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Ora si deve agire in particolare sui cosiddetti “bacini minori”

Niente neve sull’Appennino e caldo record, ecco perché la primavera è una nuova stagione delle alluvioni

Il climatologo Fazzini: «A causa dell’aumento delle temperature, e conseguentemente dell’energia a disposizione, queste fenomenologie stanno divenendo sempre più frequenti»
 |  Crisi climatica e adattamento

Le alluvioni che da “illo tempore” colpiscono il territorio fisico italiano e in generale del Mare Nostrum avvengono quasi totalmente nella seconda parte della stagione autunnale. La climatologia del bacino mediterraneo, del resto, evidenzia che le precipitazioni più estese e persistenti, di natura frontale ma molto spesso esacerbate dalla complessa orografia avvengono nel bimestre ottobre-novembre e caratterizzano i climi submediterranei. All’abbondanza e all’estensione delle precipitazioni si associano temperature generalmente miti e soprattutto la tipologia di masse d’aria – quasi sempre di matrice mediterranea – che causano queste fenomenologie dai risvolti spesso drammatici su un territorio fortemente urbanizzato.

Nell’ultimo ventennio, a causa dell’aumento delle temperature, e conseguentemente dell’energia a disposizione del complesso sistema terra-mare-atmosfera, queste fenomenologie stanno divenendo sempre più frequenti anche in primavera, ad esempio tra marzo e maggio e hanno causato gli episodi di maggiore rischio idrogeologico

Cosa è cambiato più in dettaglio nel quadro climatologico dinamico del bacino mediterraneo nella stagione primaverile? Innanzitutto, occorre evidenziare che la primavera è la seconda stagione mediamente più piovosa dopo l’autunno, ma è stata sempre caratterizzata da fenomenologie meteoriche più irregolari e brevi, quasi ad anticipare il comportamento pluviometrico dell’estate mediterranea. Ma ciò che risulta ancora più evidente e confermato dai dati dell’appena concluso inverno meteorologico è che in particolare sulla catena appenninica “non nevica più” o meglio ancora nevica “solo sulle vette”.

Sino alla fine del XX secolo, ad esempio, anche sugli Appennini si poteva sciare sino a Pasqua; ora, se non si ricorresse all’innevamento tecnico, difficilmente ciò potrebbe avvenire. Oltretutto, anche in occasione delle nevicate “tardive”, peraltro sempre più frequenti, il manto nevoso rimane al suolo brevemente, a causa di una repentina ablazione sino alle quote più elevate. 

Negli ultimi anni, in aprile-maggio, anche sui grandi massicci montuosi dell’Italia centrale, la neve “resiste estesamente” solamente sulle vette. Quindi, se sino a qualche anno fa precipitazioni abbondanti come quelle registrate nelle ultime 48 ore sui crinali dell’Appennino tosco-emiliano-romagnolo erano quasi sempre a carattere nevoso sino alle quote medie – e dunque la risposta idraulica era meno “impulsiva” – ora piove anche sulle cime e dunque tutta l’acqua precipitata sotto forma di precipitazione arriva ruscellando rapidamente e quasi totalmente nei bacini idrografici, con gli effetti deleteri osservati nella giornata di venerdì.

Fa parte, tutto ciò, dell’estremizzazione climatica derivante dal sovra evidenziato incremento delle temperature – dell’aria ma anche dell’acqua e del suolo – e dunque, senza molti giochi di parole, urge sempre di più intervenire con opere idrauliche (se necessario anche di notevole magnitudo) per mitigare il rischio associato. Ricordiamoci che se non fosse stato realizzato il tanto criticato “Bilancino”, Firenze venerdì sarebbe probabilmente andata “sott’acqua”. I tempi della prevenzione del rischio sono morti e sepolti: ora si deve agire e basta, in particolare sui cosiddetti “bacini minori”. Pena, la sempre maggiore probabilità di perdita di beni e soprattutto di vite umane.

di Massimiliano Fazzini, climatologo, geologo e tesponsabile del team sul Rischio climatico della Società italiana di geologia ambientale

Redazione Greenreport

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