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Nuove norme Ue per gli imballaggi fanno parlare di economia circolare

L’Unione europea ha implementato un nuovo regolamento per gli imballaggi. È questo un passo necessario verso l’economia circolare, o un inutile spreco di denaro?
 |  Green economy

Il Regolamento su imballaggi e rifiuti da imballaggio è stato licenziato dalla Commissione nel novembre 2022, e lievemente emendato dal Parlamento Europeo nel novembre 2023. Su questo testo si è raggiunto l’accordo tra Parlamento e Consiglio europeo nel marzo 2024, ma dovrà essere riapprovato da entrambi per un problema procedurale. Non sono più ammessi emendamenti: qualora il nuovo Parlamento dovesse respingerlo, l’iter dovrà ricominciare daccapo. Se dovesse venire approvato, questo regolamento farà discutere l’implementazione dell’economia circolare.

L’economia circolare è uno slogan che negli anni è dilagato nel dibattito pubblico, andando a cementarsi nell’opinione comune come una specie di mantra.

Il marketing insegna: uno slogan efficace può più di migliaia di pagine di trattati. Il messaggio è vincente se è semplice da capire e se riesce a scavalcare la cortina difensiva del ragionamento logico, colpendo direttamente al cuore. Così “circolare” è bene, “lineare” è male. Stare “sopra” (nella gerarchia dei rifiuti) è bene, stare “sotto” è male.

Ben venga la semplicità, se è utile a veicolare i concetti e a tradurli in politiche e comportamenti, a patto che non degeneri in semplicismo, e a patto che al momento della traduzione sia ben chiara la differenza fra ciò che vogliamo – un’economia prospera, sana, in pace con gli equilibri dell’ecosistema e con il clima – e gli indicatori che utilizziamo per guidare le strategie e misurare i risultati raggiunti.

Il Regolamento mette in campo una variegata batteria di misure (tabella 1). Esse vanno dall’obbligo di etichettatura a quello di includere una frazione di materiali di riciclo nei prodotti nuovi, dall’obbligo di rendere riciclabili o compostabili tutti gli imballi alla definizione di precisi standard di riciclabilità, fino alle misure più controverse che mettono al bando agli imballaggi monouso “non necessari” e fissano target quantitativi di riuso e riutilizzo, con l’introduzione obbligatoria di sistemi di vuoto a rendere e di vendita di prodotti sfusi. Tali obiettivi riguardano sia il commercio al dettaglio sia la somministrazione di cibi e bevande da parte di hotel, bar e ristoranti. Gli emendamenti introdotti dal Parlamento riguardano alcune esenzioni – in particolare, per i Paesi che al 2026 avranno raggiunto un target di raccolta differenziata del 78% – ma confermano sostanzialmente l’impianto proposto dalla Commissione.

Si tratta di un insieme di norme eterogenee, che è difficile valutare nell’insieme. Se alcune proposte, come quelle sull’etichettatura e sul contenuto di materiale riciclato, hanno incontrato un favore abbastanza unanime, assai controverse sono quelle relative al riuso e riutilizzo, che rischiano di mettere in difficoltà, paradossalmente, proprio quei paesi che sono riusciti a raggiungere nel tempo livelli di eccellenza nel riciclo, in particolare l’Italia. Il timore di molti operatori è che lo spostamento di enfasi dal riciclo al riuso metterà fuori gioco i collaudati sistemi di raccolta differenziata e recupero di materia, che andranno sostituiti da sistemi completamente diversi (riconsegna dell’imballaggio integro al produttore, somministrazione di prodotti sfusi), tutti da inventare. I rivenditori dovranno tenere complesse contabilità degli imballaggi utilizzati, con un prevedibile aggravio degli adempimenti burocratici.

Soprattutto, non si coglie bene quale sia la ragione di una simile rivoluzione. ma confonde ulteriormente le idee. Esso considera l’insieme delle misure come un tutt’uno, nascondendo le informazioni che permetterebbero di valutarle singolarmente. Ma anche in aggregato, i benefici attesi sono così modesti che la Commissione è costretta ad arrampicarsi sugli specchi per abbellire il dato. ad esempio, è presentata come un grande successo, pari al “42% delle emissioni totali dell’Ungheria” (rapportando cioè le riduzioni totali alle emissioni di un singolo Paese). Ma la riduzione misurata più correttamente a livello europeo è infatti molto più modesta (-1,66%), e quella riferibile alle misure più controverse relative agli imballaggi primari (divieto di imballi monouso, target di riuso e riutilizzo, diminuzione complessiva degli imballaggi) pesa un ben misero 0,08%.

Lo studio si basa su un modello alquanto rudimentale, non reso noto nelle specifiche, che sottostima notevolmente i costi economici (e le emissioni associate) ai sistemi di “vuoto a rendere”. Soprattutto tende a fare di ogni erba un fascio, omettendo di considerare che i costi saranno presumibilmente diversi per tipo di imballo e di materiale, anche in funzione delle caratteristiche del territorio e dei sistemi di distribuzione.

L’impressione è che il Regolamento sia figlio di un approccio dogmatico: il Regolamento traduce in misure concrete un principio generale, quello insito nella cosiddetta “gerarchia dei rifiuti”, sulla base di un giudizio non fondato su evidenze empiriche, ma su mere supposizioni. La preferibilità del riuso sul riciclo – come peraltro quella del riciclo sul recupero di energia – non è qualcosa di scontato, ma dipende volta per volta da una serie di circostanze molto specifiche. Irrigidire il sistema di gestione, obbligandolo a seguire un determinato approccio organizzativo e tecnologico, implica tra l’altro una violazione di uno dei principi-base dell’ordinamento europeo, quello della neutralità tecnologica. Un principio cui si può certamente derogare, a patto che vi siano evidenti vantaggi sotto profili rilevanti per le politiche pubbliche che si intende perseguire, nel nostro caso quella ambientale e di contenimento del cambiamento climatico.

Sarebbe stato opportuno, a mio avviso, prevedere almeno la possibilità di introdurre in casi specifici eventuali ulteriori deroghe rispetto ai target obbligatori fissati dal Regolamento, qualora studi specifici condotti con metodologie riconosciute, come la Life Cycle Analysis (LCA), dimostrino la loro equivalenza o superiorità rispetto al riuso. Purtroppo però a questo punto i giochi sono ormai fatti, e il Parlamento si troverà di fronte una decisione da prendere o lasciare.

a cura di Antonio Massarutto

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SEEDS

SEEDS è un centro di ricerca interuniversitario che mira a sviluppare e promuovere progetti di ricerca e di formazione superiore nei campi dell'economia ecologica e ambientale, con un occhio particolare al ruolo delle policy e dell'innovazione nel percorso verso una società sostenibile, in termini economici e ambientali. I principali campi d'azione sono la politica ambientale, l'economia dell'innovazione, l'economia e la politica energetica, la valutazione economica con tecniche di preferenza dichiarata, la gestione e la politica dei rifiuti, il cambiamento climatico e lo sviluppo. Diretto dall’economista ambientale Massimiliano Mazzanti, vede l’adesione di 12 Università italiane: quelle di Ferrara, Bologna, Siena, Udine, Padova, Chieti-Pescara, Roma Tre, Tor Vergata, Cattolica, Urbino, Milano Statale e Unitelma Sapienza. La collaborazione editoriale tra SEEDS e greenreport.it viene realizzata grazie ai contributi di molti ricercatori affiliati al Centro: Massimiliano Mazzanti, Alessio D'Amato, Asia Guerreschi, Fabiola Onofrio, Antonio Massarutto, Roberta Curiazi