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L'impatto del cambiamento climatico sui cervidi

Può portare a breve termine a un peggioramento delle condizioni fisiche degli animali e a lungo termine a uno spostamento più a nord
 |  Natura e biodiversità

Temperature, precipitazioni, neve, eventi meteorologici estremi sono tutti fattori legati ai cambiamenti climatici che colpiscono direttamente la fauna selvatica. Conoscere il loro impatto sulla fisiologia, sulle dinamiche delle popolazioni e sulla distribuzione delle diverse specie di cervi è importante per il loro monitoraggio e protezione.  Lo studio “Climate change and deer in boreal and temperate regions: From physiology to population dynamics and species distributions”, è la sintesi di 218 pubblicazioni scientifiche, pubblicata  su Global Change Biology da un team di ricercatori svedesi, norvegesi, finlandesi, polacchi e francesi  guidato da  Annika Felton della Sveriges lantbruksuniversitet, e fa il punto su 20 anni di ricerca sugli effetti dei cambiamenti climatici sulle popolazioni di cervidi in ​​Europa, Asia e Nord America.

I ricercatori sintetizzano le tendenze globali negli effetti dei cambiamenti climatici sulla fisiologia, sul comportamento e sulle dinamiche della popolazione delle 10 principali specie di cervidi nelle regioni boreali e temperate: alci, caprioli, alci, cervi rossi, cervi sika, daini, cervi dalla coda bianca, cervi muli, caribù e renne e lo studio dimostra che «Con l’aumento globale delle temperature, inverni più miti avrebbero effetti benefici per molte popolazioni di cervi: spendono meno energia per scaldarsi e hanno più facilità a trovare cibo. D’altro canto, ciò può essere dannoso per le specie che vivono nei climi più freddi, come la renna o il caribù, perché le variazioni di temperatura in inverno possono creare croste di ghiaccio che impediscono loro di accedere ai licheni di cui si nutrono. Allo stesso modo, estati più calde e secche potrebbero superare la tolleranza di adattamento di alcune popolazioni di cervi, in particolare a causa dello stress termico e dei parassiti. Questo può portare a breve termine a un peggioramento delle condizioni fisiche degli animali e a lungo termine a uno spostamento più a nord, cambiando l’areale dei cervidi».

E’ il caso dell'alce, la specie di cervide più grande e una delle più adattate ai climi freddi: «E’ molto sensibile al caldo -  spiegano i ricercatori - e le popolazioni di alci più a sud, come la Scandinavia meridionale, sono più colpite dai cambiamenti climatici e potrebbero scomparire da queste aree».

Alcune specie di cervi possono ridurre questi effetti deleteri rifugiandosi in habitat più freschi e riducendo le loro attività quotidiane durante le ore più calde. Ma i ricercatori fanno notare che questo può avere effetti dannosi a lungo termine sulle dinamiche della popolazione: «Infatti, lo stress a cui sono sottoposti alci e cervi porta ad una diminuzione della loro massa corporea. La generazione di animali più piccoli può influenzare le generazioni successive e quindi ridurre la crescita della popolazione».

Infine, l'aumento delle temperature in primavera e in autunno ha l'effetto di abbreviare i periodi di copertura nevosa e di ridurne lo spessore, modificando il calendario e le rotte migratorie dei caribù e dei cervi. «La migrazione degli animali è anticipata in primavera e ritardata in autunno, il che potrebbe causare a lungo termine la stabilizzazione di queste specie migratrici», avertono gli scienziati.

I ricercatori  hanno identificato diverse aree su cui effettuare ulteriori indagini, compreso il potenziale impatto di eventi meteorologici estremi, tipo di neve e autunni più umidi sui cervi. Questi risultati dovrebbero anche aiutare gestori di parchi naturali, foreste e cacciatori, a comprendere meglio come le popolazioni di cervidi  potrebbero reagire alle future condizioni climatiche e ad adattare la loro strategia di gestione per queste popolazioni per preservarle.

Redazione Greenreport

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