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Alla Camera il primo convegno con tutti gli stakeholder

Il Deposito cauzionale per il riciclo degli imballaggi per bevande (Drs) è atteso alla prova sul campo

Da Mase e Anci la proposta di «una sperimentazione da fare in tre aree del nord, del centro, e del sud accompagnate da una valutazione Lca»
 |  Green economy

La direttiva europea sulla plastica monouso (Sup), approvata cinque anni fa e recepita dal Governo italiano nel novembre del 2021 per poi entrare in vigore nel gennaio dell’anno successivo, stabilisce sfidanti obiettivi di raccolta per le bottiglie in Pet per bevande (77% al 2025 e 90% al 2029, quest’ultimo un target ripreso anche dal recente regolamento Ue sugli imballaggi), dalle quali l’Italia è ancora molto lontana.

Secondo i dati contenuti nella Relazione ambientale 2023 di Coripet, infatti, l’Italia è ancora ferma al 68,6%. Per questo nel Paese resta vivo il dibattito sull’utilità di introdurre o meno un sistema di deposito cauzionale (Drs), finalizzato a massimizzare l’avvio a riciclo degli imballaggi (bottiglie e lattine) per bevande monouso.  

Per la prima volta, nei giorni scorsi la Camera dei Deputati ha ospitato un confronto tra tutti i principali portatori d’interesse, riuniti attorno ad un unico tavolo per il convegno “Strategie e scenari di sostenibilità alla luce dei nuovi obblighi di legge: il potenziale ruolo del deposito cauzionale” promosso da Sergio Costa, vicepresidente della Camera e già Ministro dell’ambiente.

È utile ricordare che stiamo parlando di una minima frazione di tutti i rifiuti che generiamo: gli imballaggi nel loro complesso – quelli per bevande ovviamente sono solo una piccola parte –  rappresentano il 4% del totale in Europa, ma in Italia si arriva comunque al doppio (8%). È dunque necessario interrogarsi su come gestirli al meglio: per discuterne, alla Camera oltre a Costa erano presenti Enzo Favoino (campagna A buon rendere), Laura D’Aprile (Mase), Veronica Nicotra (Anci), Simona Fontana (Conai), Giovanni Bellomi (Corepla), Giovanni Albetti (Coripet), David Dabiankov Lorini (Assobibe), Stefano Stellini (Cial).

«A livello europeo – dichiara Favoino – i network di produttori di bevande e la stessa Plastic europe sono tutti a favore del Drs, per un efficientamento della nostra filiera. La cosa è confermata anche dal Manifesto per la circolarità di Unesda, l’associazione dei produttori di soft drinks Ue, Manifesto che è stato sottoscritto da Assobibe. Chi ha visione industriale è a favore del Drs. I benefici riguardano un aumento dei tassi di raccolta e di riciclo, la disponibilità di materiali per un riciclo closed loop, una riduzione dei gas serra, la prevenzione del littering e la riduzione dei relativi oneri operativi ed economici a carico delle Amministrazioni locali, e una riduzione della Plastic tax».

Del resto lo studio della campagna afferma che un sistema cauzionale si autofinanzia senza interventi di alcun tipo da parte dello Stato o di altri enti pubblici. Lo studio ha quantificato i costi di gestione annui per un Drs in Italia, che verrebbe finanziato dai ricavi della vendita dei materiali ai riciclatori, dai depositi non riscossi e dal contributo Epr pagato al sistema dai produttori di bevande per ogni contenitore immesso sul mercato  che vale pochi centesimi: si parla nel complesso di un fabbisogno di Rvm (Reverse vending machine) intorno alle 25.000 unità – affiancate da punti di restituzione manuali, es. per i piccoli Comuni che hanno solo negozi di vicinato – e una spesa sui 5 milioni di euro o poco più per l’infrastruttura informatica e antifrode.

Si tratta però di costi enormemente distanti rispetto a quelli stimati da studi supportati dal Conai, dove per la raccolta si ipotizza la necessità di 100.000 Rvm dal costo di due-tre miliardi di euro, e un ingente costo dell'infrastruttura informatica, ipotizzato tra i 500 milioni e 1 miliardo di euro.

Nel merito, Fontana ha ribadito l'importanza di un approccio basato sui dati, e secondo la direttrice del Conai quelli in loro possesso dicono che l'Italia, con un'intercettazione del 70% per le bottiglie in Pet, non avrà problemi nel raggiungere obiettivi della direttiva Sup; quello che manca, afferma Fontana, «sono le 60-70 mila ton che finiscono nel rifiuto indifferenziato recuperabili spingendo sulla corretta raccolta differenziata».

Come mettere alla prova due visioni così distanti? D’Aprile, capo dipartimento Sviluppo sostenibile del ministero dell’Ambiente, ha auspicato un confronto tra studi e l’importanza che vengano considerati negli studi gli impatti ambientali di un Drs nel suo insieme di attività anche logistiche.

Sia D’Aprile che la segretaria generale dell’Anci Nicotra, intervenuta subito dopo, hanno posto il problema dell’attuale infrastrutturazione impiantistica, ancora frammentata nel centro sud, presentata come un ostacolo all’implementazione di un Drs.

D’Aprile ha affermato che il gap impiantistico verrebbe colmato al 2026 con i progetti finanziati dal Pnrr, Nicotra ha tuttavia evidenziato che solamente il 30% dei progetti presentati dai Comuni è stato accolto per un finanziamento e, ricollegandosi al problema della assenza di infrastrutturazione in alcune aree, ha sottolineato che la Tari rappresenta un tributo iniquo ed esorbitante per il cittadino di città come Catania, causato dall’esportazione dei rifiuti verso gli impianti al nord o all’estero.

In sintesi, per ripulire il terreno dalle troppe ipotesi in campo, non resta che metterle davvero alla prova. La proposta lanciata da D'Aprile, condivisa sia da Nicotra che da altri relatori, è quella di «arrivare preparati agli obblighi del 2029» partendo «con una sperimentazione da fare in tre aree del nord, del centro, e del sud accompagnate da una valutazione Lca». La possibile introduzione del Drs in Italia è dunque attesa alla prova sul campo.

Redazione Greenreport

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