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Le richieste della direttiva europea Corporate sustainability reporting directive (Csrd)

In Italia solo il 9,8% degli habitat è in buono stato, oltre 4mila imprese chiamate a rendicontare l’impatto sulla biodiversità

Leonardi (Etifor): «Se non ripristinano gli ecosistemi rischiano di affrontare costi operativi più elevati, interruzioni nella catena di approvvigionamento e crescente instabilità economica»
 |  Natura e biodiversità

In Italia saranno circa 4.000 le imprese obbligate alla rendicontazione dalla direttiva europea Corporate sustainability reporting directive (Csrd) approvata a fine agosto – che richiede alle aziende di adattare le proprie strategie per monitorare e rendicontare aspetti legati alla sostenibilità, inclusa la biodiversità – ma ci sarà un effetto a cascata su tutte le Pmi che in Italia sono più del 75% (760.000 imprese).

Un fronte sul quale c’è molto ancora da lavorare: il 25% delle aziende valuta attualmente il proprio impatto sulla biodiversità, il 48% prevede di integrarla nelle proprie strategie entro i prossimi cinque anni. Il 33% include già la biodiversità nella propria rendicontazione, ma solamente il 19% ha adottato gli standard Esrs (European sustainability reporting standards) richiesti dalla Crsd.

È quanto emerge dal primo “Rapporto su biodiversità e settore privato in Italia”, realizzato dalla società di consulenza ambientale Etifor in collaborazione con l’Università degli Studi di Padova (in allegato l’abstract) è stato presentato oggi a Cali, in Colombia, dove è in corso la Cop16 sulla biodiversità.

«Il settore privato svolge un ruolo fondamentale nella perdita di biodiversità, dato che la maggior parte delle aziende impatta, più o meno direttamente e consapevolmente, sugli habitat e provoca inquinamento, pur dipendendo, in molti casi, proprio dai servizi ecosistemici forniti dalla natura – spiega l’ad di Etifor, Alessandro Leonardi – Se queste realtà non proteggono e ripristinano gli ecosistemi, rischiano di affrontare costi operativi più elevati, interruzioni nella catena di approvvigionamento e una crescente instabilità economica».

A riprova dell’importanza del forte legame tra biodiversità ed economia, una recente ricerca del World Economic Forum evidenzia come 44 trilioni di dollari, più di metà del PIL globale, siano dipendenti dalla natura, in particolare il settore edilizio (4 trilioni), l’agricoltura (2,5 trilioni) e food&beverage (1,4 trilioni).

Salvaguardare o ripristinare gli ecosistemi e la loro ricchezza di specie non solo consente di non intaccare il benessere di intere comunità e filiere produttive globali, ma può determinare importanti benefici economici: dall’Impact Assessment Study del 2023, realizzato a supporto della Nature Restoration Law dalla Commissione Europea, emerge che, solo in Italia, paese tra i più ricchi di biodiversità in Europa ma con e quasi il 20% degli ecosistemi in stato critico, si potrebbe generare valore per 70 miliardi di euro entro il 2050. Attualmente, nel nostro Paese, le conseguenze della perdita di biodiversità sono stimate dalla Commissione europea in circa 3 miliardi di euro all’anno di mancato valore generato, prevalentemente legati all’agricoltura, alla pesca e alla rete idrica.

«Sulla base della nostra esperienza diretta nel seguire il settore privato nei processi di adeguamento, misurazione e compensazione, invitiamo le imprese – conclude Leonardi – a integrare il prima possibile la biodiversità come parte centrale delle strategie aziendali per ridurre i rischi operativi e cogliere le nuove opportunità, sfruttando soprattutto le certificazioni e investendo in Soluzioni basate sulla natura (Nbs). Ai decisori politici ricordiamo invece che la cooperazione tra pubblico e privato è essenziale per mobilitare le risorse necessarie e garantire che gli sforzi di conservazione siano efficaci e impattanti su tutta la collettività».

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Redazione Greenreport

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