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Nel Mare Adriatico sta cambiando l’antagonismo interspecie. E non è una buona notizia

La pesca a strascico danneggia maggiormente gli erbivori e i predatori a favore di animali che vivono nei sedimenti o si nutrono della colonna d'acqua
 |  Natura e biodiversità

Secondo due studi -   “A sea of change: Tracing parasitic dynamics through the past millennia in the northern Adriatic, Italy”, pubblicato su Geology da un team di g eologi  dell’università delMissouri e da Daniele Scarponi, professore al Dipartimento di scienze biologiche, geologiche e ambientali dell’università di Bologna, e “Human-driven breakdown of predator–prey interactions in the northern Adriatic Sea pubblicato su Proceedings of the Royal Society B: Biological Sciences da un team di ricercatori internazionale che ha visto la partecipazione di Scarponi, «L'aumento dell'attività umana negli ambienti marini è associato a un drastico calo delle interazioni tra predatore e preda e tra parassiti e ospiti negli organismi che vivono sui fondali dell'Adriatico settentrionale: un dato che mostra una forte diminuzione della diversità e della stabilità di questi ecosistemi».

Lo studio pubblicato su Geology, ha ricostruito come il livello di infezione parassitaria nelle vongole (che vengono utilizzate come ospiti temporanei) sia cambiato negli ultimi millenni, in concomitanza con l’aumento della presenza antropica lungo le coste dell’Adriatico.

Scrponi spiega che «Ci siamo concentrati in particolare sui trematodi Gymnophallidae: un gruppo di vermi piatti che durante il ciclo vitale parassitizza anche le vongole adriatiche. Le tracce di questa interazione sono delle piccole depressioni circolari lasciate nella parte interna del guscio dei bivalvi».

Per ricostruire le dinamiche parassitarie nel tempo, sono stati analizzati e comparati campioni di gusci di vongole presi sull’attuale fondale sabbioso poco a sud del Delta del Po e da sedimenti sabbiosi che si sono depositati in ambienti comparabili ma risalenti a circa 2.500 anni fa: un periodo precedente all’instaurarsi di un significativo impatto antropico sugli ecosistemi marini dell’Adriatico.

Scarponi evidenzia che «La nostra analisi mostra che negli ultimi migliaia di anni c’è stato un collasso nell’abbondanza e diffusione delle tracce dei trematodi studiati nei gusci di vongola adriatica. Abbiamo notato in particolare che nelle aree con una forte presenza di vongole, il numero di gusci con tracce dei parassiti è diminuito di quasi dieci volte: sono risultati preoccupanti, perché la diversità dei parassiti si specchia in molti casi con quella degli ecosistemi da cui dipendono per la loro sopravvivenza».

il secondo studio pubblicato su Proceedings of the Royal Society B: Biological Sciences è stato condotto sempre su associazioni a molluschi dei fondali marini adriatici e mostra come anche le interazioni tra preda e predatore siano diminuite negli ultimi decenni, specialmente nell’area del Delta del Po.

All’Università di Bologna sottolineano che «Gli studiosi hanno analizzato le tracce di predazione – piccoli fori “circolari” lasciati da alcuni gasteropodi su altri gusci di molluschi – in depositi marini che si sono accumulati nel corso delle ultime migliaia di anni. Anche in questo caso si assiste a preoccupante declino delle interazioni predatore-preda, soprattutto a partire dalla seconda metà del secolo scorso. Un fenomeno dovuto sia alla forte diminuzione dei molluschi predatori che al cambiamento delle specie di molluschi che un tempo erano più abbondanti nei fondali dell’Adriatico».

Il principale autore dello studio, il paleontologo Martin Zuschin dell’Universität Wien, sottolinea che «E’ noto che la perdita di vertebrati predatori come pesci e mammiferi marini, che sono tra i principali predatori, colpisce l'intera catena alimentare sottostante. Se gli organismi predatori sono assenti, altre specie possono moltiplicarsi e l'intera catena alimentare può collassare, Nelle acque già più calde e ricche di nutrienti, ad esempio, si accumulano alghe o meduse, cosa che è stata evidente anche quest'anno nel Mediterraneo».

Lo studio ha dimostrato che sono state influenzate anche le relazioni predatore-preda: «Le lumache predatrici sono state sottoposte a una pressione enorme dalla metà del XX secolo, dovuta principalmente alla pesca e alla pesca a strascico in particolare»:

Un altro autore dello studio e palentologo dell’università di Vienna, Rafal Nawrot spiega a sua volta che «La frequenza dei segni di perforazione predatoria è diminuita in modo massiccio dalla metà del XX secolo: ci sono state sempre meno lumache predatrici e sempre più prede meno favorite negli ultimi decenni. Questi risultati sono coerenti con i dati che mostrano il significativo sfruttamento delle risorse marine a livelli trofici più elevati, ovvero pesci e mammiferi marini, nella regione. Inoltre, possiamo dimostrare che la grave semplificazione della rete alimentare iniziata nell'Adriatico settentrionale alla fine del XIX secolo si è ulteriormente accelerata dalla metà del XX secolo: c'è stato un vero e proprio collasso delle relazioni predatore-preda tra gli invertebrati».

Adam Tomašových, paleontologo della Slovenská akadémia vied individua la causa principale: «La pesca a strascico danneggia maggiormente gli erbivori e i predatori che sono quindi scomparsi a favore di animali che vivono nei sedimenti o si nutrono della colonna d'acqua, ad esempio i bivalvi come la conchiglia a canestro, che si adattano bene ai cambiamenti ambientali, sono diventati più grandi e più comuni" La fauna dei fondali impoverita non riesce quindi più a fornire i consueti servizi ecosistemici».

Secondo i ricercatori, l'attuale riscaldamento degli oceani dovrebbe aumentare ulteriormente la pressione sulle reti alimentari degli ecosistemi marini: Per Zuschin, «La riduzione dei gas serra sta diventando sempre più urgente: da una prospettiva ecologica, è difficile capire perché non vengano prese misure di vasta portata più rapidamente. Questo è anche miope da una prospettiva economica. Dopotutto, un ecosistema distrutto, un Mediterraneo senza turismo o pesca, è in realtà estremamente costoso».

Scarponi conclude: «Queste evidenze confermano molti altri dati che mostrano, su più fronti, il cambiamento in atto di ecosistemi marini dell’alto Adriatico. La linea temporale della riduzione delle relazioni antagonistiche si associa all’incremento delle attività umane sugli ambienti marini e la trasformazione dell’Adriatico sostanzialmente in un mare “urbano”».

Umberto Mazzantini

Scrive per greenreport.it, dove si occupa soprattutto di biodiversità e politica internazionale, e collabora con La Nuova Ecologia ed ElbaReport. Considerato uno dei maggiori esperti dell’ambiente dell’Arcipelago Toscano, è un punto di riferimento per i media per quanto riguarda la natura e le vicende delle isole toscane. E’ responsabile nazionale Isole Minori di Legambiente e responsabile Mare di Legambiente Toscana. Ex sommozzatore professionista ed ex boscaiolo, ha più volte ricoperto la carica di consigliere e componente della giunta esecutiva del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano.