Come fare spazio alle rinnovabili nel teleriscaldamento, per decarbonizzare il settore termico
2030. Entro questa data l’Italia punta a raggiungere una quota di energia rinnovabile sui consumi lordi finali pari al 39,4%. Così stando ai target europei descritti dalla Direttiva europea 2023/2413 o Renewable Energy Directive RED III e consolidati nel PNIEC, il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima. Seppur spesso l’attenzione sia rivolta alla penetrazione delle rinnovabili nel comparto elettrico, più del 40% dell’obiettivo riguarda la decarbonizzazione del comparto termico, ossia dell’energia consumata principalmente ai fini del riscaldamento e raffrescamento degli edifici. Per questo comparto, la versione finale del PNIEC aggiornata a giugno 2024 e inviata alla Commissione Europea il mese successivo impone un aumento dell’energia rinnovabile sul totale dell’energia consumata del 66% al 2030 rispetto al dato consuntivo del 2022, con un obiettivo intermedio al 2025 di +17,5%.
Alle prevedibili difficoltà insite nel processo di decarbonizzazione, si aggiunge il fatto che tra i settori più energivori – con 51,5 Mtep consumati nel 2022 – vi è quello degli immobili. Un settore che presenta diverse criticità, a partire da una caratteristica su tutte: l’alta età media del patrimonio immobiliare italiano rende difficoltoso operare interventi di riqualificazione energetica su vasta scala.
In questo quadro, il teleriscaldamento si presenta come un settore in potenziale espansione e quale driver per la decarbonizzazione dei consumi termici. Tramite il teleriscaldamento è possibile veicolare un fluido ad alta temperatura negli edifici e riscaldarne gli interni. In alcuni casi è anche possibile effettuare l’operazione opposta, inviando un fluido refrigerante, contribuendo all’abbassamento della temperatura. Non a caso, la RED III introduce degli obiettivi specifici per i sistemi di teleriscaldamento utilizzando come riferimento la quota di energia termica prodotta tramite energie rinnovabili. In particolare, si invitano gli Stati membri ad aumentare “la quota di energia da fonti rinnovabili e da calore e freddo di scarto nel teleriscaldamento e teleraffrescamento di 2,2 punti percentuali indicativi quale media annua calcolata per il periodo dal 2021 al 2030, partendo dalla quota di energia da fonti rinnovabili da calore e freddo di scarto nel teleriscaldamento e teleraffrescamento nel 2020, e stabiliscono le misure necessarie a tal fine nei loro piani nazionali integrati per l’energia e il clima, …” (articolo 14)
Il perseguimento di tale obiettivo porterebbe l’Italia a definire una quota di energia da fonti rinnovabili nel teleriscaldamento al 2030 del 48%. Tuttavia, la stessa RED III, esonera l’Italia dagli obblighi appena esposti, poiché l’energia erogata attraverso sistemi di teleriscaldamento al 2018 rappresentava meno del 2% del consumo finale lordo di energia per riscaldamento e raffrescamento nazionali. Perciò nell’ultima versione del PNIEC l’obiettivo è stato posto pari a quello della quota di energie rinnovabili nel settore termico nel suo complesso, ossia 35,9%, assai minore del 48% inizialmente preventivato, ma comunque di molto maggiore rispetto al dato consuntivo del 2022 (che era del 21,2%).
Il nuovo impianto regolatorio italiano
Il settore del teleriscaldamento e teleraffrescamento sta attraversando una profonda trasformazione dovuta alla scelta di convertirlo da settore a mercato a settore regolato (in questo senso si veda Position Paper n. 255). Lo scenario regolatorio italiano prevede, dopo un periodo transitorio che si andrà a concludere nel 2024, l’implementazione del primo periodo regolatorio (MTT, Metodo Tariffario Teleriscaldamento) a partire dal 1° gennaio 2025, la cui struttura e metodologia è in corso di consultazione pubblica in questi ultimi mesi dell’anno. Il DCO 214/2024 pubblicato nel mese di maggio da ARERA pone sul tavolo diverse possibili opzioni di assetto regolatorio generale per i sistemi di teleriscaldamento e teleraffrescamento, da attuare in un primo periodo regolatorio dalla durata di 4 anni.
Il punto focale del DCO attiene alla modalità di definizione del vincolo ai ricavi, per il momento ipotizzato da calcolare a livello di singola rete. Il documento lascia aperta la possibilità di un vincolo ai ricavi calcolato per gruppi di rete gestiti dallo stesso esercente. Tale opzione appare una alternativa da considerare attentamente in quanto appare come più consona e non limitante rispetto alla creazione di nuove reti e alla possibilità di espansione di quelle già in essere.
Le alternative proposte dall’Autorità per la definizione dei ricavi sono sostanzialmente quattro: Costo evitato, Cost of service, Aggiornamento parametrico e Costi standard(per una trattazione dettagliata si rimanda al Position Paper nella sua forma integrale). Quella dei Costi Standard sembra essere l’opzione preferita dall’Autorità poiché implicherebbe un minore dispendio burocratico per l’elaborazione di dati contabili e permetterebbe agli esercenti di incrementare la propria redditività nei casi di efficientamento rispetto allo “standard”. ARERA propone una remunerazione dei costi fissi sulle base di costi di produzione forfettari definiti da analisi settoriali sviluppate dalla società di ricerca RSE.
Al di là delle preferenze dell’Autorità, non bisogna trascurare l’eterogeneità delle reti di teleriscaldamento: la maggior parte delle reti tra di loro simili in termini di volumi serviti e composizione del mix appartiene alla categoria delle reti in aree non metanizzate (montane). Tali reti, però, sono spesso estranee al perimetro previsto dalla regolazione, la quale prevede l’applicazione del primo periodo regolatorio alle reti sopra i 30 MW di potenza convenzionale. Secondo i dati diffusi dall’Associazione Italiana Riscaldamento Urbano Airu, delle 279 reti di teleriscaldamento attive in Italia alla fine del 2022, solo 51 rientrano nei parametri dimensionali richiesti dall’applicazione della regolazione, ossia presentano una potenza di generazione superiore ai 30 MW. Certamente un approccio a costi standard basato su macrogruppi di tecnologie potrebbe essere maggiormente adeguato in un contesto futuro in cui le reti di teleriscaldamento soggette alla regolazione possano aumentare di numero, ma rischia di essere ad oggi molto difficile standardizzare reti che per caratteristiche, struttura e dimensione sono molto diverse fra loro. Per questi motivi, per il primo periodo regolatorio potrebbero essere preferibili anche altre scelte, come quella della metodologia cost of service per i CAPEX, al fine sia di prevedere aderenza piena alle complessità delle varie reti sia di ottenere dati fattuali sui costi degli esercenti nel corso di più anni. Inoltre, un riconoscimento pieno dei costi di combustibile effettivamente sostenuti e la possibilità, in questo caso priva di molte delle complicazioni poco prima evidenziate, di utilizzare per gli OPEX un meccanismo “a revisione” simile a quello implementato nella regolazione del Sistema Idrico Integrato (SII).
Il decreto OIERT e il teleriscaldamento efficiente
Gli obblighi di aumento dell’energia termica da fonte rinnovabile nel mix dell’energia per il teleriscaldamento presentati in introduzione saranno recepiti e regolamentati tramite il futuro Decreto del Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica “che definisce le modalità dell’obbligo di incremento di energia rinnovabile termica ai sensi dell’articolo 27, del decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199” o decreto OIERT. Dopo una fase di consultazione e un differimento, la pubblicazione è attesa per fine 2024.
Col decreto OIERT, il ministero definisce le modalità con cui le società che effettuano vendita di energia termica sotto forma di calore per il riscaldamento e il raffrescamento a soggetti terzi per quantità superiori a 500 TEP annui provvedono affinché una quota dell’energia venduta sia rinnovabile, prevedendo delle traiettorie annuali verso l’obiettivo finale al 2030 a livello di singola rete di teleriscaldamento. Le traiettorie sono definite a partire dalla media storica nel triennio 2021-2023 della quota di energia rinnovabile sul mix, hanno lo scopo di rendere raggiungibili gli obiettivi per singolo sistema di teleriscaldamento e di rendere trasparenti le richieste di tutti gli anni sino al 2030, in modo da semplificare la pianificazione degli investimenti.
In più, lo schema del decreto prevede che, a fronte di un’inadempienza da parte di un soggetto obbligato, questi dovrà versare un importo economico proporzionale al numero di TEP di mancata produzione da fonti energetiche rinnovabili, in relazione al costo addizionale del TEP.
È bene sottolineare che la versione in consultazione del decreto OIERT utilizza come target per il settore del teleriscaldamento (e per il settore termico in generale) quelli disponibili prima della pubblicazione finale del PNIEC. Nel decreto ufficiale andranno rivalutate le traiettorie, in questo caso verso il basso, dato che il target passa dal 48% al 35,9% ma con un anno in meno a disposizione per il suo raggiungimento, il 2024.
Seppur vero che si tratta di un target apparentemente meno ambizioso rispetto a quelli posti per il settore elettrico, il contesto tecnologico impone una riflessione sulle potenziali difficoltà nella decarbonizzazione delle reti di teleriscaldamento. Mentre il sistema elettrico può e potrà beneficiare della diffusione di molteplici tecnologie rinnovabili come pannelli fotovoltaici, turbine eoliche onshore e, in parte, accumuli elettrochimici, già oggi caratterizzate da traiettorie decrescenti dei costi, il teleriscaldamento ha a disposizione un ventaglio di possibilità più ristretto.
In Italia, poi, il gas metano è la risorsa maggiormente utilizzata per produrre energia termica (69,8% nel 2022), sia attraverso caldaie semplici che cogeneratori. A seguire, energia da rifiuti in cogenerazione (16,7%) e bioenergie (10,7% tra biomassa, biogas e bioliquidi). L’energia solare è presente, ma ha un peso molto vicino allo 0%, e il calore di scarto da processi industriali, spesso legato alla localizzazione della rete, pesa per lo 0,4%. Nel 2022, il 29% dell’energia immessa nelle reti di teleriscaldamento italiane può essere considerata rinnovabile secondo i criteri delle direttive europee, in crescita del 2% dall’anno precedente e del 12% dal 2012, principalmente grazie all’apporto di termovalorizzatori e bioenergie.
L’inefficienza e, nella maggior parte dei casi, la bassa convenienza economica nell’utilizzare fotovoltaici ed eolici per generare energia termica tramite una caldaia elettrica anziché immettere in rete l’energia elettrica in primis prodotta, fa sì che queste tecnologie siano poco utilizzate nel teleriscaldamento, a maggior ragione valutando comparativamente tale scelta con i sistemi di incentivazione FER per l’energia elettrica (FER X e FER 2) in partenza dal prossimo anno.
Restano utilizzabili – ad esclusione della cogenerazione gas ad alta efficienza e della geotermia, strettamente legata alle possibilità del territorio – l’energia dell’ambiente dalle pompe di calore, il calore cogenerato dai termovalorizzatori, il calore di scarto e il solare termico. Nella RED III si legge, poi, che il calore e il freddo di scarto possono essere conteggiati per il raggiungimento degli obiettivi nazionali del settore termico per una percentuale limitata, e che aumentano il target annuale della metà della quota cumulata di calore e freddo di scarto stessi. Questa nozione è ripetuta più volte nel testo della Direttiva ed è inclusa nell’articolo 23 sui sistemi di riscaldamento e raffrescamento, ma non all’articolo 24, incentrato, invece, sul teleriscaldamento. L’interpretazione della norma, dunque, non è pacifica. Nel caso di sottovalutazione dell’apporto del calore di scarto per gli obiettivi nazionali del settore, consisterebbe in un indebolimento del potenziale in capo al teleriscaldamento per il raggiungimento delle quote. Questo, però, pare in contrasto con gli sforzi richiesti agli Stati membri per facilitare l’accesso dei gestori delle reti al calore di scarto di terzi, soprattutto alla luce dell’evoluzione prevista per la denominazione di teleriscaldamento “efficiente”.
Infatti, la quota di energie rinnovabili e cogenerazione è alla base della qualifica di “rete efficiente”, importante in un’ottica di decarbonizzazione in quanto permette di indirizzare con più efficacia eventuali fondi a sostegno delle reti e di istituire policy indirizzate a migliorare la sostenibilità dei sistemi stessi.
Secondo la definizione introdotta dal D.lgs. 102/2014, art 2, si parla di “teleriscaldamento efficiente” se un sistema di teleriscaldamento usa, in alternativa, almeno:
- il 50% di energia derivante da fonti rinnovabili;
- il 50% di calore di scarto;
- il 75% di calore cogenerato;
- il 50% di una combinazione delle precedenti.
Nel 2021, dati GSE, il 52% delle reti soddisfaceva il criterio numero 1, nessuna rete il criterio numero 2, il 9% il criterio numero 3 e il 10% il criterio combinatorio (numero 4). Tuttavia, la direttiva sull’efficienza energetica 2023/1791, come confermato dalla raccomandazione UE 2024/2395, introduce un calendario di evoluzione e inasprimento dei criteri di definizione. Secondo i nuovi termini, non solo i criteri si fanno più stringenti ma, a partire dal 2045, sembrano voler escludere totalmente la possibilità di considerare la cogenerazione ad alto rendimento a gas metano come equivalente alle rinnovabili, richiedendo uno sforzo di conversione delle tecnologie di generazione del calore certamente da approcciare con decisione prima della metà del decennio prossimo. Quindi, si promuove con chiarezza la penetrazione di calore da energie rinnovabili e l’equivalenza ad esse del calore di scarto.