Shell patteggia causa milionaria contro Greenpeace, passo indietro dell’azienda petrolifera
Lo scorso anno 9 attivisti di Greenpeace avevano occupato pacificamente una piattaforma della compagnia petrolifera Shell, che di rimando ha fatto causa contro l’associazione ambientalista chiedendo oltre 11 milioni di dollari in risarcimenti e costi legali.
Ieri però il colosso fossile ha raggiunto un accordo con Greenpeace International e Greenpeace UK: l’associazione ambientalista non riconoscerà alcuna responsabilità né pagherà alcuna somma a Shell, ma donerà 300 mila sterline alla Royal National Lifeboat Institution (RNLI), organizzazione che si occupa di soccorso in mare. Greenpeace si è inoltre impegnata a non protestare per un certo periodo presso quattro siti Shell nel Mare del Nord settentrionale.
Questi siti sono in gran parte campi in declino, dove Greenpeace non avrebbe comunque pianificato ulteriori azioni di protesta. L'organizzazione ambientalista ovviamente però continuerà la sua campagna contro Shell, anche sulle attività estrattive del colosso fossile nel Mare del Nord.
«Shell pensava che farci causa per milioni di dollari ci avrebbe intimiditi, ma questa azione legale si è trasformata in un boomerang mediatico. La reazione pubblica contro l’atteggiamento prepotente del colosso petrolifero ha costretto Shell a fare marcia indietro e a risolvere la questione fuori dalle aule del tribunale – ha dichiarato Areeba Hamid, co-direttrice esecutiva di Greenpeace UK – Migliaia di persone hanno sostenuto la nostra battaglia contro Shell, permettendoci di rimanere indipendenti e continuare a chiedere conto alle grandi aziende petrolifere. Non un centesimo dei fondi dei nostri sostenitori andrà a Shell: saranno usati per continuare la campagna contro l'industria dei combustibili fossili e gli altri grandi inquinatori».
Gli esperti hanno descritto questa causa come una Strategic lawsuit against public participation (Slapp), una tipologia di azioni legali avviate da grandi aziende per silenziare chi si oppone criticamente al loro operato.
Le Slapp sono una pratica intimidatoria sempre più diffusa, che purtroppo tocca anche l’Italia. Secondo l’ultimo report annuale appena pubblicato dalla coalizione Case, Slapps in Europe: Mapping Trends and Cases, l’Italia è il Paese dell’Unione europea in cui si è registrato il maggior numero di azioni temerarie, ben 26. Un trend che gli autori del report definiscono “preoccupante”.
Solo poche settimane fa, anche Eni ha citato strumentalmente in giudizio Greenpeace Italia, Greenpeace Paesi Bassi e ReCommon, accusandole di aver orchestrato una “campagna d’odio” contro l’azienda. Si tratta in realtà di un tentativo di distogliere l’attenzione dalla causa climatica che le due organizzazioni, insieme a dodici cittadine e cittadini italiani, hanno intentato oltre un anno fa nei confronti dell’azienda.
«La mediazione raggiunta nel Regno Unito dimostra che per quanto i colossi dei combustibili fossili cerchino di zittire chi si batte per l’ambiente, la giustizia e la forza della collettività possono prevalere –commenta Simona Abbate, della campagna Clima ed Energia di Greenpeace Italia – Anche in Italia non ci arrenderemo finché le aziende inquinanti come Eni non abbandoneranno definitivamente l’estrazione di combustibili fossili, puntando seriamente sulle energie rinnovabili, e non si assumeranno la responsabilità dei danni che stanno causando alle persone e al pianeta».