E se alle istituzioni servisse più green marketing nella lotta contro i cambiamenti climatici?
Applicare il marketing all’attivismo ambientale? È sicuramente una provocazione ma oggi più che mai il tema della comunicazione dei cambiamenti climatici è assai complesso, ricco di eccezioni, specificità e variabili difficili da inquadrare in un assunto universale.
Evitando di addentrarsi nell’analisi semantica della profonda contrapposizione tra climatisti e negazionisti climatici, vi è un aspetto più tecnico e superficiale (a livello di struttura narrativa, non come importanza) interessante: il modo in cui le campagne di sensibilizzazione sul tema vengono impostate, in termini di tone of voice, codici comunicativi e mood, sia da parte dei Governi che delle principali organizzazioni non governative.
Oggi comunicare i cambiamenti climatici significa confrontarsi con vari antagonisti comunicativi: i bias cognitivi sulle conseguenze a medio-lungo termine, spesso percepite come molto lontane nel tempo o nello spazio; la complessità dei temi trattati e le relative barriere comunicative che rendono complicata l’interpretazione di dati o informazioni; i limiti economici e/o politici nel decidere di cambiare il modo di vivere e consumare; la difficoltà a individuare alternative concrete e praticabili, in primis inerenti alla mobilità.
In ultimo permane l’ingombrante tema delle fake news, della disinformazione unita alla controinformazione, cioè il contraddittorio tra esperti e tecnici con visioni discordanti su temi che dovrebbero essere scientifici e quindi, per loro stessa natura, oggettivi.
Si tratta di una sfida impossibile? No. È infatti in crescita una forte consapevolezza sul tema ambientale, come testimoniato dal Global impact average di Ipsos (2023) che evidenzia, ad esempio, come il 62% degli italiani affermi di essere cosciente che i propri comportamenti negativi avranno ripercussioni sulle future generazioni. Altri segnali positivi arrivano dalle generazioni più giovani, come GenZ e Millennial, che già secondo un’indagine del Pew research senter nel 2021 dimostravano una consapevolezza nettamente maggiore rispetto a GenX e Baby boomer; nello specifico, il 32% dei GenZ e il 28% dei Millennial intervistati dichiararono di aver già messo in campo delle azioni personali contro i cambiamenti climatici, contro il 23% dei GenX e il 21% dei baby boomer.
Potremmo quindi affermare che sul tavolo ci sono sia l’offerta che la domanda. Perciò, cosa manca? L’aspetto comunicativo efficace.
Troppo spesso le campagne di sensibilizzazione mantengono una natura istituzionale, che sia o per genesi (commissionate da Governi o istituzioni) o per finalità (impattare sulla società in senso ampio) e questo porta ad avere un approccio ancora molto distaccato e, appunto, istituzionale, nel senso più grigio del termine, nella scelta di codici comunicativi, creatività ecc.
A compiere passi più audaci sono state invece le aziende e i grandi brand, che da anni ormai stanno mettendo in campo quello che tecnicamente viene definito green marketing, cioè azioni e strumenti per valorizzare il proprio impegno in tema di sostenibilità ambientale attraverso campagne mirate, fortemente targettizzate sul proprio pubblico di riferimento e con azioni di comunicazione che puntano a un alto livello di engagement dei destinatari.
È chiaro che i presupposti di partenza, così come la capacità di muovere risorse e competenze, siano molto differenti tra soggetti istituzionali e non governativi e grandi brand. Però, perché non provare ad avere un approccio più “green marketing oriented” anche in ambito istituzionale? E come farlo?
Partiamo da una maggiore attenzione al target: oggi una campagna che parla “a tutti” è una non-campagna, salvo che non sia parte di un piano ampio e strutturato, in cui il messaggio macro sia poi declinato con azioni specifiche su target mirati. Meglio quindi puntare su pubblici specifici, anche uno alla volta se necessario, per avere chiaro a chi ci stiamo rivolgendo.
Poi: basta orsi polari. Se uno dei problemi principali quando si parla di emergenza ambientale è la distanza psicologica, evocare mondi lontani è una chiave di lettura che difficilmente riuscirà a smuovere le attitudini di un destinatario lontano da quel mondo.
Allo stesso tempo, è fondamentale evitare di complicare le cose: il tema è già ipertecnico, variegato e ostico. Meglio quindi optare per messaggi semplici e chiari, che mettano in primo piano le evidenze scientifiche facendo attenzione a non diventare inaccessibili. Visto che evocare cambiamenti epocali o scelte drastiche sembra avere un effetto opposto nei destinatari, meglio concentrarsi sull’importanza del piccolo gesto, del “un piccolo passo alla volta”, come innesco di un cambiamento più grande.
Infine, una considerazione: la comunicazione istituzionale e sociale non deve essere per forza fredda o ingessata, anche quando parla di cambiamenti climatici. Meno statistiche e grafici, più spazio a storie e narrazioni che possano generare immedesimazione, consapevolezza e partecipazione emotiva.
Basterà? Forse no, ma sarebbe comunque un buon inizio.