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Tetti inutilizzati: l’energia solare è già costruita, basta usarla
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L'Italia ha un problema di gestione efficiente del territorio. Da decenni si continua a costruire, spesso senza una pianificazione strategica, e oggi ci troviamo con una quantità enorme di edifici industriali, commerciali e residenziali che coprono il paese, spesso senza essere pienamente utilizzati. Mentre il dibattito sulla transizione energetica si concentra su dove installare nuovi impianti fotovoltaici, la risposta più semplice è già sotto gli occhi di tutti: i tetti esistenti sono la più grande risorsa non sfruttata per l’energia pulita.
Secondo le stime più aggiornate, in Italia esistono oltre 100.000 edifici industriali e commerciali con coperture adatte al fotovoltaico. Se solo il 30% delle superfici disponibili venisse utilizzato, potremmo installare più di 25 GW di nuova capacità solare, senza consumare un solo metro quadro di suolo agricolo o naturale. E se si considerano anche le abitazioni private, il potenziale è ancora più grande.
Eppure, nonostante questi numeri, gli impianti medi e piccoli, principalmente su tetto, continuano ad essere considerati come di interesse unicamente delle pubbliche amministrazioni o di singoli privati illuminati. Questo approccio non solo è insostenibile nel lungo periodo, ma va contro ogni logica di efficienza: perché non sfruttare milioni di metri quadrati pronti per essere utilizzati, con maggior semplificazione burocratica negli iter autorizzativi?
Oltre alla questione ambientale, sfruttare i tetti esistenti offre vantaggi concreti e immediati. La produzione di energia in prossimità dei punti di consumo riduce le perdite di trasmissione e alleggerisce il carico sulla rete elettrica, migliorandone la stabilità. Per le aziende, significa minori costi energetici e una maggiore indipendenza dalla volatilità del mercato. Per le città, vuol dire avere un sistema energetico più distribuito e resiliente, capace di supportare la crescita della domanda senza nuove infrastrutture invasive. Per gli investitori, vuol dire avere progetti più semplici da implementare con la possibilità di realizzare economie di scala non sulla dimensione del singolo impianto ma sulla numerosità di un pacchetto di impianti vicini fra loro.
L’ostacolo principale a questa trasformazione non è tecnologico, ma economico, normativo e burocratico. Infatti, per lo più i modelli esistenti sono o complessi da implementare da un punto di vista normativo e contrattuale, come nel caso delle CER, o non garantiscono i ritorni attesi dagli investitori. I piccoli e medi impianti su tetto e a terra vengono infatti confrontati, in termini di ritorno economico, con i grandi impianti che, per ovvie economie di scala, garantiscono ritorni maggiori sull’investimento. È necessario invertire questa tendenza: le politiche di incentivazione dovrebbero premiare chi utilizza il costruito, e gli investitori dovrebbero aprirsi a nuovi modelli operativi, a tratti più creativi ma assolutamente realizzabili.
Alcuni paesi stanno già andando in questa direzione, rendendo obbligatoria l’installazione di fotovoltaico sui nuovi edifici o promuovendo incentivi specifici per la riqualificazione delle coperture esistenti. In Italia, un cambio di prospettiva è urgente. Se vogliamo accelerare la transizione energetica senza compromettere il territorio, dobbiamo guardare in alto: i tetti non sono solo coperture, ma una risorsa strategica per il futuro dell’energia solare.
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