Si avvicina una nuova politica industriale per l'Ue: il Clean industrial deal
Le parole d’ordine della nuova Commissione di Ursula von der Leyen sono “competitività” e sicurezza: concetti dietro ai quali c’è l’intenzione di rispondere alle pesanti critiche da parte della destra rispetto alle normative del Green deal, alle obiettive preoccupazioni di lavoratori e lavoratrici, cercando di rimediare all’assenza di una strategia industriale europea che possa sostenere le transizioni verde e digitale nonché, ahinoi, le nuove priorità in materia di difesa. La pubblicazione del Clean industrial deal (Cid) è prevista per il 26 febbraio 2025, poco prima dello scadere dei 100 giorni dell’inizio del mandato della nuova Commissione a guida Ursula von der Leyen.
Ovviamente in questo momento non ci sono certezze sulle proposte, ma i servizi già ci lavorano da settimane e nelle lettere di “missione” che la presidente ha attribuito ai suoi commissari ci sono alcuni orientamenti che emergono. Inoltre, a Bruxelles c’è un grande attivismo dei vari gruppi di interesse e lobby industriali e non solo, che fra riunioni discrete, convegni in lussuose location e numerosi dibattiti, cercano di portare avanti le loro istanze.
Da quello che si sa e nonostante le forti pressioni del Ppe e della destra, in questa fase non pare che il Cid proporrà la riapertura di normative già concluse, in particolare per quanto riguarda il Green deal; dopo il tentativo (fallito) di una maggioranza di estrema destra di scardinare il Regolamento sulla deforestazione, la Commissione ha capito che qualsiasi riapertura di leggi già adottate potrebbe comportare una situazione di caos difficilmente gestibile[1]. A conferma di questo c’è il fatto che il Ppe, in un documento interno, ha presentato una lunga lista di direttive e regolamenti sui quali ritiene si debba tornare indietro[2] – anche se nella maggior parte dei casi ha direttamente partecipato alle maggioranze che le hanno adottate nel corso della passata legislatura. Perciò, con il Cid si cercherà piuttosto di portare avanti misure per la riduzione degli oneri burocratici, la semplificazione delle procedure e gli orientamenti per il sostegno finanziario verso i settori più vulnerabili e in particolare i settori ad alta intensità energetica.
Ad oggi, le priorità indicate sono la “semplificazione” dei processi amministrativi per la decarbonizzazione dell'industria, attraverso procedure più rapide per le autorizzazioni e sandbox regolamentari, che permettono di testare tecnologie innovative, anche derogando alla normativa; la riduzione dei prezzi dell'energia e l’accesso alle materie prime essenziali; la definizione di un quadro di riferimento per lo sviluppo della domanda di tecnologie pulite; strumenti di garanzie pubbliche per finanziare le industrie pulite, per favorire gli investimenti e ridurre il rischio d’impresa; la gestione dell'impatto sociale della decarbonizzazione a livello territoriale/regionale a livello distributivo; lo sviluppo delle competenze necessarie per le transizioni verde e digitale.
Ma è chiaro che, qualsiasi sarà l’ambizione delle proposte, l’elefante nella stanza sono i soldi. Ad oggi, il bilancio della Ue ammonta a più o meno l’1% del Pil della Ue, e in questo momento non c’è accordo sull’eventuale rilancio di un piano comparabile al NextGenerationEu (o Ira americano) e quindi alla sottoscrizione di debito europeo. E, visti i nuovi equilibri politici, c’è anche il serio rischio che questa operazione conceda sostegni e sussidi a industrie e tecnologie tradizionali, invece che incentivi e facilitazioni per le attività produttive più innovative e utili alle transizioni oltre che per la formazione, riconversione e accompagnamento dei lavoratori e lavoratrici, attuali e soprattutto futuri.
Ad ogni modo, le misure di cui si parla sono le seguenti:
- Una legge di accelerazione della decarbonizzazione industriale per le industrie ad alta intensità energetica per sostenere lo sviluppo, la produzione e la diffusione della tecnologia pulita dell'Ue, accelerando al contempo i processi di pianificazione, appalto e autorizzazione.
- Una strategia di gestione industriale del carbonio (Industrial carbon managment strategy) per accelerare il mercato della CO2 a sostegno dei settori difficili da decarbonizzare, come aviazione e settore navale oltre all’industria energivora.
- Un piano d'azione per l'energia a prezzi accessibili (Action plan for affordable energy) che comprenderà proposte per una maggiore integrazione del mercato dell'energia, la riduzione di tasse e oneri, l'incentivazione di contratti a lungo termine e di accordi di acquisto di energia (Ppa) per migliorare l'accessibilità energetica per le industrie. Da quello che sappiamo, il Piano dovrebbe essere presentato contemporaneamente al Cid. Il costo dell’energia per famiglie e imprese sarà quindi il tema principale della politica energetica dei prossimi anni, insieme alla consapevolezza che l'Ue non può essere competitiva se dipende dalle importazioni di combustibili fossili.
- Per quanto riguarda l'energia nucleare, il Cid includerà una comunicazione sul piano d'azione strategico e sulle tabelle di marcia tecnologiche sviluppate dall'Alleanza industriale per i reattori modulari di piccole dimensioni e una strategia dell'Ue sulla fusione. È molto interessante notare, però, che sia la vicepresidente Ribera che il commissario Jorgensen sono contrari al nucleare. Vedremo come riusciranno a limitare i danni (e soprattutto i soldi europei buttati al vento) in questo settore.
- Tra le misure aggiuntive figurano la revisione del quadro di sicurezza dell'approvvigionamento e forse (e non è una buona notizia) la revisione del regolamento sulla governance (sulla quale per ora per fortuna non c’è accordo fra gli Stati membri). Il Cid includerà anche misure per rafforzare le reti e migliorare lo stoccaggio dell'energia.
- Un piano sull'economia circolare (Circolar economy act) che avrebbe lo scopo di “aumentare l'offerta e la domanda di materiali secondari e di creare un mercato unico per i rifiuti”, comprese le misure dal lato dell'offerta e della domanda per le materie prime secondarie. L'obiettivo è quello di portare una maggiore armonizzazione su questioni come la responsabilità estesa del produttore (Epr) e i criteri per la cessazione della produzione di rifiuti, oltre ad una razionalizzazione e semplificazione delle procedure. Nuovi criteri di sostenibilità per gli appalti pubblici avrebbero lo scopo di incrementare la domanda di materiali secondari.
- Una nuova strategia per la bioeconomia per incoraggiare l'innovazione, scalare la produzione di biomateriali in modo sostenibile e sfruttare le sinergie con l'economia circolare.
- Un piano di investimenti per il trasporto sostenibile dando priorità alle soluzioni di decarbonizzazione dei trasporti.
- Un pacchetto per l'industria chimica (revisione di Reach) per sostenere l'attuazione della legislazione e la transizione dell'industria chimica verso alternative più pulite e sicure.
- Un piano per l'agricoltura e l'alimentazione per garantire un settore agricolo e alimentare competitivo e sostenibile (che purtroppo metterà da parte la strategia Farm-to-Fork)
Come si diceva più sopra, la credibilità del piano industriale dell'Ue dipenderà in larga misura dalla possibilità della Commissione europea e dei singoli Paesi di finanziarla. Nel 2025 si terrà un dibattito di orientamento per il prossimo bilancio a lungo termine dell'Ue per il periodo 2028-2034; l’enorme pressione sui governi e sulla Ue per rispondere alle ingenti necessità di fondi pubblici e investimenti privati imporrà senza dubbio di trovare una via di uscita a una impasse per adesso molto rischiosa che potrebbe rendere velleitario qualsiasi ipotesi di rilancio, come ben spiegato dai rapporti di Mario Draghi ed Enrico Letta.
Tra le principali iniziative in questo settore:
- Un Fondo europeo per la competitività per garantire gli investimenti nell'innovazione e nelle tecnologie per guidare la transizione, che però sarà basato per lo più sulla riorganizzazione di fondi già esistenti;
- Un nuovo quadro per gli aiuti di Stato che dovrà evitare la corsa alle sovvenzioni nazionali e un ulteriore indebolimento del mercato interno.
- La revisione della direttiva sugli appalti pubblici per consentire una preferenza per i prodotti negli appalti pubblici per i settori e le tecnologie strategiche.
- Partenariati per il commercio e gli investimenti “clean” con Paesi partner.
Come già accennato, la sfida più difficile per la Ue sarà trovare il giusto equilibrio tra aiutare i settori tradizionali (e spesso fossili) nella loro transizione e sostenere le industrie più innovative e già impegnate nella corsa per colmare il divario tecnologico e commerciale con gli Stati Uniti e la Cina, che è sempre più ampio, in un contesto di scarsità di risorse e frammentazione interna alla Ue.
La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha annunciato che la nuova Commissione “avrà una struttura più interconnessa” e che “tutti i commissari dovranno lavorare insieme”: ma anche a causa dell’accavallamento di competenze, il coordinamento interno si annuncia come un’operazione non semplice, data anche la differenza di approccio e cultura politica dei commissari e commissarie coinvolti; per questo è convinzione diffusa che la presidente abbia scelto questa struttura per tenere per sé le decisioni e arbitraggi più importanti; non è detto però che riuscirà a mantenere coesa la sua squadra.
La presidente ha poi affermato che questa Commissione ha l’intenzione di avviare un dialogo “senza precedenti” con le parti interessate e i cittadini e ha chiesto a tutti i Commissari/e di organizzare sistematicamente contatti e consultazioni prima di presentare proposte e di prendere iniziative. Sarà importante capire se questo si tradurrà in una qualche forma di processo organizzato e aperto di dialogo, oltre a quelli già in atto, che oggi interessano per lo più gli attori e le rappresentanze di settori industriali che hanno più facile accesso ai governi e non sono sempre trasparenti.
È importante notare infine, che le eventuali modifiche e le iniziative legislative che saranno proposte dovranno passare attraverso il regolare processo di consultazione delle parti interessate, le valutazioni d'impatto e l'approvazione da parte di Parlamento e Consiglio: un processo laborioso e molto più controverso che in passato.
Si stanno accumulando notevoli aspettative su questo Clean industrial deal: vedremo fino a che punto sarà possibile realizzarle davvero, stante le attuali divisioni tra i governi e le istituzioni UE, la scarsità di risorse e il contesto politico davvero complesso.
Di seguito i commissari/e coinvolti/e nel Cid:
Teresa Ribera (Spagna), vicepresidente esecutivo per la Transizione pulita, giusta e competitiva: coordina il lavoro sul Clean industrial deal insieme all'Evp Séjourné e agli altri commissari.
Stéphane Séjourné (Francia), vicepresidente esecutivo per la Prosperità e la strategia industriale: responsabile per decarbonizzare e industrializzare l'Europa attraverso il Clean industrial deal, lavorando a stretto contatto con l'Evp Ribera e il commissario Hoekstra.
Wopke Hoekstra (Paesi Bassi), competente per Clima e crescita pulita: partecipa all’elaborazione e realizzazione del Clean industrial deal con particolare attenzione alla decarbonizzazione, alle tecnologie pulite e all'incentivazione degli investimenti. Contribuisce all'Industrial decarbonization accelerator act, concentrandosi sulla decarbonizzazione dei settori industriali chiave.
Dan Jørgensen (Danimarca), competente Energia e alloggi: è responsabile della dimensione energetica del Clean industrial deal. Lavorerà sui percorsi di decarbonizzazione per le industrie, compreso un piano d'azione per prezzi energetici accessibili.
Jessica Roswall (Svezia), competente per Ambiente, resilienza idrica ed economia circolare competitiva: è responsabile del Circular economy act.
Piotr Serafin (Polonia), competente per Bilancio, antifrode, Pubblica amministrazione: è responsabile della proposta e operatività del futuro Fondo per la competitività dell'Ue.
[1] L’accordo tra Commissione, Parlamento e Consiglio era di riaprire la normativa ma solo per posporre di un anno la sua applicazione. Il Ppe, nonostante gli accordi, ha presentato altri emendamenti volti a indebolirne drasticamente la portata. Manovra alla fine non riuscita perché la maggioranza del Consiglio (senza l’Italia) e la Commissione non hanno ceduto e alla fine la relatrice del Ppe responsabile ha ceduto. Ma su altri temi il gioco potrebbe funzionare con effetti davvero imprevedibili.
[2] Direttiva emissioni, Legge sul clima, sistema Ets, automotive,...