Qualità delle acque correnti: se la realtà non è ciò che ci racconta l’algoritmo
Nel mese di ottobre appena trascorso l’Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana (Arpat) ha pubblicato il consueto Annuario sullo stato ambientale della Regione. Il resoconto dell’Agenzia illustra la situazione ambientale sulla base dei controlli effettuati sulle varie matrici acqua, aria, suolo, ecc. Non passa inosservato, in modo particolare, lo stato in cui versano le acque correnti della nostra Regione, vale a dire i fiumi che sarebbe più opportuno chiamare ambienti fluviali. L’ecologia delle acque correnti, infatti, ci ha insegnato che i fiumi non sono banali collettori idraulici che collegano i monti al mare, bensì insiemi di habitat complessi in grado di fornirci preziosi benefici. Ma, tornando all’Annuario, occorre precisare che per facilitare la lettura dei risultati la vigente normativa ha previsto uno schema cromatico di cinque colori - azzurro, verde, giallo, arancio, rosso – corrispondenti rispettivamente agli stati di qualità delle matrici considerate - elevato, buono, sufficiente, scarso e cattivo - che, nel caso specifico delle acque, equivalgono a un diverso stato ecologico.
Nell’edizione del 2024 per i “fiumi” è praticamente assente il colore azzurro, cioè lo stato ecologico elevato. Si accetta malvolentieri l’idea che le nostre montagne non siano solcate da ambienti fluviali integri degni di essere classificati col massimo dei voti. Ma non si tratta solo di essere i primi della classe, ci sono altre ricadute che invitano a riflettere su tale aspetto. Per maggior sicurezza si va allora a sbirciare negli annuari degli anni precedenti (2023, 2022, 2021, 2020, 2019) e si constata che ciò che pensiamo non è del tutto vero ma che comunque, nel migliore dei casi, ci dobbiamo accontentare di una percentuale molto bassa del massimo valore di stato ecologico. Ma forse c’è una spiegazione a tale evidenza. Ad esempio la strategia adottata nella scelta dei punti di campionamento che potrebbe non restituire un quadro completo sull’effettivo stato della qualità generale dei fiumi. Infatti, se i punti di campionamento risultano localizzati prevalentemente nei tratti fluviali di fondo valle, dove è più probabile la presenza di insediamenti produttivi o abitativi, o comunque in aree geografiche dove è maggiormente elevato il rischio di essere soggetti agli effetti dell’inquinamento, può risultare elevata la probabilità che i risultati siano mediamente molto inferiori al valore massimo atteso. Se a questo aspetto aggiungiamo gli effetti del principio one out, all out, previsto dalla vigente normativa e comunemente noto come “vinca il caso peggiore”, appare chiaro che la collocazione del punto di campionamento aumenta la probabilità che anche l’alterazione di uno solo degli elementi che determinano la qualità biologica (diatomee, macrofite, macroinvertebrati, pesci) o quella chimica possa prevalere sulla classificazione finale del corpo idrico. Eventualità che aumenta nei punti posti a valle di insediamenti produttivi. Il principio one out, all out, infatti, regola l’algoritmo con cui si ottiene un determinato stato ecologico dove questo viene raggiunto se tutti gli elementi, biologici e chimici, raggiungono il corrispondente standard di qualità.
I punti posti in chiusura di bacino (cioè nel fondovalle) o comunque in tratti soggetti alla pressione antropica fanno parte di una Rete di sorveglianza che deve evidenziare gli scostamenti o i miglioramenti in caso di mitigazioni sulle pressioni individuate in una determinata area. Tale Rete dovrebbe comprendere però anche punti di riferimento in grado di evidenziare la presenza di tratti a qualità elevata e verificare come reagiscono nel lungo periodo. Se tali punti non sono stati previsti nel piano di monitoraggio è molto probabile riscontrare l’assenza o una bassa percentuale di tratti con stato ecologico elevato. Inoltre, se il punto di monitoraggio collocato a chiusura di bacino è l’unico sull’intero corso d’acqua e non identifica un tratto omogeneo a cui assegnare lo stato ecologico rilevato, tale stato viene esteso all’intera lunghezza del corso d’acqua, con la possibilità di mascherare anche tratti che potrebbero risultare di elevata qualità, peraltro, gli unici su cui la Direttiva prevede l’applicazione degli elementi idromorfologici, che valutano la continuità fluviale, l’ampiezza dell’alveo, la connessione con la piana inondabile, la presenza di vegetazione riparia, ecc. tutti quegli elementi insomma che caratterizzano maggiormente le peculiarità di un ambiente fluviale.
Il metodo di classificazione, quindi, influenzato dalla regola one out, all out e dalla collocazione dei punti di campionamento, pur rispettando un fondamentale principio di precauzione, può esporre i tratti potenzialmente di qualità elevata, ma classificati con valori uguali o inferiori a buono, al rischio di interventi che ne potrebbero compromettere definitivamente la qualità, ad esempio, modificandone proprio i caratteri idromorfologici. Ne consegue, ad esempio, che un fiume in stato ecologico buono, possa subire un deterioramento tale da modificare pesantemente la morfologia dell’alveo, pur mantenendo formalmente invariata la classificazione.
Le suddette problematiche fanno riflettere sulla necessità di mitigare gli effetti provocati dalla regola one out, all out, oggi portata in discussione insieme ad altre deroghe alla normativa che non è detto contribuiscano a migliorare la qualitàdegli ecosistemi fluviali. Senza per forza venire meno a un sano principio di precauzione c’è da augurarsi che dal criterio del caso peggiore si passi a un criterio che preveda una forma di compensazione degli elementi che versano in cattive condizioni con quelli che sono in migliori condizioni, in modo da restituire una diagnosi che non mascheri le potenzialità del corpo idrico e consenta di definire le azioni utili per un percorso di ripristino.
Dovremmo riflettere poi sulla necessità di applicare anche ai corsi d’acqua in stato ecologico inferiore a elevato gli elementi idromorfologici, per tutelare dal rischio di danneggiamento i caratteri che li rappresentano. Ciò consentirebbe di indagare meglio sulle cause che determinano lo stato di qualità di tali corsi d’acqua e di evidenziare in essi situazioni da sottoporre a ripristino. L’applicazione di tale criterio consentirebbe anche di moderare il rilascio di eventuali deroghe per interventi che tendano a modificare l’idromorfologia dei corpi idrici che non ricadono in stato elevato solo per carenza di informazioni.
L’estensione degli elementi idromorfologici, in prospettiva, consentirebbe di incrementare la percentuale di fiumi a scorrimento libero, così come dettato dalla Agenda 2030 e, oggi, dalla Nature restoration law, con misure che in Italia non hanno ancora visto applicazione, come invece avvenuto in vari altri paesi europei (Portogallo, Spagna, Francia, Svizzera, Austria, Belgio, Germania, ecc.) dove si procede già da anni in tal senso e con percentuali incoraggianti.