La biodiversità dipende da come si gestiscono le foreste: per la prima volta uno studio internazionale lo dimostra
Nei boschi in cui lo sfruttamento avviene con strategia a bassa intensità, l’ecosistema si mantiene in buona salute, mentre quando il procacciamento di legname avviene in modo più intensivo è inevitabile un calo della biodiversità. Lapalissiano? No, visto che c’è chi continua a sostenere che i due fattori non sono collegati, che non c’è rapporto tra i processi di deforestazione e il riscaldamento globale e amenità varie. E comunque ora, per la prima volta, c’è uno studio condotto su scala internazionale che dimostra la stretta connessione tra i metodi di gestione di boschi e foreste e la vitalità dei relativi ecosistemi.
All’indagine hanno preso parte 54 scienziati di 12 paesi europei, che hanno portato avanti per mesi una serie di attività sempre mantenendo una stretta collaborazione internazionale. A guidata il team sono stati l’Università di Roma Sapienza e il Centro di ricerche foreste e legno (Crea) di Arezzo. Alla raccolta dei dati e all’analisi dei risultati ottenuti hanno collaborato anche il Cnr, l’Eurac Research di Bolzano, l’Università dell'Insubria, quella di Sassari e quella di Padova.
Lo studio, appena pubblicato dal Journal of Applied Ecology della British ecological society, parte dall’assunto che la gran parte delle foreste europee sono attualmente sfruttate per la produzione di legname. «Nonostante l’importanza delle foreste anche nella lotta al cambiamento climatico, nessuno finora aveva indagato il rapporto esistente tra metodi di gestione delle risorse forestali e ricchezza e resilienza degli ecosistemi», sottolineano i ricercatori della Sapienza. Gli scienziati impegnati nell’indagine hanno allora effettuato dei prelievi a livello locale: 2107 punti di campionamento in 146 siti sparsi in tutta Europa, ognuno dei quali è stato associato ad una specifica strategia di gestione. Per ciascuna unità di campionamento è stata effettuata l’identificazione delle specie e la stima dell’abbondanza di piante presenti nel sottobosco. In seguito i dati sono stati inseriti su una piattaforma di gestione e l'armonizzazione delle informazioni raccolte ne ha permesso il confronto.
I risultati ottenuti dimostrano come le differenti metodologie di silvicoltura impattano sul sottobosco e sulle sue caratteristiche. In particolare, se le foreste non gestite presentano sia un sottobosco funzionalmente diversificato che ridondante, nel quale cioè specie diverse sono compresenti e svolgono funzioni simili, gli stessi effetti possono essere ottenuti attraverso strategie di gestione e sfruttamento a bassa intensità. Di contro, uno sfruttamento intensivo è associato a una diminuzione della diversità funzionale, soltanto parzialmente controbilanciata da un aumento della ridondanza funzionale. La conclusione dell’indagine: «Ciò implica che, sebbene la gestione intensiva possa mantenere le funzioni delle foreste in caso di perdita di alcune specie, con questo tipo di gestione viene anche fortemente limitata la gamma di risposte del sottobosco ai cambiamenti ambientali».