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I più grandi consumano quanto una città di 50mila abitanti

Quanto bevono i data center? Dalla grande sete dell’intelligenza artificiale stress idrico in Arizona e Texax

Il nuovo studio J.P.Morgan mostra che la “scarsità e l'imprevedibilità” dell'acqua potrebbero rallentare fino al 6% la crescita del Pil nelle aree esposte
 |  Acqua

L’intelligenza artificiale è assetata. Non solo simbolicamente di successi peraltro conseguiti, come testimonia il rally delle quotazione delle aziende del comparto, ma prosaicamente d’acqua; quella che serve per raffreddare i data center già sotto i riflettori come energivori.

Un nuovo allarme sull’impronta idrica dei data center è lanciato dal recente rapporto “The future of water resilience in the U.S.”curato da J.P.Morgan assieme all’Erm Sustainability Institute. Secondo il nuovo rapporto, il boom dell'intelligenza artificiale sta peggiorando la situazione dell'acqua negli Stati Uniti e potrebbe determinare delle interruzioni della catena di approvvigionamento globale. Regioni come l'Arizona e il Texas, già naturalmente esposte allo stress idrico, prevedono un aumento dei data center, di impianti di manifattura di chip e di altre infrastrutture collegate all’intelligenza artificiale generativa.

I data center, infrastrutture essenziali per l’addestramento dei modelli di intelligenza artificiale, necessitano di enormi quantità di acqua per raffreddare le sale server spesso, secondo il rapporto, originate da fonti di acqua potabile. Già l’aumento della popolazione incide sulla consistenza delle riserve di acqua dolce in alcune zone degli Stati Uniti, e in aggiunta, “il 20% dell'acqua utilizzata oggi dai data center proviene da bacini idrici già stressati, con conseguenti rischi per l'industria tecnologica, le comunità e l'ambiente circostanti”, si legge nel rapporto.

Secondo il rapporto, un data center di medie dimensioni consuma in media circa 300.000 galloni di acqua (oltre un milione di litri) al giorno. Ma i data center più grandi possono utilizzare fino a 16 volte più acqua al giorno, all’incirca la stessa quantità di una città di 50mila abitanti. Nel 2023 i data center con sede negli Stati Uniti hanno utilizzato oltre 75 miliardi di galloni d'acqua (circa 278 miliardi di litri d’acqua). Un quinto di questi proveniva da bacini idrici cosiddetti stressati. In sovrappiù i data center necessitano di chip, la cui manifattura richiede anch’essa grandi quantità di acqua e i cui processi produttivi, secondo il rapporto, scaricano anche “acque reflue altamente tossiche, sature di sostanze chimiche e metalli pesanti”.

La crescente domanda di data center avviene in un contesto di cambiamento dei modelli di precipitazione, aumentando piogge e nevicate in alcune aree, e determinando scarsità in altre. Sebbene finora la localizzazione dei data center fosse guidata dall'accesso all'energia pulita e a basso costo, “si prevede che l'aumento dello stress idrico (…) avrà un impatto sull'ubicazione dei futuri data center”.

La gestione dell’acqua, già esposta agli effetti dei cambiamenti climatici, si trova anche a dover soddisfare l’insaziabile fame dell'intelligenza artificiale. Il combinato disposto, si legge nel rapporto, potrebbe provocare “una vera e propria interruzione delle catene di fornitura globali” nonostante la rassicurante nota conclusiva sulla crescente consapevolezza e reattività della Big Tech sulla portata della sfida. Ovviamente da quando i riflettori si sono accesi sulla questione.

Secondo il rapporto, negli Stati Uniti è necessario investire nell'acqua, aggiungendo che la “scarsità e l'imprevedibilità” dell'acqua potrebbero rallentare fino al 6% la crescita del Pil nelle aree esposte allo stress idrico. Secondo il rapporto, le infrastrutture idriche statunitensi hanno un deficit annuale di 91 miliardi di dollari di spesa pubblica. Sono necessari investimenti nel settore delle infrastrutture di controllo delle inondazioni e di trattamento delle acque reflue, ma fortunatamente le tecnologie emergenti collegate anche alla stessa intelligenza artificiale, offrono delle prospettive incoraggianti per risolvere le aree di criticità e fabbisogni. Una situazione che si ritrova anche in Italia come evidenzia il recente studio di Proger “Water intelligence”, nel quale si individuano 176 miliardi di investimenti necessari distribuiti sull’arco dei prossimi 10 anni per un piano nazionale per la sicurezza idrica e idrogeologica.

Patrizia Feletig

Laureata in Economia e commercio alla LUISS di Roma, lavorato nel settore finanziario (Morgan Guaranty Trust), nella comunicazione aziendale (Shandwick Group) e nell’energia (Forum Nucleare Italiano, Assoelettrica, Sharengo). Consigliere di amministrazione Sogin (2016-2019) Giornalista pubblicista ha collaborato per stampa, TV e radio. Ha pubblicato libri sul nucleare, le energie rinnovabili e le tecnologie green. Ultimo titolo “Caccia Grossa alla CO2”, Milano Finanza Editori, 2022. È advisor del Guarini Institute for Public Affairs John Cabot University Rome, membro del Comitato Scientifico della Fondazione Luigi Einaudi e presidente dell’Associazione Copernicani, advocacy group sui temi dell’innovazione.