Transizione energetica ed economia circolare, nel mondo servono 100 milioni di lavoratori “nuovi”
Per affrontare la transizione energetica e per passare dall’attuale sistema economico a un’economia circolare sarà necessario investire nella formazione di lavoratori qualificati per un numero stimato a livello mondiale in 100 milioni di nuovi professionisti, che dovrebbero impegnarsi nell’adozione di pratiche sostenibili, sviluppo di veicoli elettrici e aumento dell’efficienza energetica. È quanto emerge da una recente indagine presentata in occasione di “The Green Job. Dal tech ai Raee: le nuove competenze del mercato del lavoro”, l’evento di chiusura del progetto “Training for Circularity. Borse di Studio (Weee Edition), promosso da Erion Weee, EconomiaCircolare.com, Enea, Cdca e patrocinato dalla Città Metropolitana di Roma.
Lo studio, che presenta una corposa sezione dedicata ai rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (i cosiddetti Raee), indica tra l’altro che a livello mondiale la transizione verde comporterà anche una perdita stimata di 78 milioni posti di lavoro. Si prevede, infatti, che l’occupazione nei settori ad alta intensità di risorse naturali e basati sui combustibili fossili diminuirà notevolmente. Ad esempio, il settore dell'energia negli Stati Uniti potrebbe subire la perdita di 1,7 milioni di posti di lavoro (in settori legati ai combustibili fossili), mentre in Europa, potrebbero andare persi da 54 mila a 112 mila posti di lavoro diretti a causa della graduale eliminazione dei sistemi di produzione di energia da carbone. Riqualificare questi lavoratori sarà essenziale per ridurre i costi sociali della transizione verde in termini di disoccupazione, comportamenti a rischio e tensioni sociali. Nonostante ciò, le aziende non sembrano particolarmente attive nella ricerca di nuovo personale a causa (nell’84% dei casi) della mancanza di fondi e incentivi.
L’argomento è stato discusso nel corso dell’evento “The Green Job”, che ha visto tra l’altro la partecipazione di 10 borsisti di “Training for circularity”, il progetto di formazione-lavoro che nell’ultimo anno ha permesso ai giovani laureati e neolaureati di acquisire competenze nel campo dell’economia circolare, con specifico riferimento al settore dei Raee: dallo studio dell’ecodesign allo sviluppo di strumenti eco-innovativi per il trattamento di questi rifiuti, fino alle strategie di comunicazione, marketing e fundraising per la sostenibilità. «Erion Weee – ha affermato il dg, Giorgio Arienti – riconosce l'importanza di puntare su nuove competenze e professionalità, così da facilitare il passaggio da un'economia lineare a una circolare. Si tratta di una sfida culturale che potrà essere affrontata solo attraverso un impegno concreto sul fronte dell’informazione e della formazione. Per questo motivo, investire sui giovani risulta la strategia più efficace per promuovere un cambiamento concreto».
«La chiusura dei cicli nelle filiere produttive passa anche dalla formazione di nuove figure professionali. In particolare, in un settore strategico come quello dei Raee e del recupero delle Materie prime critiche, che richiede conoscenze tecnologiche specifiche e metodologie innovative», ha dichiarato Claudia Brunori direttrice del Dipartimento sostenibilità, circolarità e adattamento al cambiamento climatico dei sistemi produttivi e territoriali Enea. «Con "Training for Circularity. Borse di studio (Weee Editon)" – ha aggiunto Brunori – abbiamo voluto dare il nostro contributo per colmare questo gap di competenze confrontandoci direttamente con le esigenze delle aziende impegnate nella transizione del mondo delle apparecchiature elettriche ed elettroniche».
Il progetto, aggiunge il presidente di Cdca Lucie Greyl «è stato un esempio virtuoso di come formazione e informazione debbano andare di pari passo per affrontare la doppia transizione, ecologica e digitale. Grazie a percorsi specializzanti e a un approccio multidisciplinare, abbiamo provato a rispondere al bisogno di una nuova generazione di professionalità in grado di integrare competenze tecniche, sociali e visione sistemica, tutti elementi fondamentali per stimolare un cambiamento duraturo dei sistemi di produzione e di consumo e promuovere un'economia sostenibile e giusta».
L’impegno per raggiungere gli obiettivi in questi settori però dovrà continuare e anche essere ulteriormente incrementato, perché come rivela un’inchiesta condotta dall’associazione Greenpeace e dalla trasmissione televisiva Presa diretta, le criticità della filiera italiana dei rifiuti elettronici non sono da poco: su 21 dispositivi tracciati nel corso dell’indagine, infatti, solo 8 hanno realmente raggiunto gli impianti di gestione.
L’inchiesta congiunta è partita nei mesi scorsi per monitorare il riciclo e lo smaltimento dei rifiuti da apparecchiature elettriche e elettroniche nel nostro Paese. I dati raccolti, comunicati in esclusiva nella puntata di Presa diretta andata in onda su Rai3 nella serata di ieri, domenica 22 settembre, hanno evidenziato le numerose criticità della filiera italiana di gestione.
Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia, ha raccontato in esclusiva quanto è emerso dal tracciamento dei rifiuti elettronici che ha coinvolto, da Nord a Sud, cinque regioni italiane: Lombardia, Toscana, Lazio, Campania e Puglia. Su 21 dispositivi Raee (stampanti, schede madri, laptop, smartphone, tv etc.) smaltiti presso isole ecologiche o negozi, in circa tre mesi solo sette hanno raggiunto impianti di gestione certificati. Dei rimanenti, cinque sono usciti fuori dalla filiera corretta di recupero, otto non sono stati trasferiti o non risultano più presenti nell’isola ecologica di origine, mentre uno è finito in un impianto registrato ma non certificato.
Questi numeri, sottolinea Greenpeace Italia, confermano le già note scarse performance del nostro paese nella raccolta dei rifiuti elettronici. «Nel 2023 si è addirittura registrato un calo nel tasso di raccolta pari al 4,5% rispetto all’anno precedente. Inoltre, il nostro Paese ha raccolto meno della metà dei Raee richiesti da Bruxelles, raggiungendo solo il 30,2%. Un risultato ben al di sotto del target europeo contenuto nella direttiva 2024/884, che impone un tasso minimo di raccolta del 65% del peso medio delle apparecchiature immesse sul mercato negli ultimi tre anni».
Tra l’altro, la Commissione europea nei mesi scorsi ha avviato due nuove procedure d’infrazione contro l’Italia proprio in merito alle direttive rifiuti ma, nonostante questo, il Parlamento frena ancora sulle misure che potrebbero dare un maggior impulso alla raccolta e al riciclo dei Raee. Nel frattempo, la domanda dei dispositivi elettronici cresce senza sosta. Sottolinea Greenpeace Italia: «Se da un lato l’aumento dei consumi, e di conseguenza dei rifiuti prodotti, pone un serio problema di inquinamento perché alcuni Raee contengono sostanze tossiche, dall’altro queste apparecchiature contengono anche una quantità rilevante di materie prime (rame, acciaio, alluminio, terre rare) che, se fossero recuperate e riciclate correttamente, potrebbero ridurre la nostra dipendenza dalle importazioni di risorse critiche dall’estero. I Raee contribuiscono anche a creare le cosiddette miniere urbane, spazi dove vengono portati scarti quotidiani urbani (compresi i dispositivi elettronici) e poi immagazzinati sotto forma di residui». Per questo, le lacune nella filiera di raccolta e riciclo delle apparecchiature elettroniche evidenziate dall’inchiesta di Greenpeace Italia e Presa Diretta rischiano di favorire pratiche di smaltimento illegale e attività estrattive, in evidente contrasto con i principi di una transizione ecologica basata sull'economia circolare. Ha dichiarato il responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia, Giuseppe Ungherese: «Piuttosto che colmare le evidenti lacune nella filiera di raccolta e riciclo, i legislatori europei e nazionali perseguono politiche di estrattivismo che potrebbero presto portare a riaprire o avviare nuove miniere in Italia e in Europa. Ancora più pericolosamente, nei prossimi anni potrebbero partire le estrazioni minerarie negli abissi, il cosiddetto Deep sea mining (estrazione mineraria in acque profonde). Stiamo andando fuori rotta, meglio realizzare una vera economia circolare inserendo meccanismi incentivanti per lo smaltimento e che valorizzino i rifiuti Raee».