Sorpresa! La supertecnologia dell’intelligenza artificiale va ad acqua. E se manca va in tilt
È accaduto nella notte tra domenica e lunedì. La mancanza di acqua e il caldo anomalo hanno mandato in tilt le tecnologie dei data center di ultima generazione di Fastweb a Milano. I protocolli di sicurezza e i backup e le precauzioni di una delle aziende più innovative non sono riusciti a prevenire e gestire l’emergenza e la tecnologia del nuovo data center Tier Quattro, un top dei data center, e il surriscaldamento ha “bruciato” la scheda dei calcolatori che deve operare intorno ai 20 gradi in un ambiente-frigo con temperatura tra 4 e 6 gradi, con il sistema di raffreddamento delle macchine necessariamente alimentato ad acqua attraverso reti di canaline di scorrimento continuo. Il calore ha mandato in panne il data center principale e anche il backup, per una probabile fuoriuscita di acqua. Sono andati in crash tutti i server per oltre 10 ore.
Per Fastweb si è trattato di «un imprevedibile malfunzionamento del sistema di gestione dell’impianto di condizionamento». Il gruppo controllato da Swisscom ha chiesto «profondamente» scusa ai clienti «per i disagi subiti». Ma il gruppo Caltagirone Editore ha perso le tirature del 13 agosto e non ha mandato in stampa i pdf dei giornali bloccati dallo shutdown nei data center e nemmeno gli abbonamenti digitali del Messaggero, Mattino, Corriere Adriatico e Gazzettino.
Milano ha fatto emergere platealmente un dato finora sommerso: tecnologie e intelligenza artificiale non esisterebbero senza l’utilizzo dell’acqua, poiché i sistemi intelligenti funzionano grazie alla refrigerazione liquida, e senza acqua andrebbero in crash i circuiti elettrici e elettronici, in avaria i server, e i potenti supercalcolatori non sarebbero più in grado di rispondere nemmeno alle loro funzioni minime. Uno studio realizzato sulla “Water intelligence” con Proger da Erasmo D’Angelis e Mauro Grassi analizza il favoloso mondo iper-tecnologico che, dall’addestramento dell’algoritmo offline all’utilizzo predittivo online, è il risultato del lavoro di potenti data center che sono infrastrutture di base tra le più idroesigenti, oltre ad essere anche tra le più energivore. Dietro i contenuti e le infinite utilità dei nostri computer e dei nostri smartphone, c’è lo sviluppo delle tecnologie digitali, e soprattutto la crescita galoppante dell’IA ad elevatissimo consumo di acqua dolce, che i colossi dell’IA iniziano solo oggi a valutare rendendo più trasparente il consumo.
L’acqua, infatti, deve raffreddare mega-computer sempre più potenti che devono “lavorare” h24, senza rischiare di far surriscaldare i circuiti, provocando blocchi o magari incendi. Le immense “sale server” devono essere sempre mantenute ad una media di raffrescamento tra minimo 10 e massimo 26 gradi di temperatura per garantire il funzionamento dell’infrastruttura e dei sistemi di IA. Per regolare la temperatura si utilizzano “torri di raffreddamento” esterne che funzionano grazie a enormi quantità d’acqua immessa nei dispositivi. E l’acqua deve essere dolce, possibilmente potabile per evitare eventuali corrosioni delle macchine o infiltrazioni di batteri. L’acquisizione e l’analisi di enormi quantità di dati comporta l’utilizzo di enormi quantità di acqua per raffreddare il calore emesso dal consumo di enormi quantità di energia elettrica. Del resto, in piccolo, basta osservare il calore emesso dal processore dei nostri computer per farsi un’idea del surriscaldamento.
L’acqua, ad oggi, è l’unica soluzione. Questo significa che i consumi idrici aumenteranno enormemente, soprattutto per l’utilizzo di nuovi modelli con elaborazioni di dati sempre più vasti rispetto ai software precedenti. È la stessa Google, che ha sviluppato la chatbot Gemini basata sull’IA generativa e sull’apprendimento automatico, a comunicare che, tra il 2021 e il 2022, ha dovuto aumentare del 20% i consumi idrici in gran parte per far funzionare i sistemi di IA. Anche Microsoft, nel suo ultimo report sulla sostenibilità ambientale, rivela un consumo di acqua aumentato del 34%, e che dal 2021 al 2022 ha utilizzato 1,7 miliardi di galloni, e se un gallone vale 7,854 litri l’intero consumo equivale al riempimento di 2.500 piscine olimpioniche all’anno. I ricercatori dell’Università del Colorado Riverside e della texana Arlington hanno calcolato che la sola fase di “addestramento” di ChatGpt-3, l’assistente virtuale di OpenAI, ha consumato 700.000 litri di acqua, e l’impronta idrica delle sole query di IA vale un consumo di mezzo litro d’acqua per rispondere a un range di domande tra 20 e 50. Microsoft, che ha finanziato OpenAi, società creatrice di ChatGpt, indica l’aumento maggiore dei suoi consumi idrici nella gestione dei mega data center dell’IA collocati nello Iowa, al confine tra gli immensi campi di granturco e la capitale Des Moine, dove un’infinità di computer gestiscono il modello ChatGpt-4 alimentati senza sosta dall’acqua prelevata dai fiumi Raccoon e Des Moine.
Complessivamente, nel 2022 le aziende tecnologiche globali top - Google, Microsoft e Meta - hanno prelevato e consumato oltre 2 miliardi di metri cubi di acqua dolce. E nel 2027 la domanda di AI generativa richiederà prelievi che si stimano in una media di 5,5 miliardi di metri cubi di acqua, più o meno quanto i consumi dell’intero servizio idrico italiano escluse le perdite.
Le big tech, le multinazionali tecnologiche, cercano soluzioni contro lo spreco, e fanno bene poiché anche l’IA, e più in generale le tecnologie applicate, emergono come attività idro-esigenti e, come tali, richiedono specie in aree in stress idrico, l’applicazione di innovazioni per il risparmio idrico. Water Footprint Network, la piattaforma di analisi globale degli usi dell’acqua che calcola l’evaporazione e l’incorporazione di acqua in ogni prodotto e il livello di inquinamento prodotto - valori che andrebbero contrassegnati in etichetta per noi consumatori -, rileva un’impronta idrica tecnologica paragonabile al nostro fabbisogno quotidiano di acqua moltiplicato per 30, e per noi italiani varrebbe il consumo teorico di 7.000 litri a testa al giorno.