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Plastica sostenibile? Ecco le raccomandazioni dell’Agenzia europea dell’ambiente

Secondo uno studio pubblicato dalla Eea, soltanto un’economia circolare può consentire ancora produzione e consumo di questa materia prima
 |  Green economy

Si può fare a meno della plastica? No, non si può. Si possono mantenere gli attuali livelli di produzione e consumo di questo materiale? No, assolutamente. E allora? E allora l’Agenzia europea dell’ambiente (European Environment Agency, EEA) da un lato lancia un allarme sui danni ambientali e anche per la salute umana provocati dall’odierno mercato della plastica. Dall’altro, indica quel che a livello comunitario si deve fare per abbattere i livelli di inquinamento e di emissione di gas climalteranti che la lavorazione della plastica porta con sé.

L’Agenzia dell’Ue, il cui compito è fornire informazioni indipendenti e qualificate sull’ambiente, ha pubblicato uno studio molto articolato da cui emergono soprattutto tre fattori. Il primo: il consumo di plastica in Europa è elevato e continuerà ad aumentare nei prossimi anni. Il secondo: la produzione di questo materiale genera inquinamento e gas climalteranti, mentre uno scorretto smaltimento dei prodotti finiti rende mari e spiagge pieni di rifiuti plastici e intanto sempre più elevati livelli di microplastiche penetrano nell’ambiente e anche nei nostri corpi. Il terzo fattore, col quale l’Agenzia indica una possibile soluzione: è necessario passare a un’economia circolare della plastica. Quarto fattore, col quale viene indicata prima un’ultima ombra, e poi uno sprazzo di luce: la circolarità della materia plastica sta aumentando, ma ancora troppo lentamente; tuttavia - e qui si chiude lo studio della struttura europea per l’ambiente - ultimamente si sta registrando una serie di tendenze incoraggianti, come il fatto che la capacità di riciclaggio meccanico è in aumento, le esportazioni di rifiuti di plastica dell’Ue stanno diminuendo, l’uso di plastica riciclata e la capacità di produzione di bioplastica, seppur ancora lentamente, stanno crescendo.

I nuovi assetti venutisi a creare nell’Ue dopo il voto di giugno consentiranno un’accelerazione in questa direzione? L’intento dell’Agenzia europea dell’ambiente, che opera con l’obiettivo di favorire lo sviluppo sostenibile fornendo ai cittadini comunitari e anche ai responsabili delle decisioni politiche informazioni attendibili, è proprio questo.

Il ruolo della plastica nell’economia circolare dell’Europa è un argomento su cui si sta focalizzando molto l’attenzione, a livello comunitario. E la ragione è semplice: come evidenziato dallo studio pubblicato sulle pagine web dell’Agenzia, «lo sviluppo di un’economia circolare è fondamentale per rendere la plastica più sostenibile ed è un obiettivo centrale dell’Ue nella sua strategia sulla plastica e nella recente legislazione relativa alla plastica».

Gli autori dell’indagine hanno calcolato che negli ultimi due decenni i tassi globali di produzione e consumo di plastica sono raddoppiati e si prevede che entro il 2060 triplicheranno. Come viene impiegata questa materia prima? Un’indicazione viene dal monitoraggio sul 2020 citato nel documento: il settore degli imballaggi e quello dell’edilizia e delle costruzioni hanno consumato più della metà della plastica in Europa, seguiti da: settore automobilistico, apparecchi elettrici ed elettronici, casalinghi, tempo libero e sport, agricoltura, allevamento e giardinaggio e, dulcis in fundo, anche se spesso questi ultimi sono assenti dai dati sul consumo europeo di plastica, i settori tessili.

Può essere una soluzione affidarsi alle plastiche a base biologica? Quelle prodotte partendo da materie prime alternative ai combustibili fossili, come la canna da zucchero, il legno o i rifiuti organici? Secondo quanto si legge nello studio dell’Agenzia europea dell’Ambiente certamente: «I vantaggi delle plastiche a base biologica includono il potenziale di minori impatti climatici (nelle emissioni di gas serra durante tutto il loro ciclo di vita) e una minore dipendenza dai combustibili fossili provenienti dai paesi extraeuropei». Tuttavia, viene subito dopo evidenziato, i problemi in questo caso sono due. Il primo: questi processi di produzione posso provocare seri danni ambientali a causa dell’impatto sulla biodiversità locale e anche sull’uso del territorio e dell’acqua delle zone interessate dall’approvvigionamento. Il secondo problema: «Oggi, circa 2,2 milioni di tonnellate, o lo 0,5% della plastica sul mercato globale, è di origine biologica, ovvero prodotta da materie prime di origine biologica. La quota di plastica di origine biologica nella produzione totale di plastica sta lentamente aumentando di anno in anno (dallo 0,54% nel 2013 allo 0,56% nel 2022). Se prevarranno le attuali tendenze produttive, le plastiche di origine biologica continueranno a rappresentare solo una parte di nicchia della produzione e del consumo di plastica». E una nicchia non può rappresentare una soluzione.

Lo studio prosegue dunque con un focus sul crescente inquinamento da plastica dei mari e delle spiagge europee (in cima alla top ten, con il 23,4% dei rifiuti plastici rinvenuti, ci sono i mozziconi di sigaretta) e sull’invasione silenziosa delle microplastiche, ovvero pezzetti inferiori ai 5 millimetri che «si trovano ovunque, dalle cime delle montagne ai fondali oceanici, nell'aria e persino nel nostro corpo», per poi arrivare alla parte delle possibili soluzioni. «Un concetto chiave e una serie di strumenti per affrontare gli impatti ambientali, climatici e sulla salute della crescente produzione e consumo di plastica è l’economia circolare – scrivono gli autori dello studio – Questa è stata una priorità politica chiave per l’Ue sulla plastica (vedi la strategia europea sulla plastica, la direttiva sulla plastica monouso e il piano d’azione per l’economia circolare). Nonostante questi sforzi, la circolarità dei materiali plastici sta aumentando solo lentamente e sono necessari ulteriori sforzi da parte di un’ampia gamma di parti interessate, tra cui l’industria, le Ong, le comunità di ricerca e il settore pubblico».

Risultati di una certa rilevanza ci sono stati. Ad esempio, l’uso di materiale plastico riciclato, in percentuale della quantità totale di plastica utilizzata, ha raggiunto l’8,1% nel 2020, rispetto al 6,8% nel 2018. Ma se si guarda all’uso complessivo di materiali riciclati nell’Ue «vediamo che la plastica è inferiore alla media Ue per tutti i materiali, che era dell’11,7% nel 2020». Scrivono gli autori dello studio: «I modi per aumentare il tasso di utilizzo circolare dei materiali per la plastica includono l’eliminazione dei prodotti di plastica problematici ed evitabili, una migliore progettazione e meccanismi di smistamento e investimenti in una maggiore capacità di riciclaggio». Altre soluzioni riguardano l’abbassamento dell’esportazione di rifiuti plastici fuori dall’Ue, che in parte già c’è stato negli ultimi anni («significa che dobbiamo gestire una maggiore quantità di rifiuti in Europa e richiederà ulteriori sforzi per aumentare il riciclaggio della plastica») e la capacità di incrementare ulteriormente il riciclaggio meccanico, che trasforma i rifiuti di plastica in nuova materia pronta per la produzione senza modificarne significativamente la struttura chimica. 

Fin qui la parte teorica, in capo all’Agenzia europea dell’ambiente. Ai responsabili delle decisioni politiche comunitarie spetta la parte pratica.

Simone Collini

Dottore di ricerca in Filosofia e giornalista professionista. Ha lavorato come cronista parlamentare e caposervizio politico al quotidiano l’Unità. Ha scritto per il sito web dell’Agenzia spaziale italiana e per la rivista Global Science. Come esperto in comunicazione politico-istituzionale ha ricoperto il ruolo di portavoce del ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca nel biennio 2017-2018. Ha svolto attività di ufficio stampa per l’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino centrale e pubblicato con Castelvecchi il libro “Di sana pianta – L’innovazione e il buon governo”.