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Fiom: a rischio 4.200 posti di lavoro nei prossimi 4 mesi

Cosa prevede il “Piano Italia” lanciato dal Governo con Stellantis per la filiera auto

Il ministro D’Urso annuncia «oltre 1 miliardo di euro nel 2025 per supportare le imprese nella transizione», ma il Fondo automotive è stato definanziato per 4,6 miliardi l’anno
 |  Green economy

Al tavolo aperto con Stellantis dal ministero delle Imprese, cui hanno partecipato ieri anche i sindacati, è stato presentato il nuovo “Piano Italia” che dovrebbe riportare al centro il Paese nei piani dell’ex Fiat, attraverso l’aumento dei modelli in produzione, elettrici e ibridi, e la salvaguardia dei livelli occupazionali.

Per il 2025 dalla casa automobilistica sono previsti circa 2 miliardi di euro di investimenti negli stabilimenti, e 6 miliardi di euro nello stesso periodo in acquisti da fornitori operanti in Italia. Di fatto però il responsabile dell’Europa di Stellantis, Jean-Philippe Imparato, ha ribadito la centralità dell’Italia ma confermando che il 2025 sarà un anno molto duro in termini di utilizzo degli ammortizzatori sociali: secondo Fiom ci sono 4.200 posti di lavoro a rischio solo nei prossimi 4 mesi.

Tra le principali novità è stata annunciata l’assegnazione della piattaforma Small a Pomigliano da cui potranno scaturire due nuovi modelli e una nuova versione della “Pandina”. Su Melfi, oltre a quanto già annunciato, verranno introdotte le versioni ibride per DS7 e Gamma. Su Cassino possibili versioni ibride di Giulia e Stelvio oltre ad un possibile nuovo modello di alta gamma dal 2027. Ad Atessa sarà avviata una produzione di elettrico da fine 2024 e dal 2027 una nuova versione di Largo Van. Su Mirafiori, invece, l’introduzione già annunciata della 500 ibrida da fine 2025 e la nuova gamma della 500 dal 2030 non sono rassicuranti: non ci saranno le condizioni di una saturazione per l’intero stabilimento. Tra i punti critici del piano industriale spiccano anche l’autonomia dei brand italiani, a partire dal futuro di Maserati, e la gigafactory di Termoli; senza dimenticare che i tempi per Cassino e Melfi, nonostante l’ibridizzazione, peseranno sui lavoratori.

Per la Fiom-Cgil quello di ieri «è un primo confronto di ripartenza. Avremo un periodo non particolarmente semplice nei prossimi anni, è necessario ricostruire rapporti di lealtà e fiducia con le lavoratrici e i lavoratori. Se siamo consapevoli del momento di difficoltà servono le risorse necessarie da parte del Governo. La nostra mobilitazione continuerà verso il governo e l’Unione europea, che dovrà prevedere un pacchetto straordinario di risorse per garantire i livelli occupazionali, la produzione e la rigenerazione dell’occupazione. È ora che a Palazzo Chigi siano convocate imprese e sindacati», dichiarano in una nota congiunta Michele De Palma, segretario generale Fiom-Cgil e Samuele Lodi, segretario nazionale Fiom-Cgil e responsabile settore mobilità.

Ma dall’Esecutivo continuano a fare melina. Il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, ha dichiarato che il «Governo, in un contesto di bilancio difficile, ha compiuto uno sforzo significativo, mettendo a disposizione del comparto e della filiera oltre un miliardo di euro nel 2025 per supportare le imprese nella transizione in corso con gli strumenti di politica industriale», dimenticando però che lo stesso Governo in legge di Bilancio ha definanziato il Fondo automotive – inaugurato nel 2022 dal Governo Draghi – per ben di più ovvero 4,6 miliardi di euro l’anno.

Nel frattempo la presidente Giorgia Meloni continua a scagliarsi contro il Green deal, individuato come l’origine di tutti i mali anche lungo la filiera automotive; con un non-paper promosso insieme ai Paesi dell’est Europa – Repubblica ceca, Austria, Bulgaria, Romania, Slovacchia e Polonia – cerca di mettere all’angolo la transizione sull’auto elettrica, seppur con scarso successo, mentre va meglio la proposta di allontanare le multe previste per il 2025 a quelle case auto che non rispettano i limiti d’emissione (proposta su cui stanno convergendo anche Francia e Germania).

Sullo sfondo restano i veri motivi della crisi che affligge la filiera automotive, che – come appena ammesso anche dalle stesse case automobilistiche riunite nell’Unrae – non ha niente a che vedere col Green deal, ma dipende da molteplici cause: si spazia dall’enorme incremento nei costi dei veicoli (+58% dal 2023) guidato dal caro materie prime come dalla scelta di puntare sul settore premium, fino all’assenza di politica industriale al persistere di una normativa ondivaga.

Redazione Greenreport

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