Il ministero dell’Ambiente ha iniziato i lavori alla Cop16 sulla biodiversità in Colombia
Da oggi anche il Governo italiano partecipa alla 16esima conferenza della parti della Convention on biological diversity (Cop16), iniziata la scorsa settimana a Cali – in Colombia – con l’obiettivo di diventare una pietra miliare nell'attuazione degli ambiziosi obiettivi e dei 23 target del Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework (Gbf) che comprendono, ad esempio, la protezione del 30% delle terre e dei mari del mondo entro il 2030, ridurre i sussidi dannosi e ripristinare gli ecosistemi degradati.
Claudio Barbaro, sottosegretario al ministero dell’Ambiente (mase), ha infatti iniziato la sua missione per conto del Governo italiano. Primo appuntamento, l’intervento al side event organizzato dall’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics), sul tema “La cooperazione ambientale in America Latina e Caraibi”.
«L’America Latina e i Caraibi – commenta Barbaro – costituiscono una delle maggiori riserve di biodiversità, ossigeno e acqua del pianeta, ma presentano note vulnerabilità strutturali e sistemiche, dovute alla loro posizione remota, alle ridotte dimensioni, alle peculiarità delle loro economie e alle limitazioni tecniche e finanziarie. Per questo motivo i Paesi della Comunità caraibica, insieme a Cuba, costituiscono un’area di forte interesse ai fini della cooperazione ambientale del Mase, che attualmente ha in vigore 8 protocolli d’intesa di cooperazione ambientale nel campo dello sviluppo sostenibile con questi Paesi. Inoltre, sono stati approvati 25 progetti, le cui principali tematiche sono i sistemi di prevenzione e gestione delle calamità naturali, l’acceso all’acqua potabile attraverso impianti di desalinizzazione, la promozione delle energie rinnovabili e la tutela della biodiversità e delle foreste. Riteniamo altresì cruciale promuovere l’avvio di concrete collaborazioni tra Mase e Aics, tenuto conto dell’Accordo operativo già in essere tra le parti, rinnovato a settembre 2023 per la durata di 3 anni».
La cooperazione internazionale rappresenta un pilastro fondamentale per concretizzare la tutela della biodiversità, ma su questo fronte l’Italia ha molto da migliorare anche in casa propria. Come nota ad esempio il Wwf, la Strategia nazionale per la biodiversità italiana, pur risultando sulla carta sufficientemente allineata ai 23 target del Gbf e con l’obiettivo di proteggere il 30% delle aree marine e terrestri entro il 2030, manca ancora di un Piano di implementazione che sia adeguatamente finanziato affinché le ambizioni della Strategia possano tradursi in azioni concrete e incisive.
In particolare, in Italia la superficie terrestre protetta si ferma al 21,68% dell’intero territorio nazionale: in soli 5 anni il nostro Paese dovrebbe creare la metà delle aree protette terrestri che ha creato in oltre 100 anni da quando nacquero i primi due parchi nazionali italiani, Parco nazionale del Gran paradiso e Parco nazionale d’Abruzzo. E per il mare va ancora peggio perché solo l’11,62% della superficie marina italiana è protetta. Un dato che scende ancora nelle stime elaborate da Greenpeace quest’estate, quando l’associazione ambientalista ha evidenziato che solo le Aree marine protette e i Parchi nazionali hanno regolamenti efficaci in grado di tutelare la biodiversità marina. Altre aree individuate e definite importanti per la loro biodiversità, come ad esempio il Santuario Pelagos e i Sic (Siti di interesse comunitario), invece, rappresentano solo “parchi di carta”, aree in cui non vi è nessuna azione di mitigazione degli impatti antropici: in altre parole meno dell’1% dei mari italiani è davvero sottoposto a misure di tutela efficaci, allontanando ulteriormente l’obiettivo di proteggere il 30% del mare entro la fine del secolo.