Snpa, ecco perché in Italia solo il 4% dell’acqua depurata viene poi riutilizzata
L’associazione delle imprese dei servizi ambientali e dell’economia circolare (Assoambiente) ha preso in esame il nuovo rapporto Snpa sul riutilizzo delle acque reflue: un’analisi sintetica e accurata, che riportiamo di seguito in via integrale.
Il Sistema nazionale per la protezione dell'ambiente (SNPA) ha pubblicato la delibera 23 luglio 2024 n. 254 costituita da un rapporto sul riutilizzo delle acque reflue urbane nell'ottica del risparmio idrico e dell'incremento del riciclo e riutilizzo delle acque trattate da impianti di depurazione urbani.
Il documento illustra il quadro normativo di riferimento in materia di riutilizzo delle acque reflue a livello europeo, nazionale e regionale, con particolare attenzione allo sviluppo normativo riferito al riutilizzo in agricoltura. Ciò alla luce della progressiva scarsità di acqua che si sta registrando e che sta portando a riconsiderare le acque reflue come una “risorsa idrica alternativa” da impiegare opportunamente a seguito di avanzati processi di trattamento.
Il capitolo 4 si concentra sull’applicazione del riutilizzo delle acque reflue in Italia valutando i protocolli operativi per la pianificazione degli impianti di depurazione, le modalità di riutilizzo praticate (protocolli di controllo compresi) e fornendo un'analisi dello status tecnologico attuale degli impianti di depurazione. Il capitolo 5 infine riporta una rassegna di casi studio di riutilizzo dei reflui urbani in Italia.
Nonostante l'utilizzo dei reflui depurati consenta di ridurre le pressioni di tipo quantitativo esercitate sui corpi idrici in Italia, solo il 4% del volume totale dei reflui depurati risulta effettivamente destinato al riutilizzo (principalmente per uso irriguo), soprattutto a causa dei costi legati all'affinamento delle acque trattate, di quelli per la realizzazione delle reti per l'adduzione e la distribuzione in ambito agricolo delle acque nonché a causa di barriere socioculturali.
Nelle conclusioni il Rapporto evidenzia come ancora molte regioni risultano non avere ancora alcun regolamento regionale e comunque le modalità di riutilizzo previste risultano diversificate da una regione all’altra con una prevalenza di riutilizzo irriguo, ma non trascurabili sono le altre forme di riutilizzo previste di tipo civile, industriale ed ambientale.
Viene segnalata anche una forma di riutilizzo ai fini della produzione di energia idroelettrica. Rispetto ai controlli di qualità sulle acque depurate, emerge che i “valori limite” da rispettare per la qualità dei reflui nei regolamenti regionali sono corrispondenti a quelli del D.M. 185/2003. Inoltre dall’analisi sulla situazione tecnologica degli impianti di depurazione ai fini del recupero di acque reflue si riscontra la necessità di implementazione di unità di filtrazione ai fini del rispetto dei limiti particolarmente restrittivi sulle concentrazioni di sostanza organica, nonché del raggiungimento di sostenute rese di disinfezione.
Infine, per quanto riguarda i futuri sviluppi dell’approccio al riutilizzo in Italia, si attende un nuovo decreto atto a regolamentare le varie modalità di riutilizzo, aggiornando gli adempimenti sui controlli rispetto a quanto stabilito dal D.M. 185/2003 e compatibilmente con il Regolamento (UE) 741/2020, per quanto concerne le pratiche di riuso in agricoltura.