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Il Regolamento Ue per il ripristino della natura, spiegato dall’Ispra

Solo il 15% degli habitat ha un “buono” stato di conservazione sul territorio europeo, mentre l’81% in totale ha uno stato di conservazione “inadeguato” (45%) o “cattivo” (36%)
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Da almeno quarant’anni i Paesi europei sono impegnati nella conservazione della natura dell’Unione europea (Ue). Le tappe fondamentali di questa collaborazione sono state l’emanazione nel 1979 della direttiva “Uccelli” per la conservazione delle specie avifaunistiche selvatiche e nel 1992 della direttiva “Habitat” per la conservazione delle specie e degli habitat terrestri e marini. Le due direttive hanno consentito la creazione di una rete di oltre 27.000 aree protette, che coprono circa un quinto della superficie dell’Ue e un decimo dei suoi mari. La direttiva “Uccelli” protegge oltre 500 specie aviarie selvatiche, quella “Habitat” oltre mille specie animali e vegetali e oltre 200 tipi di habitat.

Eppure, nonostante i tanti risultati positivi raggiunti, questa rete di aree protette non è stata sufficiente ad arrestare e invertire la drammatica tendenza verso il declino delle specie e degli habitat. Uno studio dell’Agenzia europea dell’ambiente del 2020 ha rivelato che solo il 15% degli habitat ha un “buono” stato di conservazione sul territorio europeo, mentre l’81% in totale ha uno stato di conservazione “inadeguato” (45%) o “cattivo” (36%). Tra gli habitat che presentano uno stato di conservazione inadeguato, il 9% mostra un trend di miglioramento, il 36% al peggioramento. In molti tipi di habitat, in particolare quelli marini, lo stato di conservazione e la tendenza sono ancora sconosciuti. Quello che si sa, invece, è che, tra i diversi habitat, le foreste sono quelle che migliorano di più, mentre i prati e i pascoli, le dune, le torbiere, gli acquitrini e le paludi sono quelli più vicini al deterioramento.

Di fronte a questo scenario e alla necessità di integrare le azioni per la conservazione basate sulla protezione con quelle basate sul ripristino della biodiversità, a giugno 2020 la Commissione europea, nell’ambito del Green deal, ha emanato la Strategia Ue per la biodiversità. Seguita, due anni dopo, dalla prima bozza del Regolamento Ue per il ripristino della natura (Nature Restoration Law), per tradurre in impegni concreti e vincolanti i principi fondamentali per la protezione e il ripristino.

Il regolamento dovrà garantire il ripristino degli ecosistemi degradati europei e al tempo stesso contribuire al raggiungimento degli obiettivi in materia di clima e biodiversità, migliorando anche la sicurezza alimentare. L’obiettivo principale del Regolamento è il ripristino, entro il 2030, del “buono stato di salute di almeno il 30% degli habitat” che attualmente versano in uno stato di conservazione “cattivo” o “inadeguato”. Una percentuale che dovrà raggiungere il 60% entro il 2040 e il 90% entro il 2050. Ogni Stato membro dell’Ue dovrà adottare, entro due anni dall’entrata in vigore del Regolamento, un proprio piano nazionale per il ripristino della natura, che indichi nel dettaglio gli strumenti, inclusi quelli finanziari, con cui intende raggiungere gli obiettivi posti dal Regolamento. Nel piano, i Paesi dovranno indicare gli habitat cui dare priorità negli interventi di ripristino, anche se il Regolamento specifica che fino al 2030 dovranno averla gli habitat dei siti di Rete Natura 2000 e quelli con il maggior potenziale di ‘sequestro’ di carbonio e di riduzione dell’impatto dei disastri naturali edegli eventi meteo-climatici estremi. I Paesi dovranno poi impegnarsi affinché le aree ripristinate non tornino a deteriorarsi in modo significativo in futuro. Tra gli altri obiettivi figurano anche gli impegni, da rispettare entro il 2030, di: ripristinare almeno 25.000 km di fiumi in Ue, trasformandoli in corsi d’acqua a scorrimento libero; garantire che non vi sia alcuna perdita netta, né della superficie nazionale totale degli spazi verdi urbani né della copertura arborea all’interno delle città; piantare almeno tre miliardi di alberi su tutto il territorio UE.

Inoltre, per migliorare la biodiversità negli habitat agricoli, i Paesi Ue dovranno registrare progressi su abbondanza di specie e popolazioni di uccelli e farfalle tipiche dei prati e dei pascoli. Ma anche aumenti della percentuale di superficie agricola con elementi caratteristici del paesaggio con elevata diversità (come le fasce tampone, le siepi, le zone umide e i muretti in pietra) e degli stock di sostanza organica nei terreni coltivati. Ritenendo che la gestione delle torbiere a fini conservativi è una delle soluzioni più economiche per ridurre le emissioni, in particolare di metano, il Regolamento chiede gli Stati membri dovranno ripristinare almeno il 30% delle torbiere drenate entro il 2030 (di cui almeno un quarto dovrà essere ri-umidificato), il 40% entro il 2040 e il 50% entro il 2050 (con almeno un terzo riumidificato). La ri-umidificazione continuerà a essere volontaria per agricoltori e proprietari terrieri privati. I Paesi dovranno riportare tendenze positive per gli indicatori della diversità degli habitat forestali (per esempio la presenza di legno morto e formazioni forestali ad alta diversità genetica e di specie) e per il numero di piante forestali messe a terra.

Il Regolamento contiene una condizione per cui i Paesi Ue non sono obbligati a utilizzare i fondi del fondo agricolo dell’Ue per proteggere la natura, una sorta di “freno di emergenza”, che in circostanze eccezionali consentirà di congelare gli obiettivi relativi agli ecosistemi agricoli, qualora per raggiungerli si riduca la superficie coltivata al punto da compromettere la produzione alimentare e renderla inadeguata ai consumi.

Questo pezzo di legislazione di aggiunge a un corpus normativo composito e articolato. Gli elementi principali di questo corpus sono consultabili al link Normativa.

di Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra)

Redazione Greenreport

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