliorerebbe enormemente se decidessimo di mettere in orbita un sensore appositamente progettato per la plastica».
Il JRC conclude: «L’implementazione di satelliti appositamente progettati per monitorare la plastica negli oceani potrebbe migliorare drasticamente le capacità di rilevamento e consentire ai ricercatori di identificare oggetti galleggianti di dimensioni inferiori a un metro. Questo potrebbe essere un vero e proprio punto di svolta nella lotta contro l’inquinamento da plastica. Un monitoraggio migliore può aiutare a individuare le aree più inquinate e a identificarne le fonti principali. A sua volta, ciò potrebbe facilitare le operazioni di pulizia, rendendo gli oceani più puliti per tutti. Inoltre, ciò potrebbe aiutare ad affrontare altre questioni importanti, come le fuoriuscite di petrolio, la perdita di merci o aiutare le attività di ricerca e salvataggio in mare».