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Gli allevamenti di animali da pelliccia sono autostrade virali che potrebbero innescare la prossima pandemia

I virus che potrebbero infettare gli esseri umani sono molto diffusi negli allevamenti di visoni, cani procioni e volpi
 |  Natura e biodiversità

Lo studio “Farmed fur animals harbour viruses with zoonotic spillover potential”, pubblicato su Nature da un team internazionale di ricercatori, ha scoperto un'ampia gamma di virus, tra cui patogeni nuovi e altro già noti ma presenti in nuovi ospiti. Si tratta di uno dei più grandi studi sui virus ospitati dagli animali da pelliccia in Cina e chiede «Misure di biosicurezza più severe negli allevamenti che allevano animali da pelliccia, per impedire che pericolosi agenti patogeni passino dagli animali alle persone».

Uno degli autori principali dello studio, Edward Holmes della School of Medical Sciences dell’università di Sydney, spiega che «Gli allevamenti da pellicce possono essere un ponte tra le persone e i virus che circolano nella fauna selvatica. E’ così che accadono le pandemie".

Alice Hughes, biologa della conservazione all’università di Hong Kong, ricorda su Nature che «I ricercatori sospettano da tempo che questi animali siano un serbatoio di virus che possono passare alle persone. L'analisi evidenzia che queste preoccupazioni sono valide e che la diversità dei virus con rischi noti per gli esseri umani è persino maggiore di quanto si pensasse. L’ l'industria dovrebbe imporre la transizione alla pelliccia artificiale. L'altra opzione è quella di migliorare la regolamentazione e la supervisione del commercio di pellicce. Questo include garantire l'implementazione di misure come quarantene per gli animali, riduzione del sovraffollamento e regole sulla pulizia delle gabbie, approvvigionamento di mangimi e smaltimento dei rifiuti».

Secondo Linfa Wang, un virologo della Duke-NUS Medical School di Singapore, «E’ necessario monitorare attentamente le industrie dell'allevamento e del commercio di animali per individuare eventuali malattie emergenti». Anche Mark Oaten, amministratore delegato dell'International Fur Federation di Londra, che rappresenta gli allevamenti di oltre 40 Paesi, è convinto che «Gli allevamenti dovrebbero operare secondo i più elevati standard di biosicurezza».

Nel 2016, gli allevamenti europei hanno prodotto 39,05 milioni di pelli di visone, quelli cinesi 26,16 milioni, ma anche se la maggior parte degli allevamenti si trova in Europa e in Cina, l’allevamento da pellicce è un'industria globale.  Molti animali allevati per la loro pelliccia sono sensibili ai virus umani. All'inizio della pandemia di Covid-19, il SARS-CoV-2 si è diffuso negli allevamenti di visoni in tutta Europa. Oaten fa però notare che «Gli studi su queste epidemie hanno scoperto che gli allevatori non stavano guidando la diffusione del virus nella popolazione generale e che le misure di prevenzione e sorveglianza implementate dagli allevatori sono la migliore cassetta degli attrezzi per mitigare ulteriormente qualsiasi rischio per la salute pubblica generale».

Ma gli allevamenti di visoni hanno anche avuto focolai del virus dell'influenza aviaria H5N1 altamente patogeno e nel 2003 un altro animale da pelliccia, il cane procione  Nyctereutes procyonoides), potrebbe aver avuto un ruolo nel diffondere il virus che causa la sindrome respiratoria acuta grave alle persone. I cani procione sono anche  diffondere il SARS-CoV-2.

Il team di Holmes guidato anche da  Jin Zhao, Wenbo Wan e Kang Yu dell’università Fudan di Shanghai, Philippe Lemey della Katholieke Universiteit Leuven, John Pettersson della Uppsala universitet e Yuhai Bi dell’Accademia cinese delle scienze, ha cercato di identificare i virus che circolano negli allevamenti in Cina prelevando campioni di tessuto polmonare e intestinale da 461 animali morti tra il 2021 e il 2024. Di questi animali, 164 provenivano da 4 specie allevate esclusivamente per la pelliccia: visone (Neogale vison), volpe rossa (Vulpes vulpes), volpe artica (Vulpes lagopus ) e cane procione. Gli individui provenivano prevalentemente da allevamenti intensivi nella Cina nord-orientale. Il resto proveniva da animali d'allevamento e selvatici utilizzati per la pelliccia, nonché per l'alimentazione e la medicina tradizionale, diffusi più ampiamente nella Cina orientale. Tra questi c'erano porcellini d'India, cervi e conigli. Gli animali erano tutti malati ed erano probabilmente morti per una malattia infettiva.

I ricercatori hanno sequenziato l'RNA e il DNA nei campioni di tessuto e hanno trovato un gran numero di virus: in totale ne sono stati identificati 125, tra cui molti virus influenzali e coronavirus. Di questi, 36 non erano mai stati visti prima, e molti sono stati trovati in specie che prima non si sapeva che li ospitasseroi. Ad esempio, hanno trovato il virus dell'encefalite giapponese nelle cavie e il norovirus nei visoni.

I ricercatori hanno trovato un virus dell'influenza aviaria H6N2 in un topo muschiato (Ondatra zibethicus), la prima identificazione nota di questo sottotipo nei mammiferi. E, cosa ancora più degna di nota, hanno trovato nel visone un coronavirus simile all'HKU5, correlato a virus che finora sono stati identificati solo nei pipistrelli, «A dimostrazione del fatto che gli allevamenti di pellicce possono fungere da autostrada per i virus che si nascondono negli animali selvatici per arrivare alle person»e.

Michael Letko, virologo molecolare alla Washington State University – Pullman, ha detto a Nature che  «Questi virus sono quelli che mi colpiscono di più». Gli studi del suo laboratorio hanno dimostrato che alcuni virus HKU5 potrebbero essere in grado di adattarsi al recettore umano ACE2 per entrare nelle cellule, «Proprio come fanno certi virus, come SARS-CoV-2 -  sottolinea Letko - Sarà importante approfondire questi virus appena scoperti, per comprendere il loro rischio per altri animali».

A causa della loro capacità di saltare da una specie all'altra, lo  studio ha classificato più di 30 virus come i più preoccupanti. I cani procioni e i visoni trasportavano ciascuno 10 di questi virus ad alto rischio, il numero maggiore di qualsiasi altra specie.

Wang conclude: «I risultati devono essere corroborati da studi epidemiologici per valutare quanto siano diffusi i virus e da studi sulle infezioni in laboratorio, che possono dimostrare il rischio che questi virus infettino le persone. Anche senza queste prove, il rischio più elevato che un nuovo patogeno emerga nelle persone è nell'industria degli animali».

Redazione Greenreport

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