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Senza il supporto di Green deal e Pnrr, il Paese sarebbe già in recessione

Quest’anno il Pil italiano crescerà di un terzo rispetto a quanto previsto dal Governo Meloni

Ronchi: «Puntare a eliminare la terapia perché comporta di dover bere qualche medicina amara, di convertire alcune produzioni, peggiora solo la malattia»
 |  Green economy

Le ultime stime preliminari sull’andamento del Prodotto interno lordo (Pil) elaborate dall’Istituto nazionale di statistica (Istat) mostrano un andamento economico molto diverso rispetto a quello immaginato dal Governo Meloni durante la stesura della legge di Bilancio 2025. Se l’esecutivo si attende per l’anno in corso una crescita pari all’1,2% del Pil, con la tendenza attuale il dato finale si fermerà ad appena un terzo, ovvero a solo +0,4%.

«Nel 2024 i dati Istat indicano che il Pil reale è aumentato, corretto per i giorni lavorativi, solo dello 0,5% – spiegano nel merito dall’Osservatorio dei conti pubblici – Tenendo conto del maggior numero di giorni lavorativi nel 2024 rispetto al 2023, il Pil reale dovrebbe essere cresciuto dello 0,6-0,7%, contro l’1% previsto dal governo. Per il 2025 il governo prevedeva un aumento del Pil dell’1,2%. Raggiungere questo risultato richiederebbe che il tasso di crescita trimestrale, zero nella seconda parte del 2024, salga di colpo allo 0,45% per tutti i trimestri del 2025. Tenendo conto della politica restrittiva di finanza pubblica (il deficit era previsto ridursi di mezzo punto percentuale quest’anno) e della sostanziale invarianza del quadro internazionale (come aggiornato a gennaio 2025 dal Fondo monetario internazionale), una tale accelerazione sembra al momento del tutto improbabile, nonostante il taglio dei tassi di interesse da parte della Banca centrale europea. Ipotizzando che, da un tasso di crescita zero, il Pil reale cresca in ogni trimestre del 2025 dello 0,15% rispetto al trimestre precedente, il tasso di crescita annuale sarebbe dello 0,4%, ossia 0,8 punti percentuali sotto l’obiettivo».

Tutto questo nonostante sia in corso l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), coi suoi 194,4 miliardi di euro in investimenti da concludersi entro il 2026. Il problema è che l’Italia deve ancora spendere il 70% di queste risorse entro il 2026, un’ipotesi ormai sempre più improbabile.

Come spiega Edo Ronchi, già ministro dell’Ambiente e oggi alla guida della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, se togliessimo dall’economia italiana i «miliardi ricevuti dalla Ue per il Pnrr – la principale misura del Green deal europeo – il 2024 si sarebbe chiuso in recessione invece che con una crescita, debole, dello 0,5%. I fondi del Pnrr potevano essere usati meglio? Le riforme previste dovevano essere più incisive? Certamente, ma senza le risorse europee del Green deal, l’andamento dell’economia italiana sarebbe stato certamente peggiore».

Le basi del Green deal sono state gettate nel 2019, prima dell’arrivo della pandemia, offrendo un modello di sviluppo anche agli Usa – travolti poi dal ciclone Trump – fatto di innovazione tecnologica trainata dagli investimenti verdi; poi a sconvolgere il mondo sono arrivati in rapida sequenza Covid-19 e l’invasione russa dell’Ucraina, con la conseguente impennata dei prezzi dell’energia, ad oggi ancora ancorati ai combustibili fossili a partire dal gas, che hanno trascinato con sé l’inflazione.

«Imputare al Green deal le recenti difficoltà economiche e industriali pare francamente poco sensato – osserva Ronchi – Nei cambiamenti di vasta portata è inevitabile che alcune attività economiche cessino, mentre altre si sviluppano, che si creino nuove opportunità per molti ma non contemporaneamente per tutti: non si può pretendere che anche i tacchini festeggino il Natale, né che il vasto mondo dei fossili sia contento per la decarbonizzazione. Cavalcare il malcontento, specie quando l’economia non va bene, è più facile – e a quanto pare anche elettoralmente più vantaggioso – che affrontare sfide impegnative, anche quando sono ineludibili e decisive per lo sviluppo, possibile solo quando i conti complessivi, dei benefici e dei costi necessari per ottenerli, sono positivi. Non è possibile restare fra le economie avanzate, tornando indietro. Nel mercato globale attuale un’economia avanzata può restare tale puntando su prodotti, processi produttivi, su filiere di bassa qualità ecologica, ad alto impatto climatico e sulle risorse naturali? Un’economia può restare avanzata trascurando il mantenimento dei servizi ecosistemici forniti dal capitale naturale? E quanto potrebbero essere avanzate e prosperare le imprese in un territorio devastato dalla crisi climatica ed ecologica? Puntare a eliminare la terapia (il Green deal) perché comporta di dover bere qualche medicina amara, di convertire alcune produzioni, non è una soluzione: peggiora solo la malattia».

Luca Aterini

Luca Aterini, toscano, nasce settimino il 1 dicembre 1988. Non ha particolari talenti ma, come Einstein, si dichiara solo appassionatamente curioso: nel suo caso non è una battuta di spirito. Nell’infanzia non disegna, ma scarabocchia su fogli bianchi un’infinità di mappe del tesoro; fonda il Club della Natura, e prosegue il suo impegno studiando Scienze per la pace. Scrive da sempre e dal 2010 per greenreport, di cui è oggi caporedattore.