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Il gruppo conservatore ha messo a punto un documento favorevole a «deregolamentazione e semplificazione» in cui si evocano seri danni «se le norme green diventano un ostacolo per la competitività e la crescita»

Auto elettriche, rinnovabili, livelli di CO2: il Ppe apre il fronte per rivedere le politiche Ue sul clima

La Commissione europea annuncia per il 30 gennaio l’avvio di un «dialogo strategico» per l’industria automobilistica: von der Leyen presiede il primo incontro con aziende e sindacati
 |  Green economy

La Commissione europea riapre il dossier auto e contemporaneamente dal fronte Ppe parte un’offensiva non solo per rivedere lo stop ai motori a combustione interna dal 2035, ma anche per cancellare o annacquare una serie di politiche comunitarie per la tutela dell’ambiente, l’impegno sulle rinnovabili e il taglio delle emissioni di gas serra.

Ad annunciare che la difficile situazione che sta vivendo il settore automobilistico verrà affrontata in un incontro ad hoc è la stessa Commissione Ue. In una nota diffusa ieri viene data la notizia che il 30 gennaio prenderà il via un «dialogo strategico» con l’industria automobilistica europea. A presiedere il primo incontro in agenda con i vertici aziendali, i sindacati e le altre parti interessate sarà la stessa Ursula von der Leyen. «Questa iniziativa sottolinea l’impegno della Commissione a salvaguardare il futuro di un settore vitale per la prosperità europea, promuovendo al contempo gli obiettivi climatici e quelli sociali più ampi», si legge nel documento diffuso da Bruxelles. A quello di fine mese seguiranno periodicamente altri incontri e l’obiettivo è quello di raccogliere e presentare una serie di proposte che facciano risollevare un mercato che da mesi si dimostra in grande affanno. «L'industria automobilistica, pietra miliare dell'economia europea, impiega oltre 13 milioni di persone e contribuisce per circa il 7% al Pil dell’Ue – ricordano da Bruxelles – tuttavia, questo settore cruciale sta affrontando un periodo di trasformazione significativa, guidato dalla digitalizzazione, dalla decarbonizzazione, dall’aumento della concorrenza e da un panorama geopolitico in evoluzione». 

Bisognerà vedere se con questi incontri si riuscirà a trovare le soluzioni necessarie a rilanciare il settore senza però rinnegare scelte compiute in passato, a cominciare dallo stop alla vendita di motori alimentati a benzina e gasolio dal 2035. Il sospetto che inizia a circolare tra i gruppi progressisti e ambientalisti è che le famiglie politiche conservatrici e di destra vogliano approfittare di questa situazione per rinviare a data da destinarsi il divieto riguardante i motori a combustione interna. Un sospetto che pare fondato, considerando che già nelle scorse settimane il Ppe ha aperto la battaglia per evitare multe alle case automobilistiche che non tagliano le emissioni di CO2 come previsto dalle attuali normative e presentato un documento contro lo stop dal 2035.

E il sospetto si è fatto ancor più fondato alla luce di un nuovo documento siglato dai vertici del Ppe al termine di in un incontro tenuto a Berlino il 17 e 18 gennaio. In tre pagine sintetizzate sotto il titolo «L’Europa ha bisogno di più crescita e occupazione - Migliorare la competitività riducendo la burocrazia e l’eccesso di regolamentazione», il principale gruppo conservatore europeo ha infatti esteso la sua contrarietà ai vincoli previsti per il settore auto a una serie di altre questioni determinanti per la lotta ai cambiamenti climatici. La tesi di fondo del documento, presentato come «un’agenda di deregolamentazione e semplificazione», è che l’Europa sta perdendo competitività sul piano internazionale e riducendo la capacità produttiva a causa del peso di «oneri normativi» che sono troppo costosi e in fin dei conti «autolesionisti» per le aziende. «Le fosche prospettive per l’economia europea devono essere contrastate con una chiara attenzione a una maggiore competitività e con una regolamentazione minore e più mirata», scrivono i vertici del Ppe dicendosi «favorevoli a una sostanziale riduzione della burocrazia e della regolamentazione». Solo così, dicono, possiamo «assicurarci che l’Europa rimanga una destinazione leader per gli investimenti, la tecnologia e l’occupazione».

Il gruppo, di cui fa parte la stessa presidente della Commissione Ue von der Leyen, vuole mettere in stand by o rinviare di almeno due anni le norme di rendicontazione della sostenibilità aziendale (Csrd), quelle sulle tasse riguardanti le importazioni di CO2 (Cbam), vuole evitare «un’ulteriore regolamentazione eccessiva» riguardante il sistema di scambio di quote di emissioni (Ets) e non vuol sentir parlare di obiettivi separati per la quota di energia rinnovabile, sostenendo che ogni singolo Paese deve poter decidere quali tecnologie utilizzare per centrare i propri target climatici. Il documento torna ovviamente anche sulla necessità di mantenere la competitività dell’industria automobilistica europea e sollecita alla Commissione Ue «misure di sostegno per evitare potenziali multe in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi di emissione per il 2025».

Il punto è, sostengono i vertici del Ppe, che l’Ue ha stabilito obiettivi climatici ambiziosi e le politiche per raggiungerli, ma nella fase di attuazione «dobbiamo assicurarci che non portino alla deindustrializzazione»: «Se la politica climatica diventa un ostacolo per la competitività e la crescita, non solo non avrà il sostegno dei cittadini europei, ma rischierà anche di aumentare le emissioni globali perché i prodotti saranno realizzati in altre regioni del mondo con emissioni più elevate». Ed ecco la conclusione del documento, sul quale von der Leyen al momento non ha espresso, almeno pubblicamente, parola: «Se vogliamo che l’Ue crei nuova crescita e occupazione, la Commissione europea, ma anche il Parlamento europeo, il Consiglio e le autorità nazionali e locali devono dare prova di autocontrollo riguardo ogni nuova regolamentazione. Ciò richiede una nuova mentalità. Non tutte le buone idee devono essere messe in legge. L’Ue dovrebbe concentrarsi sulle grandi questioni invece di regolamentare ogni ambito della vita delle persone».

Simone Collini

Dottore di ricerca in Filosofia e giornalista professionista. Ha lavorato come cronista parlamentare e caposervizio politico al quotidiano l’Unità. Ha scritto per il sito web dell’Agenzia spaziale italiana e per la rivista Global Science. Come esperto in comunicazione politico-istituzionale ha ricoperto il ruolo di portavoce del ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca nel biennio 2017-2018. Consulente per la comunicazione e attività di ufficio stampa anche per l’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino centrale, Unisin/Confsal, Ordine degli Architetti di Roma. Ha pubblicato con Castelvecchi il libro “Di sana pianta – L’innovazione e il buon governo”.