Gli interessi del gas fossile frenano le rinnovabili, mentre nel Mezzogiorno infuria la siccità
Mentre un nuovo autorevole studio di World weather attribution mostra «inequivocabilmente» il ruolo della crisi climatica nel rendere più probabile e nell’intensificare ondate di siccità come quella in corso in Sicilia e Sardegna, affermando la necessità di smettere di bruciare combustibili fossili, il Governo Meloni sta andando esattamente in direzione contraria: punta a rendere l’Italia un “hub del gas” e complica la vita in ogni modo all’installazione di nuovi impianti rinnovabili, senza al contempo investire nell’adattamento dei territori.
«Ancora oggi l’Italia non è certo in testa all’azione climatica – evidenzia Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed energia del Wwf Italia –, posizionandosi all’ultimo posto tra i primi dieci Paesi europei per rinnovabili, pur essendo un Paese del G7. A partire dalla prossima legge finanziaria, quindi, ci aspettiamo misure per finanziare un’economia a carbonio zero, capace di aiutare cittadini e imprese nel percorso della transizione energetica, insieme all’identificazione delle misure prioritarie e dei finanziamenti per attuare un serio piano di adattamento».
Per il Panda nazionale è anche urgente rendere operativo il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc) e darsi priorità d’azione e finanziamenti adeguati, altrimenti saremo condannati a far fronte di continuo a emergenze col rischio, già annunciato dal ministro della Protezione civile, che i cittadini non possano più godere di alcun aiuto in occasione di eventi estremi. È ormai reale il pericolo che il cambiamento climatico mini le basi stesse dell’economia e della competitività italiana, a cominciare dal turismo e dall’agricoltura.
In particolare, il Wwf si augura che pure i Governi regionali mostrino di aver compreso e voler affrontare la minaccia climatica concretamente. In Sardegna, ad esempio, è in corso una vera e propria campagna contro le rinnovabili, guidata da interessi economici conclamati (gas e persino carbone, ancora) che in maniera artificiosa confonde richieste con quanto effettivamente installato sul territorio.
«In realtà, di rinnovabili in Sardegna ce ne sono poche – conclude Midulla –, tant’è che la regione continua ad andare a carbone e si registrano le maggiori emissioni di CO2 pro-capite. Certo, in un territorio ricco di natura e tradizioni come quello sardo occorre particolare attenzione nella localizzazione degli impianti e un maggior coinvolgimento dei cittadini, ma bisogna tornare al senso delle proporzioni e alla realtà degli effetti devastanti dell’uso dei combustibili fossili sempre più concreti. La lunga sequela di eventi estremi collegabili direttamente alla crisi climatica impone coerenza e scelte tempestive».
Sullo stesso filone Federico Spadini, campaigner Clima di Greenpeace Italia: «La carenza idrica che da mesi sta mettendo in ginocchio le due principali isole italiane è una drammatica conseguenza della crisi climatica. A pagare il prezzo della siccità estrema in Sardegna e in Sicilia – amplificata da un uso inefficiente delle risorse idriche e da infrastrutture inadeguate – sono le persone che subiscono razionamenti di acqua, gli ecosistemi naturali e persino interi settori produttivi come l’agricoltura e il turismo. Danni gravissimi di cui si dovrebbe invece chiedere conto alle aziende del petrolio e del gas, come Eni, che con le loro emissioni di gas serra sono i principali responsabili della crisi climatica». Eppure, la multinazionale controllata dallo Stato italiano ha avuto la bella idea di avviare nei giorni scorsi l’estrazione di altri 10 miliardi di metri cubi di gas. Dove? Nel Canale di Sicilia, mentre l’isola muore di sete per una siccità alimentata dalla crisi climatica, che quel gas fossile contribuirà a far accelerare ancora.