Siccità, l'unico lago naturale della Sicilia si è prosciugato. Legambiente: «È crisi totale»
Dove c’era l’unico lago naturale della Sicilia, quello di Pergusa in provincia di Enna, è in corso «una crisi totale» come mostra Legambiente che ha condotto oggi nell’area un blitz con la sua Goletta dei laghi: Non c’è più acqua, quello che rimane è un’enorme piastra di sale cotta dal sole», spiega il responsabile Risorse idriche del Cigno verde regionale, Giuseppe Amato.
Si tratta dell’ennesima cronaca di un’emergenza annunciata rimasta inascoltata: «L'emergenza in Sicilia – denuncia l’associazione ambientalista – è figlia della siccità del Po del 2022 e di un trend collegato alla crisi climatica, in continua evoluzione e a cui in questi anni non sono seguiti interventi strutturati nella gestione della risorsa idrica, che avrebbero potuto fare la differenza per contrastare oggi il problema».
Da qui l’appello di Legambiente al Governo Meloni, che – nel riconoscere l’emergenza nazionale per la siccità in Sicilia – ha stanziato appena 20 mln di euro a fronte dei 590 chiesti dalla Regione: «L’Italia – argomenta Legambiente – ha bisogno di una governance più efficace, attenta e circolare dell’acqua, ad oggi ancora grande assente. Basta a soluzioni tampone spesso inappropriate, come le ordinanze di razionamento dell’acqua, la trivellazione di nuovi pozzi, il ricorso smisurato a nuovi dissalatori e nuovi invasi; servono, invece, interventi nazionali strutturali non più rimandabili a partire da più investimenti per la risorsa idrica per l’ammodernamento della rete, il completamente delle opere mai finite come i depuratori e le reti fognarie, le 42 gradi dighe che ancora oggi sono in esercizio limitato, le 81 in fase di esercizio sperimentale con limitazione all’uso e le 2 in costruzione, senza considerare l’ammodernamento e lo sghiaiamento di quelle esistenti».
A parlar chiaro i dati: l’Italia è il 2° Paese più idrovoro d’Europa in termini di prelievi ad uso potabile dopo la Grecia con un valore di 156,5 m3/anno per abitante; preoccupano le perdite della rete idrica che si attestano mediamente al 42%, con una forbice netta tra il nord ovest del Paese (perdita media del 32%) e del Sud (perdite medie del 51%). Secondo i dati Istat, l’acqua dispersa nelle reti comunali nel 2022 avrebbe potuto soddisfare il fabbisogno di 43,4 milioni di persone per un intero anno (il 75% della popolazione); in fatto di recupero delle acque reflue, oggi, in Italia solo il 4% del totale delle acque reflue depurate è ad esempio effettivamente destinato al riutilizzo in agricoltura, a fronte di un potenziale del 23%, secondo Enea, e questo a causa di aspetti tecnici, normativi, ma anche di carenze infrastrutturali. Dati preoccupanti su cui per Legambiente occorre al più presto intervenire.
«L’emergenza siccità – spiega Andrea Minutolo, responsabile scientifico di Legambiente – colpisce di anno in anno sempre più regioni della Penisola con una geometra variabile. La grande siccità del 2022 del fiume Po è stato un importante campanello dall’allarme, rimasto purtroppo inascoltato e frutto a sua volta di un’altra importante emergenza siccità. Oggi le immagini del lago di Pergusa ci restituiscono l’immagine plastica di quella emergenza mai finita. Al Governo e al Commissario straordinario Dell’Acqua diciamo di agire subito con una strategia nazionale della gestione idrica, più attenta e circolare, con interventi concreti non più rinviabili, ma anche con pratiche e misure per ridurre la domanda di acqua ed evitarne gli sprechi, negli usi civili e soprattutto negli usi agricoli».
In questo scenario critico, Legambiente ha individuato cinque punti cardine che devono essere affrontati nell’ottica di uno sviluppo di una governance nazionale attenta e circolare dell’acqua, rappresentati dagli: ostacoli da superare e che stanno portando al conflitto tra gli usi della risorsa; dai limiti legati alle infrastrutture; dall’ammodernamento degli impianti; dai provvedimenti tardivi in piena emergenza; dalle soluzioni «inefficaci» come i nuovi invasi e i dissalatori.
Per quanto riguarda in particolare il tema invasi, Legambiente afferma che in Italia vi sono 532 invasi artificiali per una capacità teorica di volume invasabile pari a circa 13,7 miliardi di metri cubi e un volume di invaso autorizzato pari a circa 11,8 miliardi di metri cubi. Purtroppo, quasi un terzo della capacità non è utilizzabile per contenere risorsa idrica perché occupato da sedimenti interrati, per un volume stimato pari a circa 4 miliardi di metri cubi, mentre 1,9 miliardi di metri cubi di ulteriore capacità, già presente nel sistema, non è mai stata autorizzata perché in attesa di collaudo.
Basti pensare che in Sicilia, il 34% del volume complessivo dei 29 grandi invasi dell’Isola si perde infatti a causa dell’interrimento, cioè dell’accumulo di detriti sul fondale, mentre, secondo la Direzione generale per le dighe e le infrastrutture idriche, a marzo 2023 soltanto 22 dighe dell’Isola risultavano in “esercizio normale”, altre sette erano in “esercizio limitato”, portando a 29 quelle attive e altri 11 invasi erano invece “in collaudo”, quattro “fuori esercizio” e due in “costruzione”.
Per quanto riguarda invece il “no” ai dissalatori, secondo Legambiente la proposta che vede la realizzazione di impianti di desalinizzazione per avere una maggiore quantità di acqua a disposizione «non è sostenibile» se si pensa possa essere la soluzione continua e strutturale di approvvigionamento idrico per tutto il Paese. È una soluzione da prendere in considerazione solo in casi di necessità e in determinati periodi dell’anno e solo per realtà particolari, come possono essere le piccole isole, visti gli elevati costi economici quanto quelli energetici e ambientali associati a questa tecnologia. Per il resto del territorio sarebbe una “non” soluzione.
Proprio per rispettare la richiesta legambientina di arrivare presto a «una strategia nazionale della gestione idrica», sarebbe però più opportuno valutare complessivamente le necessità del Paese, comprese anche le opportunità di realizzare nuovi invasi dove necessario – oltre a portare a pieno regime le infrastrutture esistenti –, contando anche il loro ruolo positivo nella gestione delle alluvioni oltre che delle siccità, e di messa in opera di dissalatori, come sta avvenendo con successo ad esempio all’isola d’Elba.
Sotto questo profilo una prima proposta di Piano nazionale per la sicurezza idrica e idrogeologica, per affrontare la doppia minaccia di siccità e alluvioni, c’è già: l’ha elaborata la Fondazione Earth and water agenda, arrivando a stimare la necessità di investimenti da 17,7 mld di euro l’anno per un decennio, dalle soluzioni basate sulla natura agli invasi, dal servizio idrico integrato agli usi agricoli e industriali dell’oro blu.