Non solo Trump, anche in Italia le «crescenti disuguaglianze» generano mostri. L'appello di Mattarella e i nuovi dati Oxfam
Oggi Donald Trump tornerà alla presidenza degli Stati Uniti d’America, con al suo fianco l’uomo più ricco del mondo – Elon Musk –, che ne ha favorito la ri-elezione finanziando lautamente la campagna elettorale e condizionando ulteriormente l’opinione pubblica alimentando disinformazione attraverso il social media di sua proprietà, X.
Gli effettivi risultati di quest’operazione sono ancora tutti da scoprire, ma gli indizi sono già chiarissimi: il ritorno di Trump in salsa oligopolio tech porterà un ampio disimpegno sul fronte della lotta climatica – con maggiori investimenti nell’oil & gas e il preannunciato addio all’Accordo sul clima di Parigi – e un arretramento del welfare state che spingerà con le spalle al muro un crescente numero di statunitensi. È il grande paradosso della nostra epoca, dove quel che resta della classe operaia si getta tre braccia della destra sentendosi non sufficientemente tutelata dalla sinistra, e finendo così per peggiore la propria condizione. Si tratta di un film già visto, purtroppo anche in Italia.
Non a caso da Agrigento, per la cerimonia d’inaugurazione per la Capitale della cultura 2025, il presidente della Repubblica ha ammonito contro la tecnologia che «pretende, talvolta, di monopolizzare il pensiero piuttosto che porsi al servizio della conoscenza» e sollecitando «la necessità di ricomporre, di rigenerare coesione, di procedere insieme […] Lo esigono le diseguaglianze crescenti. Le povertà estreme, le marginalità. Lo richiede il lamento della terra, violata dallo sfruttamento estremo delle risorse, con le sue catastrofiche conseguenze, a partire dal cambiamento climatico».
Anche in questo caso sostenibilità sociale e ambientale si toccano, non solo perché la responsabilità per le emissioni di gas serra pesa nettamente sulle spalle dei più ricchi, ma anche perché dovrebbe essere ormai chiaro che la conversione ecologica potrà affermarsi soltanto se apparirà socialmente desiderabile – come avvertiva in tempi non sospetti Alex Langer –, e questo si traduce nella «urgenza di un riequilibrio, di un nuovo sviluppo che potrà essere veramente tale solo se sarà sostenibile sul piano ambientale e sociale», come rimarca adesso Mattarella.
A che punto siamo in questo percorso? Non buono, come emerge dall’aggiornamento del rapporto Disuguitalia presentato oggi dall’ong Oxfam in occasione del World economic forum (Wef) di Davos. In Italia, a metà del 2024, il 10% più ricco dei nuclei familiari (titolare di quasi 3/5 della ricchezza netta del Paese) possedeva oltre 8 volte la ricchezza della metà più povera delle famiglie. Il rapporto era pari a 6,3 appena 14 anni fa.
Il fenomeno dell’inversione delle fortune è di lungo corso: tra dicembre 2010 e giugno 2024 la quota di ricchezza del top-10% delle famiglie è aumentata di oltre il 7% (passando dal 52,5% al 59,7%), mentre quella detenuta dal bottom-50% si è contratta di quasi l’1% (dall’8,3% al 7,4%). Il risultato è che la ricchezza è fortemente concentrata al vertice: il 5% più ricco delle famiglie italiane, detentore del 47,7% della ricchezza nazionale, come già reso noto da Bankitalia.
Lo 0,1% più ricco degli italiani ha registrato un incremento di oltre il 70% tra il 1995 e il 2016 (dal 5,5% al 9,4%), mentre nel solo 2024 la ricchezza dei miliardari italiani è aumentata di 61,1 miliardi di euro - al ritmo di 166 milioni di euro al giorno - raggiungendo un valore complessivo di 272,5 miliardi di euro detenuto da 71 individui. Senza dimenticare che quasi 2/3 della ricchezza miliardaria (il 63%) in Italia è frutto di eredità.
Al contempo, nel 2023 5,7 milioni di italiani versavano nel 2023 in condizioni di povertà assoluta, con l’incidenza della povertà a livello familiare lievemente aumentata nell’anno passando dall’8,3% all’8,4%.
Anche nel mercato del lavoro non è tutto oro quel che luccica. La ripresa occupazionale post-pandemica col tasso di occupazione al 62,4% (trainato dall’occupazione over-50) o quello, ai minimi storici, della disoccupazione al 5,7%, spiegato in parte dall’aumento degli inattivi la cui incidenza colloca l’Italia in cima all’Ue. Nel mentre persistono forti squilibri territoriali tra aree ad alta e bassa occupazione, e i giovani e le donne continuano a subire una marcata sotto-occupazione e una qualità lavorativa più bassa.
Senza dimenticare che il salario medio annuale reale è rimasto pressoché invariato negli ultimi trent’anni; nel periodo più recente, tra il 2019 e il 2023, il salario lordo reale è calato di oltre il 10% tenendo conto dell’inflazione.
«La dinamica del 2024 risentirà verosimilmente del rallentamento dell’economia nazionale, ma peserà anche la portata delle misure di contrasto alla povertà che hanno sostituito il reddito di cittadinanza – commenta Mikhail Maslennikov, policy advisor su giustizia economica di Oxfam Italia – Rispetto al Reddito di cittadinanza, l’Assegno di inclusione ha comportato una contrazione del 37,6% del numero dei nuclei beneficiari e uno scostamento maggiore (eccezion fatta per i nuclei con i minori) tra le famiglie che beneficiano del sussidio e quelle in povertà assoluta nel nostro Paese. Fallimentare fin qui è anche l’esperienza del Supporto per la formazione e il lavoro che va prefigurando, per i suoi percettori, una lenta transizione dall’occupabilità alla disperazione. Piuttosto che adottare toni acriticamente trionfalistici sulla crescita dell’occupazione, il Governo – aggiunge Maslennikov – dovrebbe affrontare con maggior vigore le datate debolezze strutturali del mercato del lavoro italiano, favorendo la riduzione dei divari retributivi e delle sacche di lavoro povero. Non sembra tuttavia questa l’intenzione dell’esecutivo. Una chiara politica industriale, orientata alla creazione di buona occupazione, resta del tutto assente, accompagnata da un immobilismo sul rafforzamento della contrattazione collettiva e sulla revisione del sistema di fissazione dei salari, nonché dall’affossamento del salario minimo legale come tutela dei lavoratori più fragili e meno protetti. Insistere sulla liberalizzazione dei contratti a termine, di somministrazione e stagionali e ridurre le tutele del lavoro negli appalti rischia di esasperare ulteriormente saltuarietà, discontinuità e precarietà lavorativa».
Al contrario, spingere su sostenibilità sociale e progressività fiscale, nel rispetto dell’articolo 53 della Costituzione, libereremmo anche importanti risorse per la transizione ecologica. Qualche esempio? Un recentissimo studio presentato su queste colonne dai ricercatori della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa e del LMU di Monaco propone una riforma organica della tassazione nazionale su reddito e/o capitale, dalla quale potremmo ricavare circa 26 miliardi di euro attingendo solo dall’1% più ricco della cittadinanza, trovando così un’importantissima fonte di finanziamento per la transizione ecologica del Paese, rendendola al contempo socialmente più equa e (dunque) più accettabile dalla popolazione.