Prima dei campi agricoli ci sono altri spazi per lo sviluppo delle fonti rinnovabili
Sorprende l’analisi di Francesco Ferrante in merito all’allarme di Chicco Testa sulla necessità di ottenere con urgenza dalle Regioni l’adozione di piani regolatori delle rinnovabili; sulla necessità urgente, prima che sia troppo tardi, che vengano definite le aree non idonee a riceversi le distese di campi fotovoltaici a terra e agrivoltaici, e le pale eoliche.
Sorprende chi come me e altri hanno fondato in Sicilia nei primissimi anni ’80 la Lega per l’Ambiente, con le sue lotte contro gli abusivismi costieri, le grandi opere pubbliche malavitose, gli inquinamenti industriali dei grandi poli di sviluppo, l’assalto palazzinaro alle città storiche ed al paesaggio siciliano.
Il tono del mio amico/compagno storico Ferrante non convince, anche al netto dei riferimenti personali che eludono il problema; non aiuta a riflettere sulla questione serissima della localizzazione selvaggia e in verde agricolo della totalità delle grandi distese di campi di fotovoltaico realizzati, approvati e in corso di approvazione, non soltanto in Toscana, ma in forma particolarmente aggressiva in tutto il Sud del Paese.
La Puglia e la Sicilia stanno subendo una mutazione radicale della propria identità territoriale. Assistiamo all’assalto, ormai consolidato, di progetti di centinaia di ettari di impianti di fotovoltaico a terra, e tutti in verde agricolo e in terreni classificati ‘suolo arabile di classe 1’, suoli, cioè, senza o con poche limitazioni all'utilizzazione agricola, che non richiedono particolari pratiche di conservazione e consentono un'ampia scelta tra le colture diffuse.
Si è dimenticato che, prima di arrivare al verde agricolo, si sarebbero dovute saturare di campi fotovoltaici, le aree definite ‘attrattive” – aree dismesse dall’industria, vecchie discariche chiuse, cave , tetti dei capannoni, revamping di vecchi impianti, e ora abbiamo anche appreso che ben potrebbero essere installati lungo le autostrade. Di tale condizione ragionevole per salvare il Bel Paese Ferrante non fa alcun cenno, riducendo tutto ad ‘argomentazioni che somigliano a quelle dei comitati Nimby’.
Temo che in una materia così delicata e divisiva per il movimento ambientalista, infuocato dai toni da crociata della nuova dirigenza della Legambiente, che ha perso la bussola della propria identità e la coerenza con i suoi fini statutari, ironizzare sull’appello mosso da Chicco Testa alle associazioni ambientaliste, corra il rischio di ridursi ad un assist alle multinazionali dell’energia rinnovabile, capitale finanziario che sino ad oggi è il solo player che sta monopolizzando in Sicilia e in Puglia il mercato delle fonti rinnovabili, peraltro premiando quella proprietà terriera, la più conservatrice e parassitaria, che ha trovato nelle proposte favorevolissime di canoni di affitto trentennale dai profitti quintuplicati, la soluzione alla propria incapacità di fare impresa e creare lavoro in una economia agricola sostenibile e ricca delle proprie tradizioni.
In Sicilia centinaia di ettari corrono il rischio di essere irreversibilmente compromessi irreversibilmente, in quanto dopo trent’anni (questa la durata delle locazioni) di abbandono delle colture tradizionali i terreni coperti dalle distese di fotovoltaico avranno perso tutta la loro biodiversità, tutte le loro naturali potenzialità.
Inviterei Francesco Ferrante ad un nuovo tour attraverso le regioni più colpite da quest’assalto, che certamente non è la Toscana: si accorgerebbe che Puglia e Sicilia portano sempre più evidente il segnale e la ferita di questa deregulation di localizzazioni di impianti di energia rinnovabile.
Percorra la Sicilia dalla Provincia di Trapani, all’Agrigentino, alle aree della Provincia di Palermo, al Siracusano, nelle stesse aree limitrofe a siti Unesco, tra Siracusa Noto Pachino e Portopalo, attorno ad aree delle più importanti aziende vitivinicole siciliane: si accorgerà del degrado al quale esse sono destinate.
Sfugge a Ferrante, per il quale ho amicizia e stima, che l’opportuno appello alle associazioni ambientaliste ad unirsi per contrastare questo scempio in corso è coerente oltre al nostro art. 9 della Costituzione, anche alla disciplina nazionale relativa agli incentivi delle Fer che scoraggia l’ubicazione degli impianti in aree agricole, proprio a tutela della risorsa alimentare agricola e dei valori ecosistemici e paesaggistici insiti nell’agricoltura stessa.
Già il Dl 1/2012, in tema di disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività, convertito, con modificazioni con L. 27/2012, all’art. 65, in tema di impianti fotovoltaici in ambito agricolo, aveva escluso gli impianti solari fotovoltaici con moduli collocati a terra in aree agricole dagli incentivi statali di cui al D.Lgs. 28/2011, poi il Dm 4 luglio 2019 - recante Incentivazione dell'energia elettrica prodotta dagli impianti eolici on shore, solari fotovoltaici, idroelettrici e a gas residuati dei processi di depurazione –, all’art. 3, che disciplina le modalità e i requisiti generali per l'accesso ai meccanismi di incentivazione, prevede per gli impianti fotovoltaici, quale requisito generale per la partecipazione alle procedure di asta e registro, che rispettino “le disposizioni di cui all'art. 65 del Dl 1/2012, circa il divieto di accesso agli incentivi statali per impianti con moduli collocati a terra in aree agricole”. Viene meno quel “sostegno al settore agricolo” e alla “valorizzazione delle tradizioni agroalimentari locali” che devono tenersi in specifica considerazione nell’ubicazione di tali impianti.
Affermare quindi che lanciare l’allarme, come ha fatto Chicco Testa, è “grave perché alimenta una narrazione – “l’assalto delle rinnovabili al territorio e al paesaggio” – che poco ha a che fare con la realtà” , significa non voler considerare propria la realtà di ampie parti del nostro Paese e tacere di quelle opinioni di associazioni che si stanno battendo come Italia nostra e Amici della Terra, oltre che Coldiretti e decine di Comuni ed Amministratori locali.
È grave invece tacere di tutte quelle opinioni che hanno ben chiari gli effetti negativi direttamente e indirettamente legati alla copertura dei campi da decine e centinaia di ettari delle aree già a verde agricolo interessate: effetti di natura economico-energetico, tramite la generazione di sovraconsumo energetico e conseguente riduzione delle produzioni agricole; idro-geopedologico, poiché l’impermeabilizzazione del suolo per la copertura artificiale non permeabile provoca la destabilizzazione degli assetti idraulici e geologici; fisico-climatico, dal momento che l’impermeabilizzazione causa l’aumento della riflessione termica del suolo, la riduzione di assorbimento delle emissioni e accentua quindi i cambiamenti climatici; ecologico-biologico, a causa dell’erosione fisica dei suoli che provoca la distruzione degli habitat di numerose specie, la frammentazione ecosistemica e la riduzione della resilienza ecologica complessiva; paesaggistico-culturale, poiché l’intervento artificiale di copertura, soprattutto nella sua forma dispersiva, provoca serie minacce alle identità dei luoghi grazie alla sua capacità di mutarli, banalizzarli, comprometterli ed uniformarli.