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Anche senza informazioni sulla biodiversità, possibile dedurre la probabilità della presenza di un'area protetta utilizzando solo un piccolo gruppo di fattori socio-ambientali

Perché è più difficile istituire aree marine protette che parchi terrestri

Le rare opportunità per istituire le AMP mappate su scala globale
 |  Natura e biodiversità

Mentre alla 16esima conferenza della parti della Convention on biological diversity (Cop16 Cbd) in corso a Cali, in Colombia, si discute di come attuare il Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework, adottato alla Cop15 e che punta proteggere il 30% delle terre e degli oceani entro il 2030, lo studio “The socioeconomic and environmental niche of protected areas reveals global conservation gaps and opportunities” pubblicato il 18 ottobre su  Nature Communications  da un  consorzio internazionale, che riunisce 20 ricercatori provenienti da 5 Paesi, rivela una nuova mappa globale delle aree marine ad alto potenziale di protezione e di quelle che pongono problemi per la loro istituzionei.

Alla Fondation pour la recherche sur la biodiversit (FRB) spiegano che lo studio evidenzia «Come fattori socioeconomici e ambientali spieghino la presenza ma anche l'assenza di aree protette a livello globale. Individuano aree con elevate sfide per la conservazione per i vertebrati che sono potenzialmente facili da proteggere o, al contrario, che presentano fattori che ne rendono più complessa la protezione, questi ultimi essendo molto più numerosi, soprattutto nell'oceano. Dato che i fattori socioeconomici hanno più influenza dei fattori ambientali nella creazione di aree protette, identificare le aree favorevoli e sfavorevoli all'implementazione di nuove aree protette tenendo conto di questi criteri consentirà una strategia di conservazione più realistica ed efficiente».  

Per ottenere queste mappe delle opportunità e dei vincoli di conservazione locale, il team di ricercatori -  composto da scienziati francesi dell’Université de Montpellier, dell’EPHE-PLS, du CNRS e del CEA Università di Montpellier, EPHE-PLS, CNRS e CEA e da scienziatici britannici, portoghesi e australiani e che è stato finanziato da Zoological Society of London, dal Wwf e dal Cesabbatic di Jessica Meeuwig e Tom Letessier - , ha diviso la superficie della Terra in quasi un milione di cellule di 10 x 10 km e per ciascuna, basandosi su 18 diversi database globali,  ha ottenuto dati relativi a fattori ambientali ma anche socio-economici, che poi sono stati utilizzati per costruire un modello predittivo che stima la probabilità che un’area del globo sia protetta in base ai diversi fattori studiati, siano essi ambientali (temperatura, altitudine, precipitazioni per esempio) o socio-economici (PIL, indice umano sviluppo, presenza di ONG locali ecc.).

Il risultato è che «Anche senza informazioni sulla biodiversità di un'area, è possibile dedurre in modo molto affidabile la probabilità della presenza di un'area protetta utilizzando solo un piccolo gruppo di fattori socio-ambientali. I fattori socioeconomici mostrano un’importanza ancora maggiore dei fattori ambientali in questi modelli che prevedono la creazione di future aree protette. Ad esempio, l’indice di sviluppo umano e il numero di ONG favoriscono la presenza di aree protette terrestri mentre in mare l’accessibilità e la dipendenza dagli stock ittici sono i principali ostacoli che impediscono la creazione di nuove aree marine protette».   

 Questo modello è stato poi utilizzato per mappare le aree dove le esigenze di conservazione dei vertebrati (pesci, mammiferi e uccelli) sono più urgenti ma anche quelle dove fattori socio-economici limiterebbero o favorirebbero l'istituzione di un'area protetta. 

Lo studio si è anche chiesto quale sarà il futuro delle aree prioritarie di conservazione che combinano anche criteri socioeconomici sfavorevoli allo status di aree protette e la risposta data dai ricercatori è che «Molto spesso le questioni socio-economiche e i bisogni delle popolazioni locali sono inseparabili dall’istituzione di aree protette. Pertanto, in Africa e in Asia, alcune aree ad alto valore di conservazione rimangono impossibili da proteggere, date le sfide legate all’utilizzo delle risorse naturali. L’attuazione dei fattori socioeconomici è quindi essenziale per ottimizzare la creazione di zone di protezione, le cui decisioni attuali si concentrano principalmente sui fattori ambientali che influenzano la biodiversità. Un’ulteriore prova che garantire condizioni sociali ed economiche minime è un prerequisito per l’attuazione di strategie di conservazione efficaci e sostenibili».  

Alla FRB  concludono: «Spetta ora agli attori politici e ai decisori valutare appieno le azioni necessarie per raggiungere l’obiettivo del 30% di aree protette entro il 2030».

Umberto Mazzantini

Scrive per greenreport.it, dove si occupa soprattutto di biodiversità e politica internazionale, e collabora con La Nuova Ecologia ed ElbaReport. Considerato uno dei maggiori esperti dell’ambiente dell’Arcipelago Toscano, è un punto di riferimento per i media per quanto riguarda la natura e le vicende delle isole toscane. E’ responsabile nazionale Isole Minori di Legambiente e responsabile Mare di Legambiente Toscana. Ex sommozzatore professionista ed ex boscaiolo, ha più volte ricoperto la carica di consigliere e componente della giunta esecutiva del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano.