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Eni chiede un maxi-risarcimento a Greenpeace e ReCommon. «Solo un ricatto per metterci a tacere»

7 associazioni solidali con Greenpeace e ReCommon: Eni ritiri la sua azione legale e apra un confronto sulla decarbonizzazione
 |  Crisi climatica e adattamento

In una nota congiunta, Greenpeace Italia e ReCommon «prendono atto della comunicazione di Eni, che nega di aver intentato alcuna causa per diffamazione alle due associazioni, ma ribadiscono con forza che la mediazione obbligatoria richiesta da Eni costituisce premessa necessaria per l'instaurazione di una causa civile di risarcimento danni per diffamazione a mezzo stampa. Se così non fosse stato, Eni avrebbe potuto intavolare una mediazione semplice».

Le due organizzazioni ricordano che «quando lo scorso maggio Greenpeace Italia e ReCommon hanno intentato una “climate litigation” nei confronti di Eni, ministero dell’Economia e delle finanze e Cassa depositi e prestiti, le due associazioni non erano tenute a esperire la mediazione obbligatoria, perché la loro azione legale non la prevede. Nell’azione di Eni, invece, l’oggetto della causa, cioè la diffamazione a mezzo stampa, la rende obbligatoria. E’ dunque evidente l'intenzione non conciliativa e intimidatoria di Eni, che ha richiesto un risarcimento di almeno 50 mila euro a ciascuna organizzazione, nonostante il colosso petrolifero, nella sua risposta al comunicato stampa di Greenpeace Italia e ReCommon, abbia tentato  di negare, o quanto meno contraddire, quanto si legge negli atti».

Intanto a Greenpeace e Re Common arriva la piena solidarietà di Cittadini per l’aria, Clean cities campaign, Ecco think tank, Legambiente, Sbilanciamoci!, Transport & Environment Italia, Valori e Wef Italia che fanno notare che «una multinazionale dell'oil&gas, in grado di accumulare ricavi per oltre 130 miliardi nell'ultimo anno, frutto di attività che nella maggior parte dei casi recano una grave impronta climatica, dovrebbe trovare altri modi per misurarsi con la società civile, anche con le critiche più severe che da quel mondo le possono venire. Di certo dovrebbe evitare iniziative legali che possano tradursi in una minaccia al dissenso, dal momento in cui il maggiore azionista di Eni stessa è lo Stato. Si rischia un grave cortocircuito democratico su un problema - il cambiamento climatico - che mai come in questi giorni appare drammaticamente evidente alla percezione di tutti i cittadini».

Le 7 associazioni ribadiscono che «Eni è un colosso industriale italiano. Come tale deve porsi con maggiore responsabilità, credibilità e urgenza il tema della transizione energetica. Alle sue strategie è legata una parte consistente del futuro industriale del Paese: anche per questo non può consegnarsi a una strategia “fossile”, appena velata da una sottile patina di “verde”. Eni ha enormi responsabilità climatiche e ambientali, oltre che energetiche e industriali: accetti un confronto aperto e trasparente con chi la critica, incluse Greenpeace e Re Common, e mostri piani credibili di decarbonizzazione».

Le organizzazioni firmatarie della lettera di solidarietà a Greenpeace e ReCommon concludono auspicando che «questo episodio sia anche oggetto di dibattito politico: di assunzione di responsabilità da parte del governo e di attenzione da parte delle opposizioni. La critica all’operato di alcune imprese, all’inadeguatezza della loro risposta alla crisi climatica, non deve essere messa in mora o silenziata da cause intimidatorie, ancor più deprecabili quando è Golia a volersi rifare su David»

Redazione Greenreport

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