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Termovalorizzatore di San Zeno, ecco perché Aisa impianti ha chiesto di mantenere in vita L45

Cherici: «Per fare fronte alle necessità dell’intera Regione e annullare l’esportazione di scarti servono impianti ben maggiori di quello di Arezzo»
 |  Toscana

In una nota il gruppo consiliare aretino del Pd informa che la partecipata pubblica che gestisce il Polo di gestione rifiuti di San Zeno, Aisa impianti, ha «depositato presso gli enti preposti (ovvero la Regione Toscana a guida Pd, ndr) la richiesta per mantenere in vita la linea di incenerimento rifiuti L45 (quarantacinquemila tonnellate di capacità smaltimento), che in origine doveva essere dismessa a vantaggio della nuova linea di smaltimento rifiuti da 75mila tonnellate».

L'operazione viene giustificata «in quanto il processo garantirebbe maggiore produzione di energia elettrica», ma per il gruppo Pd «la capacità di incenerimento complessiva di 120mila tonnellate è sovradimensionata sia rispetto alla necessità della provincia di Arezzo sia dell'Ambito Toscana sud, considerando l'altro importante e grande inceneritore di Poggibonsi», parlando di «business dei rifiuti» e domandosi se «questo ennesimo ampliamento serve forse a fare diventare Arezzo la pattumiera dell'intera Toscana».

Alla nota è seguita una richiesta di chiarimenti all’azienda da parte dei consiglieri regionali Pd De Robertis e Ceccarelli, i quali «hanno sottolineato – spiega oggi il presidente Aisa impianti, Giacomo Cherici – che i procedimenti autorizzativi rispondono alle leggi che li hanno istituiti e che il trattamento dei rifiuti va chiuso nell’ambito di produzione. Tradotto in termini più comprensibili significa che nessuno può in autonomia fare impianti di dimensioni a piacere e/o prendere iniziative di parte se non nell’alveo di quanto deciso e autorizzato da Stato, Regione, Enti locali, e Autorità di regolazione e controllo. Basterebbe questo a rasserenare il gruppo consiliare, ma è anche giusto esprimere alcune osservazioni su quanto letto nella nota del gruppo aretino».

Nel merito, Cherici informa che l’azienda «sta realizzando i nuovi reparti in base all’autorizzazione rilasciata da Regione Toscana nel 2020 e i flussi di rifiuti all’impianto sono regolati dalle autorizzazioni e dall’Autorità di ambito». Fino all’anno scorso la Regione prevedeva la possibilità di mantenere attiva L45 solo durante la fase di realizzazione di L75 (o durante le fasi di fermo durante l’esercizio della stessa), i cui lavori sono appena iniziati per 24 mln di euro, e sarà sempre la Regione a valutare adesso se procedere diversamente.

Cherici osserva che rimuovere la L45 sarebbe «antieconomico perché i cittadini dovrebbero sostenere attraverso la Tari un costo di circa 2,5 milioni di euro», mentre ad oggi l’indennità di disagio ambientale riconosciuta al territorio è pari a «900 mila euro all’anno per ridurre la Tari e svolgere servizi ambientali, importo stabilito dalla normativa […] Avendo un impianto così organizzato impediamo che nella tari ricadano costi determinati dalla necessità di andare altrove, ovvero pagare altri e pagare il trasporto. Il vero tema che andrebbe affrontato è: come premiare i territori che si sono dotati di impianti efficaci. L’indennità sopra citata evidentemente non viene percepita e presenta tutti i difetti di una normativa di settore invecchiata. La Regione Toscana ha l’autorevolezza necessaria per portare questo argomento a livello nazionale».

«Ci viene detto – continua Cherici – di voler far diventare “Arezzo la pattumiera della Toscana”. Non è possibile perché, come indicato dal Piano regionale dei rifiuti, le due linee non sono nemmeno sufficienti per la Toscana del sud. Per fare fronte alle necessità dell’intera Regione e annullare l’esportazione di scarti servono impianti ben maggiori di quello di Arezzo. Per la cronaca sarebbe utile dare uno sguardo ad alcune realtà, ad esempio: Riccione ha un impianto con una capacità di recupero energetico di oltre 150 mila tonnellate a 2 km da Viale Ceccarini e non è “la pattumiera” della Romagna. Anche Bolzano, il cui impianto è autorizzato per 130 mila tonnellate, non è la pattumiera del Trentino Alto Adige. Che dire poi dell’impianto di Barcellona, 360 mila tonnellate autorizzate. Fornisce energia a case, alberghi, ospedale, si trova alla spiaggia di Playa de Forum, quartiere elegante a 5 km dalle Ramblas».

La cronaca rende invece ancora una volta evidente come, in Italia, la dotazione d’impianti di prossimità per le varie fasi dell’economia circolare venga additata come un «business dei rifiuti» da condannare, anziché come una leva di sviluppo sostenibile per il territorio.

Nel Polo di San Zeno complessivamente operano un impianto per la selezione delle frazioni secche (a partire dal multimateriale, come nel caso delle plastiche) da avviare a riciclo, un termovalorizzatore per valorizzare energeticamente le frazioni secche non riciclabili, e un nuovo biodigestore anaerobico per ricavare biometano e compost da 70mila t/a di rifiuti organici, provenienti da raccolta differenziata (Forsu), sfalci e potature. In questo contesto, come sempre l’indiziato per il pubblico ludibrio è il termovalorizzatore.

Quello di San Zeno è uno dei soli quattro impianti di termovalorizzazione rimasti in Toscana, utili a ricavare energia da quei rifiuti che non è stato possibile avviare a riciclo: gli altri sono a Livorno (oggi fermo in attesa di revamping, ma con chiusura prevista a fine 2027), Poggibonsi (dove Sienambiente ha in programma interventi di manutenzione straordinaria) e Montale (dove è avviata la gara per trovare il nuovo gestore).

In attesa che prenda corpo il Piano regionale dell’economia circolare in fase di approvazione definitiva, che scommette – senza sbilanciarsi in localizzazioni – sulla realizzazione di innovativi impianti come l’ossicombustore in progetto a Peccioli per puntare all’autosufficienza nella gestione di rifiuti urbani e speciali, i termovalorizzatori presenti sul territorio sono l’unico presidio rimasto prima delle discariche: senza di essi, come mostra plasticamente il caso livornese, i rifiuti non riciclabili passano solo come tappa intermedia dagli impianti di trattamento meccanico biologico (Tmb) per poi dirigersi a smaltimento.

All’alba del Piano regionale, nel 2022, il rapporto Sfide e opportunità per la gestione efficiente dei rifiuti in Toscana al 2030, realizzato da Ref Ricerche e promosso da Confindustria Toscana e Confservizi Cispel Toscana, presentato in Regione, informava che alla Toscana del 2030 serve una nuova capacità di riciclo chimico, ossicombustione o termovalorizzazione – insomma, tecnologie in grado di valorizzare i rifiuti non riciclabili meccanicamente – pari a 597mila ton/anno. Tutto questo mentre, duole ricordare, la Toscana esporta all’estero 232mila ton/anno di rifiuti speciali, mentre non sappiamo con precisione quante ne esporti nel resto delle Regioni italiane.

In questo contesto, che ruolo possono svolgere i termovalorizzatori? Nella primavera 2023 lo stesso commissario Ue all’Ambiente, Virginijus Sinkevičius, si è recato in visita a Roma per ricordare che «il termovalorizzatore è nel modello europeo». Non ci sono particolari preoccupazioni di sorta sotto il profilo sanitario, anche se dal punto di vista emissivo ed economico la termovalorizzazione potrebbe dover fare i conti dal 2028 con l’ingresso nel sistema Ets, dove ogni tonnellata di CO2 emessa ha un prezzo.

L’urgenza di dotare il centro sud del Paese di impianti per il recupero di materia e di energia dalle frazioni di rifiuti non riciclabili meccanicamente è ormai posta chiaramente anche da Ispra oltre che da Utilitalia, ma i termovalorizzatori non sono le uniche tecnologie in grado di rispondere alla chiamata. Lo opzioni alternative spaziano appunto dal riciclo chimico fino all’ossidazione termica, in modo da calibrare la risposta più efficiente (e socialmente accettabile) sui vari territori; per questo il Piano regionale ha deciso di non prevedere al realizzazione di nuovi termovalorizzatori. Ciò non toglie, ovviamente, la possibilità di ampliare gli impianti già esistenti  per contribuire a sanare il grave deficit impiantistico che ancora pesa sulla Toscana.

Luca Aterini

Luca Aterini, toscano, nasce settimino il 1 dicembre 1988. Non ha particolari talenti ma, come Einstein, si dichiara solo appassionatamente curioso: nel suo caso non è una battuta di spirito. Nell’infanzia non disegna, ma scarabocchia su fogli bianchi un’infinità di mappe del tesoro; fonda il Club della Natura, e prosegue il suo impegno studiando Scienze per la pace. Scrive da sempre e dal 2010 per greenreport, di cui è oggi caporedattore.