La caccia e i cervi in Abruzzo
Mi ha molto stimolato quello che sta avvenendo nella discussione sulla caccia al cervo in Abruzzo e cerco di dare un contributo informativo per inquadrare la situazione perché leggo che uno dei focus della discussione è una diatriba sui danni veri o presunti che producono i cervi e c’è chi propone dei metodi alternativi all’abbattimento.
In Italia ci sono 50 specie cacciabili, tra queste quelle che possono potenzialmente fare danni di una certa rilevanza ad attività umane (agricoltura, zootecnia, incidenti stradali, infrastrutture) ed anche alla biodiversità sono 6: Cinghiale, Cervo, Capriolo, Coniglio selvatico, Daino e Muflone. Le ultime due sono anche alloctone in varie parti d’Italia dove la gestione al di là della caccia deve essere “finalizzata all’eradicazione o comunque al controllo delle popolazioni” (Art. 2 comma 2 L.157/92) inoltre ce ne sono altre 3 che qualche danno lo possono fare (Cornacchia, Gazza, Volpe).
Se il motivo per cui si caccia una specie in Italia fosse il fatto che fa dei danni si caccerebbero solo 6/9 specie ed invece se ne cacciano altre 41, che di danni non ne fanno nessuno o quasi e che, evidentemente, sono la stragrande maggioranza. E quindi quale è il motivo per il quale delle 393 specie tra uccelli e mammiferi presenti in Italia 50 se ne possono cacciare e 343 no?
Lo stato di conservazione e le minacce potenziali per una singola specie: per questo l’orso marsicano, il gatto selvatico, la lontra, l’aquila reale o il falco pescatore non si possono cacciare ed invece la lepre, il fagiano, il colombaccio, il germano reale, il cinghiale e il cervo si, i danni non c’entrano un bel niente.
La caccia in Italia è regolamentata per cui non si possono cacciare le 50 specie suddette quando, dove e con i mezzi che uno vuole. Al contrario ci sono dei periodi, delle zone (ad esempio nei parchi, nelle riserve naturali ed in altre aree la caccia è vietata) e dei mezzi che si possono utilizzare (armi da fuoco, arco, falco, ma non ad esempio le trappole).
Poi c’è un’altra attività che si chiama controllo faunistico ed è quella che organizzano le pubbliche amministrazioni e che ha l’obbiettivo di ridurre numericamente (o anche eradicare) popolazioni animali che ad alte densità possono provocare danni alle attività umane o alla biodiversità. Al contrario della caccia questa attività si può fare anche in periodi, in orari, in luoghi e con mezzi vietati per l’attività venatoria. Ad esempio nei parchi italiani (nazionali e regionali), dove la caccia è vietata ogni anno vengono abbattuti o catturati e poi abbattuti, oltre 10.000 ungulati (cinghiali, cervi, daini, mufloni), anche di notte, con trappole e in qualunque periodo dell’anno.
Oltretutto nel controllo si può anche operare su specie per la quale la caccia è vietata (es. Storno, Cormorano etc.).
Per questo non capisco perché nella discussione sulla caccia al cervo in Abruzzo c’è chi si arrovella a dimostrare che i cervi fanno dei danni e chi che non è vero, quando questo tema è del tutto irrilevante rispetto al fatto che si cacci o meno.
Addirittura c’è chi propone “metodi alternativi” all’abbattimento. Questa è una cosa sicuramente possibile, anche se spesso non facile, se parliamo di controllo, ma, ovviamente impossibile se parliamo di caccia che presuppone l’abbattimento dell’animale da parte del cacciatore. E soprattutto non capisco nemmeno tutto questo clamore quando da sempre il cervo viene cacciato sulle alpi ed in Emilia-Romagna ed in Toscana da almeno 25 anni con numeri annui ben più alti di quelli proposti per l’Abruzzo.
In ogni caso se qualcuno ritiene che non si debba cacciare ha una strada maestra: una modifica della legge 157/92 che escluda il cervo dalle specie cacciabili, magari anche solo per la regione Abruzzo. Visto che ci sono diversi parlamentari che hanno questo obbiettivo potrebbero presentare un disegno di legge.
Magari se proprio devono intraprendere questa strada suggerirei di proporre delle specie che, a differenza del cervo, hanno livelli di minaccia da considerare in Italia come l’Allodola e il Combattente.
Da parte mia preferisco occuparmi di altre specie che hanno problemi di conservazione come il falco pescatore, l’albanella minore, le berte, la foca monaca, il gabbiano corso, il discoglosso sardo (un rospetto) il barbagianni; ragni, insetti e scorpioni endemici nell’arcipelago toscano.
Giampiero Sammuri
Presidente Parco Nazionale Arcipelago Toscano