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Appello urgente all'azione per salvare l'oceano e nutrire un pianeta affamato e in via di riscaldamento

Ridefinita la sostenibilità della pesca

Le 11 regole d’oro per avere infinite riserve ittiche ed ecosistemi fiorenti
 |  Natura e biodiversità

Lo studio “Rethinking sustainability of marine fisheries for a fast-changing planet”, pubblicato su  npj Ocean Sustainability da  alcuni dei massimi esperti oceanici è anche un rapporto che ridefinisce il concetto di “pesca sostenibile” e propone 11 “regole d’oro” che mettono radicalmente in dubbio l’approccio industrialista che attualmente prevale nella gestione della pesca.

Pubblicate a pochi giorni dalla Ocean Week che si terrà dal 30 settembre al 6 ottobre a Bruxelles e qualche mese prima dell’United Nations Ocean Conference Conferenza che si terrà a Nizza nel giugno 2025,  le norme sono state concepite per «Porre fine alla continua distruzione degli oceani causata dalla pesca e garantire il rinnovamento di abbondanti popolazioni ittiche per nutrire le generazioni future»  e arrivano in un momento in cui gli scienziati hanno ridotto drasticamente la valutazione dello stato di salute degli oceani.

Le regole si sviluppano secondo due principi guida che rivoluzionerebbero il modo in cui “gestiamo” lo sfruttamento dell’oceano: 1) la pesca deve ridurre al minimo l’impatto sulle specie e sugli habitat marini, adattarsi ai cambiamenti climatici e consentire la rigenerazione della vita e degli habitat marini impoveriti; 2) la pesca deve sostenere e migliorare la salute, il benessere e la resilienza delle persone e delle comunità, in particolare dei più vulnerabili tra noi, e non semplicemente avvantaggiare le aziende che indirizzano i profitti verso proprietari e azionisti, lasciando che siano altri a sostenere i costi.

Il team di scienziati guidato da Callum Roberts del Centre for Ecology and Conservation dell’università di  Exeter spiega che  «Questo lavoro scientifico ha l'ambizione di costituire la base per una riforma completa dell'attuale, spaventosa cattiva gestione del più grande bene comune della Terra. Gli scienziati invitano i decisori politici, i commercianti al dettaglio, i pescatori e i leader dell’industria ad accogliere questa nuova visione e ad impegnarsi per la sua attuazione».

Oggi la pesca è riconosciuta a livello mondiale come la principale causa di distruzione degli oceani e gli autori dello studio/rapporto hanno deciso di lavorare insieme per anni sulla base di una convinzione comune: «La definizione prevalente di "pesca sostenibile" è pericolosamente imperfetta e porta al continuo impoverimento delle specie marine, alla distruzione degli habitat naturali e dei pozzi di carbonio, nonché alla scomparsa delle comunità di pescatori artigianali in tutto il mondo».

Roberts  sottolinea che «L'attuale concetto di “pesca sostenibile”, adottato dai governi e dagli attori privati ​​a partire dal dopoguerra, è scientificamente obsoleto. Si basa su una teoria semplicistica e produttivista che presuppone che finché i volumi di cattura globali rimangono al di sotto di un limite stabilito, chiunque può pescare qualsiasi cosa, ovunque e con qualsiasi metodo».

Un’altra autrice dello studio, Jennifer Jacquet, dell'Università di Miami, ha aggiunto: «Possiamo davvero affermare che tutti gli attrezzi da pesca sono ambientalmente e socialmente uguali? Attualmente etichettiamo la pesca come sostenibile senza considerare il loro impatto sugli ecosistemi marini o sui fattori umani, come la sicurezza e i diritti dell'equipaggio».

Gli scienziati denunciano «Un approccio obsoleto alla cosiddetta sostenibilità, che trascura fattori ambientali, umani e di sviluppo cruciali. Nonostante la loro ampia accettazione da parte di entità industriali e consumatori, gli attuali standard di “sostenibilità” non riescono ad affrontare la pressante questione della biodiversità globale e del crollo climatico, e invece sostengono pratiche industriali a capitale elevato che avvantaggiano il Nord del mondo mentre danneggiano gli ecosistemi e le finanze pubbliche, mettono a repentaglio la pesca artigianale e la sicurezza alimentare e minacciano i posti di lavoro. Questo modello mette ulteriormente a repentaglio il diritto universale degli esseri umani a un oceano pulito, sano e sostenibile».

Gli autori dello studio sono d’accordo anche su un’altra cosa: nel contesto di un pianeta affamato e in via di riscaldamento, la pesca deve essere gestita in modo da ridurre al minimo i danni ambientali e massimizzare i benefici sociali.

Partendo da qui, il team di famosi ricercatori oceanici ha sviluppato un approccio visionario allo sfruttamento degli oceani, basato su una definizione completa e interdisciplinare di “sostenibilità della pesca”, integrando intuizioni provenienti da biologia, oceanografia, scienze sociali ed economia. Delineando le regole d'oro (due principi e 11 azioni chiave), la loro ricerca segna una svolta, fornendo a industria, pescatori e leader politici «Le basi per una transizione urgente verso un modello di pesca praticabile per la sostenibilità a lungo termine in un mondo in rapido cambiamento».

Il nuovo quadro prevede un mondo in cui la pesca garantisce abbondanti riserve ittiche per soddisfare le esigenze dell'umanità a lungo termine.

Un co-autore dello studio, Daniel Pauly, dell'università della British Columbia, sottolinea che «Il nostro lavoro sostiene una pesca che preservi le funzioni vitali degli ecosistemi oceanici, mitighi i cambiamenti climatici, garantisca la sicurezza alimentare e rispetti i diritti umani. Questo approccio innovativo riconosce il ruolo sociale, etico ed ecologico della pesca, proponendo un modello sistemico sostenibile messo in atto dagli attori del mercato, dai decisori politici e dal sistema legale. Dobbiamo considerare la pesca un privilegio piuttosto che un diritto. La vita marina è un bene pubblico che dovrebbe apportare benefici sia alla società che alla natura, non essere oggetto di una corsa alle risorse guidata da guadagni privati».

Le proposte degli scienziati sono ambiziose ma realistiche e la maggior parte delle azioni consigliate si basa su pratiche di comprovata efficacia.

Gli scienziati esortano i decisori politici, i commercianti al dettaglio e i responsabili della pesca a riconoscere le carenze delle attuali pratiche di pesca e a dare priorità all'adozione delle regole d'oro proposte. I supermercati, responsabili di quasi due terzi delle vendite di prodotti ittici europei, svolgono un ruolo fondamentale in questa transizione. Possono influenzare le pratiche di pesca attraverso le loro politiche di approvvigionamento, esaminare attentamente le etichette di "sostenibilità" e rispondere alle crescenti preoccupazioni dei consumatori per  gli impatti nascosti del loro cibo.

Pauline Bricault, responsabile della campagna Markets di BLOOM conclude: «Stiamo assistendo a una crescente disconnessione tra la diffusa disponibilità di prodotti ittici presumibilmente sostenibili, il collasso degli ecosistemi oceanici e la frequenza delle segnalazioni di violazioni dei diritti umani. I supermercati devono smettere di ingannare i consumatori. Sia l'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) che l' Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services (IPBES) hanno fissato il 2030 come scadenza per cambiamenti essenziali. Gli stakeholder del settore non hanno più scuse, devono agire ora».

Umberto Mazzantini

Scrive per greenreport.it, dove si occupa soprattutto di biodiversità e politica internazionale, e collabora con La Nuova Ecologia ed ElbaReport. Considerato uno dei maggiori esperti dell’ambiente dell’Arcipelago Toscano, è un punto di riferimento per i media per quanto riguarda la natura e le vicende delle isole toscane. E’ responsabile nazionale Isole Minori di Legambiente e responsabile Mare di Legambiente Toscana. Ex sommozzatore professionista ed ex boscaiolo, ha più volte ricoperto la carica di consigliere e componente della giunta esecutiva del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano.