Agenda 2030: l'Italia è su un sentiero di sviluppo insostenibile, non possiamo più ignorarlo
Il mondo sta affrontando rischi sempre più catastrofici, molti dei quali causati dalle scelte dei governi, come sottolinea il Patto sul futuro firmato il 22 settembre dagli Stati membri che fanno capo alle Nazioni Unite (Italia compresa). Le parole del presidente Sergio Mattarella, che nei giorni scorsi ha ribadito che l’Agenda 2030 non è un esercizio per sognatori ma una necessità urgentee che «le ricette semplicistiche – sul clima - per problemi complessi, come quelli che dobbiamo affrontare, sono adatte soltanto agli imbonitori», suonano come un monito da non ignorare. Eppure, i dati continuano adescrivere una situazione lontanada ciò di cui abbiamo bisogno.
Mancano solo sei anni al 2030, anno in cui dovrebbero essere raggiunti i 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sdgs) dell’Agenda 2030. Tuttavia, a questo ritmo, solo il 17% dei target globali verrà realizzato, mentre un terzo mostra addirittura un arresto o segnali di peggioramento. Il rapporto ASviS “L’Italia e gli Obiettivi di sviluppo sostenibile” presentato stamani sottolinea che il nostro Paese non fa eccezione: si trova in «drammatico ritardo» su quasi tutti i fronti.
Tra il 2010 e il 2023, cinque Sdgs cruciali hanno subito un netto peggioramento: lotta alla povertà (Goal 1), riduzione delle disuguaglianze (Goal 10), qualità degli ecosistemi terrestri (Goal 15), pace, giustizia e istituzioni solide (Goal 16) e partnership globali (Goal 17). Anche laddove si registrano miglioramenti, come per l'energia pulita (Goal 7) e la lotta al cambiamento climatico (Goal 13), i progressi sono lontani dalla sufficienza. Solo un obiettivo, quello sull’economia circolare (Goal 12), ha visto un miglioramento consistente nel corso degli ultimi anni.
La conferma di questa difficile situazione emerge chiaramente anche dalle performance italiane in relazione degli obiettivi stabiliti in ambito europeo in tema di sostenibilità. Sulla base delle tendenze osservate l’ASviS, grazie a una collaborazione con Prometeia, mostra che dei 37 target Ue da raggiungere entro il 2030 solo il 21,6% è considerato "raggiungibile", il 59,5% è fuori portata, mentre il restante è incerto.
Si tratta di numeri che, una volta approfonditi, rivelano la presenza di crisi economiche, sociali e ambientali. Per fare qualche esempio, secondo l’ASviS (dati al 2023) in Italia 5,7 milioni di persone vivono in condizioni di povertà assoluta, mentre 13,4 milioni (il 22,8% della popolazione) di persone sono a rischio di esclusione sociale. Le disuguaglianze economiche stanno raggiungendo livelli insostenibili: il 5% delle famiglie più ricche detiene quasi la metà della ricchezza complessiva, mentre la metà più povera possiede meno dell'8%. Questa disparità economica ha ricadute devastanti: basti pensare che il 10,5% dei giovani tra i 18 e i 24 anni ha abbandonato gli studi, mentre solo il 30,6% dei 25-34enni ha completato l’istruzione terziaria.
Anche la classifica del nostro Paese sulla parità di genere è impietosa: siamo all’83esimo posto su 146 nazioni prese in esame.C’è poi la complessa questione dell’aumento delle temperature che vede nell'Italia un hotspot della crisi climatica. Ciò significache il nostro Paese si sta riscaldando a un ritmo maggiore - quasi doppio - rispetto alla media globale e pertanto sperimentiamo, e dobbiamo aspettarci, danni maggiori.
La situazione appare ancora più grave se si considera il divario tra le preoccupazioni della popolazione e l’azione politica. Secondo recenti sondaggi, nove italiani su dieci sono preoccupati per lo stato degli ecosistemi, con il 62% convinto che il pianeta stia raggiungendo pericolosi "punti di non ritorno" (tipping points). Sempre il 62% degli intervistati chiede una transizione ecologica più rapida e incisiva, mentre il 93% ritiene che l’Italia debba rafforzare i propri impegni sulla crisi climatica.
A queste preoccupazioni va aggiunto che la fiducia degli italiani nel governo nazionale è estremamente bassa: solo il 25% crede che le decisioni prese siano a beneficio della maggioranzadel Paese, contro una media del 39% nei Paesi del G20; mentre solo il 21% pensa che il governo stia pianificando per il lungo termine (20-30 anni), ben al di sotto della media del 37% del G20.
Colpisce, dunque, come il dibattito pubblico e l’azione politica restino totalmente scollegati dalla realtà,con il Paese che continua a essere arenato in politiche spesso contraddittorie. Ne è un chiaro esempio la Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile (Snsvs) 2022 varata dal governo in carica e mai concretizzata.
Cosa fare allora? Tra le tante proposte presenti nel rapporto, l’ASviS consiglia al governo di mettere in atto con urgenza il Programma per la coerenza delle politiche per lo sviluppo sostenibile. È cruciale inoltre che la protezione e il ripristino della natura diventino centrali nelle decisioni politiche, anche attraverso il varo di una Legge sul Clima in grado di incentivare la diffusione delle energie rinnovabili e l’abbandono dal settore dei combustibili fossili, guidandocosì il Paese verso l’obiettivo della neutralità carbonica posto al 2050. Parallelamente, è fondamentale agire su scala locale per prevenire l’aumento delle disuguaglianze territoriali e rafforzare il coinvolgimento dei giovani nella vita democratica. È tempo di investire in infrastrutture sostenibili, potenziare la ricerca e l’innovazione, e orientare il sistema produttivo verso un'industria più evoluta e sostenibile.
L’ASviS sottolinea, inoltre, che l’Italia si trova di fronte a un bivio rappresentato da quattro possibili “game changer” che potrebbero influenzare profondamente il futuro del Paese in termini di sostenibilità e giustizia intergenerazionale.
La Legge sull’autonomia differenziata, se non ben strutturata, rischia di aggravare le disuguaglianze tra territori. Le nuove Direttive europee sulla rendicontazione di sostenibilità delle imprese rappresentano una svolta per il sistema produttivo, che sarà chiamato a garantire maggiore trasparenza e ad assumere responsabilità in ambito sociale e ambientale. La nuova Legge europea sul ripristino della natura segna un importante passo avanti nelle politiche ambientali, vincolando gli Stati membri a ripristinare gli ecosistemi degradati. Un regolamento che potrebbe generare non solo miglioramenti ambientali, ma anche nuova occupazione. Infine, va ricordata la modifica della Costituzione che ha introdotto tra i compiti della Repubblica quello di tutelare l’ambiente, gli ecosistemi e la biodiversità anche nell’interesse delle future generazioni, stabilendo che l’attività economica non può svolgersi a danno della salute e dell’ambiente. La recente sentenza della Corte Costituzionale n. 105/2024 rafforza questo principio, affermando che la tutela dell’ambiente è un valore assoluto.
Dall’analisi appare evidente che siamo di fronte a una sfida che, per essere vinta, richiede interventi immediati attraverso una risposta collettiva e coraggiosa da parte delle forze politiche, economiche e sociali del Paese.
Mancare gli Obiettivi di sviluppo sostenibile non significherà semplicemente fallire su un piano internazionale, ma condannare l’Italia a un futuro caratterizzato da povertà, disuguaglianze e vulnerabilità climatica. Non proprio il futuro delineato dall’Agenda 2030.