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È urgente una politica economica antifascista per evitare la vittoria di Afd nel 2029

Il destino della Germania e dell’Ue passa dall’addio al freno al debito, non solo per la difesa

Mazzanti (Università di Ferrara): «L'Europa ha bisogno che la sua maggiore economia investa di più in beni pubblici e infrastrutture»
 |  Green economy

La coalizione semaforo che governava la Germania prima delle elezioni, composta dal centrosinistra della Spd, dai Verdi e dai liberali di Fdp è crollata anche perché questi ultimi ponevano il veto su ogni forma di allentamento all’austerità che ormai da lustri segna la vita economica e politica del Paese. Risultato: per la Spd sono state le peggiori elezioni della storia, mentre Fdp non è neanche entrato in Parlamento.

Passato l’appuntamento con le urne che ha portato alla vittoria del centrodestra (Cdu/Csu) tallonato dai neonazisti di Afd, il nodo del dibattito politico non è mutato: servono risorse pubbliche per agire in modo anticiclico e risollevare la Germania dalle secche della crisi economica, per finanziare la transizione ecologica, la difesa militare a causa del crescente disimpegno Usa, e non da ultimo per restituire sicurezza a cittadini traumatizzati da anni di inflazione.  

Il cosiddetto “freno al debito” inserito nella Costituzione tedesca nel 2009 per limitare il ricorso all’indebitamento pubblico a un massimo dello 0,35% del Pil annuo, un limite ben più parco del già frugale tetto individuato in sede Ue pari un deficit del 3% Pil: come risultato, la Germania negli ultimi 4 anni ha rinunciato a investire almeno 150 miliardi di euro, che le avrebbero invece permesso di far fronte alla crisi economica in corso. Una scelta che non ha pagato dal punto di vista sociale.

Come osservano gli economisti Isabella Weber e Lukas Scholle chiedendo al più presto il varo di una politica economica antifascista per evitare che il crescente sgomento sociale porti alla vittoria dei neonazisti alle prossime elezioni politiche, il 37% di chi ha votato Afd vede come negativa la propria posizione economica, l’85% ritiene che la società tedesca sia ingiusta, il 96% bolla come negativa la situazione economica generale. Nonostante Afd proponga una redistribuzione di risorse dal basso verso l’alto, l’estrema destra è riuscita a cavalcare il malcontento della gente parlando alla pancia della società.

Cambiare davvero rotta significherebbe redistribuire reddito e ricchezza, attingendo alle tasche degli ultraricchi per finanziare politiche verdi e sociali – come sarebbe necessario e possibile fare anche in Italia –, ma anche togliere il “freno al debito” pubblico potrebbe iniziare ad aprire nuovi scenari. Raggiungere questo risultato però non è scontato, dato che i partiti tedeschi hanno idee molto diverse in merito, mentre è necessario raggiungere una maggioranza parlamentare di due terzi per modificare la Costituzione.

Il freno al debito è stato storicamente posto dalla Cdu/Csu, col leader Merz che adesso però apre a possibilità di revisione; la Afd è nettamente contraria; la sinistra di Die Linke vuole rimuoverlo solo per finanziare politiche sociali e non anche spese per la difesa militare, che invece sono l’obiettivo primario della Cdu. Per evitare l’impasse, i Verdi hanno proposto che sia l’attuale Parlamento – unendo i loro voti a quelli di Cdu e Spd – a decidere il da farsi, prima che si rischi lo stallo una volta insediato il nuovo Governo. Cdu e Spd hanno aperto all’ipotesi, ma le ipotesi sul tavolo sono più di una.

La prima è di aggirare il “freno al debito” varando un nuovo fondo speciale – sempre con una maggioranza di due terzi in Parlamento – per la sola difesa, in modo analogo a quanto fatto coi 100 mld di euro messi campo dalla Germania nel 2022 dopo l’invasione russa dell’Ucraina, dato che tali risorse finiranno nel 2027. Si tratterebbe di una soluzione decisamente al ribasso, perché affronterebbe solo uno dei numerosi problemi che gravano sulla società tedesca e (dunque) europea. L’alternativa è quella di rimuovere direttamente il freno, aumentando i margini di manovra fiscale, cercando un accordo tra le varie forze politiche – con la possibilità di coinvolgere anche Die Linke, una volta insediate le nuove forze parlamentari – su quali capitoli di spesa concentrare gli investimenti.

«L'Europa ha bisogno che la sua maggiore economia investa di più in beni pubblici e infrastrutture – spiega a greenreport Massimiliano Mazzanti, economista ambientale dell’Università di Ferrara alla guida del Centro di ricerca interuniversitario Seeds – Ancora una volta un Paese con una crescita negativa, un saldo delle partite correnti positivo del 6%, un basso tasso di interesse e un deficit di bilancio molto limitato (1,6%) deve investire di più: l'1,6% non è coerente con la recessione e il dato strutturale positivo della bilancia commerciale, anche accettando un po' di inflazione. Ricordo infatti che investire in alternative non fossili riduce l'inflazione a medio-lungo termine e migliora l'indipendenza e la competitività dell'Ue, oltre a ridurre l'inquinamento atmosferico grazia alla decarbonizzazione, col conseguente risparmio sulla salute e dunque il miglioramento dello sviluppo umano: basti osservare che gli investimenti per migliorare la qualità dell’aria sono direttamente collegati a minori spese sul fronte della sanità, una realtà dimostrabile anche per quanto riguarda gli investimenti in cultura. Recenti studi condotti nel Regno Unito mostrano, ad esempio, mostrano che incoraggiare la lettura di libri e l’accesso alle biblioteche migliora la salute mentale dei cittadini, riducendo il carico sui medici di base e l’impiego di psicofarmaci. Investire in ambiente in cultura, in definitiva, crea uno spazio di bilancio per la sanità pubblica».

Luca Aterini

Luca Aterini, toscano, nasce settimino il 1 dicembre 1988. Non ha particolari talenti ma, come Einstein, si dichiara solo appassionatamente curioso: nel suo caso non è una battuta di spirito. Nell’infanzia non disegna, ma scarabocchia su fogli bianchi un’infinità di mappe del tesoro; fonda il Club della Natura, e prosegue il suo impegno studiando Scienze per la pace. Scrive da sempre e dal 2010 per greenreport, di cui è oggi caporedattore.