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«Difendiamo i nostri interessi se uniti». Da Draghi ennesimo appello all’Ue a uscire dallo stato d’inerzia
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Segue un testo scritto, fogli tra le mani, testa bassa a leggere. Però a un certo punto si lascia anche andare a quello che ha tutta l’aria di essere uno sfogo, gesticola con le mani, guarda verso i banchi dove siedono gli europarlamentari, e in una trentina di secondi sintetizza un quadro che rappresenta alla perfezione lo stato di inerzia che affligge l’Europa. «Dite no al debito comune, dite no al mercato unico, dite no alla creazione dell’unità del mercato dei capitali. Non potete dire di no a tutto. Altrimenti dovete anche ammettere ed essere coerenti che non siete in grado di mantenere i valori fondamentali per cui questa Unione è stata creata. Quindi, quando mi chiedete “cosa è meglio fare ora”, vi dico che non ne ho idea. Ma fate qualcosa».
Mario Draghi torna a parlare al Parlamento europeo. Dopo aver presentato il rapporto sulla competitività a settembre e dopo aver già suonato una prima volta la sveglia ai Paesi dell’Ue a fine 2024, l’ex governatore Bce ed ex premier italiano prende atto che a livello comunitario ancora prevale un pericoloso immobilismo, mentre la situazione internazionale richiede invece che l’Europa assuma con urgenza un ruolo da protagonista. «Se le recenti dichiarazioni delineano il nostro futuro, possiamo aspettarci di essere lasciati in gran parte soli a garantire la sicurezza in Ucraina e nella stessa Europa», dice facendo riferimento alle ultime uscite del presidente statunitense Donald Trump. Tra l’altro, il ritorno alla Casa bianca del tycoon ha contribuito a cambiare profondamente il quadro geopolitico ed economico rispetto a soltanto pochi mesi fa. Quando all’inizio d’autunno aveva presentato il rapporto sulla competitività, il tema principale era l’ascesa della Cina. «Ora – sottolinea oggi Draghi – l’Ue dovrà affrontare tariffe da parte della nuova amministrazione statunitense nei prossimi mesi, ostacolando il nostro accesso al nostro più grande mercato di esportazione. Inoltre, le tariffe statunitensi più elevate sulla Cina reindirizzeranno la sovraccapacità cinese in Europa, colpendo ulteriormente le aziende europee».
Un altro aspetto fondamentale, in questo contesto in cui l’Ue rischia di perdere clamorosamente quota in quanto a capacità di competere con Usa e Cina, è il prezzo dell’energia. «Dobbiamo abbassare i prezzi dell’energia. Ciò è diventato imperativo non solo per le industrie tradizionali, ma anche per le tecnologie avanzate. Si stima che il consumo di energia dei data-center in Europa più che triplicherà entro la fine del decennio. Ma è anche sempre più chiaro che la decarbonizzazione stessa può essere sostenibile solo se i suoi benefici vengono anticipati». Il rapporto che ha presentato nei mesi scorsi, ricorda, identifica una serie di ragioni per gli alti prezzi dell’energia in Europa, oltre al fatto che l’Ue non è un importante produttore di gas naturale: «Il coordinamento limitato dell’approvvigionamento di gas naturale, il funzionamento del mercato energetico, i ritardi nell’installazione di capacità rinnovabili, reti sottosviluppate, elevata tassazione e margini finanziari. Questi e altri fattori sono tutti di nostra creazione e pertanto possono essere cambiati se abbiamo la volontà di farlo». È dunque, anche in questo caso, questione di agire, perché le soluzioni da applicare già sono sul tavolo. «Riforma del mercato energetico, maggiore trasparenza nel commercio di energia, uso più esteso di contratti energetici a lungo termine e acquisti a lungo termine di gas naturale e massicci investimenti in reti e interconnessioni. Inoltre, si chiede non solo un’installazione più rapida delle energie rinnovabili, ma anche investimenti nella generazione di base pulita e soluzioni di flessibilità a cui possiamo attingere quando le energie rinnovabili non generano energia», evidenzia Draghi, sembrando indicare però una soluzione, quella del mix rinnovabili-nucleare, che da più parti è stata giudicata non indicata per stabilizzare la rete elettrica.
Anche sullo stop ai motori endotermici suggerisce più attenzione ai dettagli e più incisività sul piano generale: «Bisogna allineare strumenti e obiettivi. Non si può imporre lo stop ai motori a combustione dicendo a un intero settore produttivo che deve interrompere una grande linea di produzione e allo stesso tempo non imporre, con la stessa forza, l’installazione di sistemi di ricarica e non creare le interconnessioni per farlo. Bisogna allineare le cose».
Ma è sul debito comune che batte il tasto con più forza. «Una questione sollevata da molti di voi è stata il finanziamento», dice riprendendo quanto contenuto nel rapporto sulla competitività e alcuni commenti con cui è stato accolto. «Una premessa: la cifra di 750-800 miliardi di euro di investimenti necessari. Come ho già detto, si tratta di una stima prudente. In realtà, potrebbe essere ancora più alta se consideriamo che non include investimenti per la mitigazione del cambiamento climatico e altri obiettivi importanti. Ma questa cifra è stata stimata sulla base della situazione attuale e, in questo caso, è necessario emettere titoli di debito. E questo debito comune deve essere, per definizione, sovranazionale, perché alcuni Paesi dispongono di spazio fiscale, ma non sufficiente nemmeno per i propri obiettivi, mentre altri Paesi non hanno alcuno spazio fiscale».
La conclusione: «Uniti possiamo superare le sfide». Nelle prossime settimane si vedrà se a questa frase e a quel «ma fate qualcosa» farà seguito anche qualche azione concreta, oltre agli applausi con cui gli europarlamentari reagiscono alla fine dell’intervento.
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