
«Green bond»? Il focus di Greenpeace sul ruolo della stampa italiana nel lancio delle obbligazioni Eni

«Green bond»? «Obbligazioni sostenibili»? Greenpeace e Voxeurop hanno condotto un’inchiesta riguardante il lancio sul mercato da parte di Eni di quelli che sono stati definiti prodotti finanziari «verdi» e «legati agli obiettivi di sostenibilità» dell’azienda attiva nel settore degli idrocarburi. L’operazione di Eni, si legge nella sintesi di quanto emerso nel corso di questo lavoro, «ha rivelato non solo le contraddizioni della strategia di sostenibilità dell’azienda, ma anche il ruolo problematico della stampa italiana nel diffondere informazioni ambigue e, in alcuni casi, fuorvianti»: «Questa vicenda non è solo una questione di finanza o di ambiente – sottolinea Greenpeace – ma diventa un esempio emblematico di come i media possano contribuire a plasmare una percezione errata delle scelte aziendali».
La vicenda parte nel gennaio 2023 quando Eni lancia un’obbligazione pubblicizzata come «legata alla sostenibilità», raccogliendo due miliardi di euro grazie a oltre 300.000 piccoli investitori italiani. Tuttavia, sottolinea Greenpeace, a dispetto dell’immagine proposta su diversi articoli di giornale che hanno titolato «ENI lancia il primo green bond», o «ENI, via alla sottoscrizione delle obbligazioni sostenibili per i piccoli risparmiatori», l’obbligazione non rientra nella categoria dei green bond o delle obbligazioni sostenibili, strumenti finanziari vincolati esclusivamente al finanziamento di progetti sostenibili: «I fondi raccolti, infatti, saranno stati destinati a coprire indistintamente generiche esigenze aziendali, incluse potenzialmente quelle legate all’estrazione e alla lavorazione di combustibili fossili».
Voxeurop ricorda che Eni ha all’attivo 552 progetti di estrazione ed esplorazione di petrolio e, sottolinea, i soldi del “bond sostenibile” potrebbero essere stati utilizzati in alcuni di questi. Tra i più recenti, ci sono il giacimento di Baleine in Costa d’Avorio che ha un potenziale di estrazione pari a 2,5 miliardi di barili di petrolio, le esplorazioni offshore in Namibia e le estrazioni di gas in Egitto. Sul sito di IrpiMedia, che ha riportato i punti salienti dell’indagine, è stata pubblicata anche una nota di Eni: si fa riferimento alle caratteristiche dei Sustainability linked bond (Slb), si confermano gli obiettivi di decarbonizzazione e si cita a una serie di cause giudiziarie in corso tra Eni, Greenpeace e ReCommon. Ha scritto tra l’altro l’ufficio stampa Eni: «Il fatto che gli autori dell’articolo descrivano il lancio del Slb Eni come una sorta di circonvenzione di incapace con la complicità dei media ai danni di chi investe, denota quantomeno scarsa conoscenza del mondo finanziario, se non – non ce ne vogliate – malafede degli autori. Gli investitori sapevano benissimo in che cosa stavano investendo, e ne è derivata una richiesta enormemente al di sopra delle aspettative e nel giro di pochissimo tempo».
Ma è proprio questo un punto su cui insiste Greenpeace, il fatto cioè che i principali media italiani hanno amplificato la narrazione sulle finalità green di Eni, contribuendo a un’errata percezione pubblica. «Nessuna testata ha chiarito che l’obbligazione era “legata alla sostenibilità” solo in apparenza, grazie a target generici che escludono le emissioni Scope 3 (le più rilevanti, derivanti dall’uso dei prodotti fossili venduti) e che fanno un uso massiccio di crediti di CO2». Un’analisi condotta su 32 articoli pubblicati da cinque delle principali testate italiane (Corriere della Sera, la Repubblica, Il Sole 24 Ore, La Stampa e Avvenire) tra gennaio e febbraio 2023 mette in luce un dato preoccupante, osserva Greenpeace: «Nessuno di questi ha approfondito le criticità del bond, mentre il 37% ha definito l’operazione come un green bond o l’ha descritta con termini imprecisi come “obbligazione sostenibile”. Questa confusione terminologica, volontaria o meno, ha contribuito a consolidare una narrazione distorta. Alcuni articoli sono andati oltre, riportando il bond come un simbolo dell’impegno di Eni nella transizione energetica e nella decarbonizzazione, senza approfondire i dati disponibili sul bilancio dell’azienda. Molti giornali, secondo l’analisi, si sarebbero limitati a riprendere i comunicati stampa aziendali. Le testate – riferisce Greenpeace – non hanno risposto alle nostre richieste di chiarimenti in merito».
C’è poi un ulteriore elemento evidenziato dall’indagine, quello cioè sul peso della pubblicità nel determinare il contenuto editoriale di alcuni giornali. «Nel gennaio 2023, Eni ha goduto di ben 71 spazi pubblicitari sui principali quotidiani italiani, di cui 30 dedicati all’obbligazione legata alla sostenibilità. Tutti gli annunci (sul bond e non) erano corredati da immagini suggestive di pale eoliche, pannelli solari e paesaggi verdi, costruendo un’immagine dell’azienda come leader della transizione energetica. Anche le pubblicità generiche richiamavano a “Sicurezza & Cambiamento” e “Stabilità & Trasformazione”. Tuttavia, la linea tra pubblicità e contenuti editoriali è diventata pericolosamente sottile. Gli articoli giornalistici, che avrebbero dovuto analizzare in maniera completa l’operazione, anche con analisi critiche sui limiti del bond, hanno finito per amplificare il messaggio promozionale. La diffusione di informazioni incomplete o distorte da parte dei media ha avuto un impatto significativo sui risparmiatori. Secondo un rapporto della Consob, il 50% degli italiani considera prioritari gli investimenti sostenibili. Di questi, l’81% fa un utilizzo medio-alto dei giornali per ottenere informazioni finanziarie».
Il caso Eni, denuncia Greenpeace, è emblematico di come la narrazione mediatica possa alterare la percezione del percorso di decarbonizzazione. «Infatti dal 2019 Eni ha aumentato esponenzialmente i crediti di carbonio, da 0 a 5,9 megatonnellate di CO2 nel 2023 come evidenzia il suo report sulla sostenibilità. Sommando le emissioni Scope 1 e 2 del 2023 con i crediti di carbonio acquistati da Eni, si ottengono esattamente le emissioni di CO2 del 2018 che Eni ha promesso di ridurre del 65% entro il 2025».
«I progressi di Eni verso il raggiungimento dell’obiettivo legato alle obbligazioni sostenibili, riguardante la riduzione delle emissioni nette Scope 1 e 2, sembrano essere stati ottenuti principalmente attraverso l’utilizzo di crediti di carbonio», commenta il dato Josephine Richardson direttrice generale e responsabile della ricerca dell’Antropocene Fixed Income Institute, centro di ricerca specializzato, tra le altre, in ricerche sulle obbligazioni legate alla sostenibilità come quella lanciata da Eni.
Chiosa Voxeurop: in contrasto con la celebrazione ricevuta dai giornali, l’agenzia di rating Moody’s ha giudicatp l’iniziativa di Eni in modo molto meno positivo, dandogli un punteggio basso – ovvero 4 su scala da 1 a 5, dove 1 è il massimo – per contributo alla sostenibilità.
