L’impronta di fotovoltaico ed eolico a terra utilizza solo lo 0,1% della superficie agricola nazionale
C’è un nuovo studio che indica quanto l’impianto analitico alla base del decreto Agricoltura e la posizione del governo sull’agrivoltaico siano lontani dalla realtà. E quanto invece sarebbe opportuno accelerare sulle rinnovabili. A realizzarlo è stata Althesys, società indipendente di consulenza strategica nei settori energia, ambiente, infrastrutture e utility. Tra i risultati dell’indagine spicca questo dato: il fotovoltaico a terra occupa un’estensione pari allo 0,2% della superficie agricola totale al 2035 e offre ampie opportunità alle comunità locali in termini di occupazione, riduzione dei costi in bolletta, autoconsumo energetico, sicurezza e indipendenza. Ma l’analisi dice molto altro.
Le energie rinnovabili hanno un impatto molto modesto sui terreni agricoli italiani e ancor più esiguo rispetto all’intero territorio e, se adeguatamente progettate con una pianificazione consapevole, potrebbero integrarsi in maniera vantaggiosa. È proprio questo, innanzitutto, che dati alla mano dimostra lo studio presentato nei giorni scorsi presso la sede del Gse da Althesys in collaborazione con European Climate Foundation. Il titolo del rapporto è “Paesaggio e rinnovabili, una convivenza possibile. Opportunità e sfide per lo sviluppo sostenibile del territorio”, ed è stato realizzato tenendo conto degli obiettivi di riduzione del 53% delle emissioni al 2030.
«Dalla ricerca - sottolinea Alessandro Marangoni, che ha guidato il team di ricerca - emerge con chiarezza che non esiste una reale contraddizione tra gli obiettivi della transizione energetica e la legittima salvaguardia di un diritto costituzionale come la tutela del paesaggio. La vera domanda è quali possono essere le migliori soluzioni per armonizzare le rinnovabili nel territorio, a partire dalle aree dismesse e dall’agrivoltaico che garantiscono un ridotto impatto».
Dai dati della ricerca emerge che attualmente l’impronta di fotovoltaico ed eolico a terra utilizza una area solo dello 0,15% della superficie agricola utilizzata a livello nazionale, o lo 0,11% della superficie agricola totale. Nel 2023, per una potenza disponibile di 9 GW di fotovoltaico a terra, la quota sul totale si fermava al 30%, con un uso del suolo di 167 km2. Al 2035 si prevede una capacità raddoppiata a 20 GW e un'incidenza sui suoli agricoli prevista in 283 km2 (+116 km2). L’impronta si riduce ulteriormente grazie all'agrivoltaico (stimati in 393 km2 in più al 2035 per 1.310 km2 di superfici), che offre l’integrazione tra produzione energetica e uso agricolo con un risparmio di almeno il 70% delle superfici su cui insiste.
Non c’è neppure la presunta “invasione” dell’eolico che dispone in Italia oggi di 12,3 GW di capacità a terra, e 0,03 GW a mare, con un uso di suolo di soli 18 km2. L’eolico a terra – che ha una stima di espansione di 1,4 volte - continuerà ad avere un’occupazione minima di suolo ma un fabbisogno specifico di superfici superiore alle altre fonti dovuto alle grandi distanze tra le turbine. Tra dieci anni si stimano 30 GW (+17 GW) e 44 km2 di suolo (+26 km2) e 3.489 km2 di superfici necessarie. Lo sviluppo delle rinnovabili elettriche, tuttavia, richiederà investimenti anche in reti e accumuli, che necessitano di altro spazio. Per le batterie di grande dimensione si prevede, comunque, un uso di suolo molto contenuto.
Dall’indagine emerge chiaramente la necessità di disporre di adeguate informazioni sulle opportunità che deriverebbero da un’accelerazione su questo fronte: anzitutto economiche, ma non solo, che contribuiscono a migliorare la qualità della vita delle comunità locali. Per migliorare l'accettabilità di questi progetti, viene anche sottolineato dallo studio, è necessario disporre anche di strumenti in grado di offrire benefici tangibili e quantificabili. Tra questi, ad esempio, si possono destinare risorse provenienti da fondi ambientali o da meccanismi di scambio di permessi di inquinamento (Ets) per mitigare gli eventuali impatti delle rinnovabili sul paesaggio. Un’ipotesi di questo tipo fu fatta dall’attuale Governo con una proposta di legge che inizialmente prevedeva 10 €/kW per nuovi impianti a carico del costruttore con l’aggiunta di fondi da Ets per compensare le Regioni, ma che successivamente venne stralciata. Si potrebbe pensare oggi a compensazioni da Ets da destinare direttamente ai Comuni. Ma altre potrebbero essere le soluzioni, come ad esempio il ricorso al crowdfunding, che prevede una raccolta fondi dedicata da parte di cittadini, chiamati a sostenere la transizione energetica potendo trarne al contempo benefici economici. Dal punto di vista dell’occupazione e dei benefici reali per l’economia locale, un’altra voce rilevante potrebbe essere quella dedicata a programmi di formazione per l’imprenditoria e il mercato del lavoro delle aree coinvolte.
La sostituzione della produzione da combustibili fossili con quella rinnovabile, emerge con nettezza dallo studio, favorirà una riduzione dei prezzi zonali dell'energia elettrica: con la riforma del mercato elettrico, questa riduzione si tradurrà principalmente in un alleggerimento della componente energia (che nel 2023 è stata in media il 60% dei costi per le imprese) per i consumatori nelle regioni a maggiore penetrazione di rinnovabili.
Lo scenario al 2035 dello studio immagina un settore elettrico completamente decarbonizzato, alimentato solo da fonti rinnovabili e sostenuto da reti intelligenti e risorse di flessibilità come accumuli, idrogeno e gestione della domanda. È necessario trovare il giusto bilanciamento tra grandi impianti e produzione diffusa, considerato che nel 2023 il totale degli impianti solari utility scale (oltre il MW) è circa il 30% del totale mentre la gran parte è residenziale-commerciale di piccola taglia. L’analisi evidenzia la necessità ricorrere agli impianti a terra per ragioni economiche.
Se una critica diffusa alle rinnovabili è quella dell’impatto sul paesaggio, va ricordato che tutte le attività umane influenzano l’ambiente e i problemi derivanti dalle soluzioni energetiche tradizionali, come gas e petrolio, sono molto più impattanti. La prosecuzione dello status quo, basato su gasdotti, raffinerie, centrali termoelettriche, etc. comporta rilevanti impatti sul territorio, sul clima, sull’efficienza e sulla sicurezza.