Aumentano i focolai di peste suina, ma per il Commissario «è un’ondata, esagerato definirla drammatica»
In Italia ci sono al momento 24 focolai di peste suina africana (Psa): 18 in Lombardia, 5 in Piemonte e uno in Emilia Romagna. Secondo il Commissario straordinario all’emergenza veterinaria, Giovanni Filippini, «bisogna essere prudenti, la situazione è complessa, ma definirla drammatica è esagerato». È così? L’epidemia già a metà luglio aveva fatto registrare alcuni casi di cinghiali infetti, oltre che nelle regioni del nord, anche in Liguria e Toscana. Poi alla fine dello stesso mese il virus aveva colpito anche diversi allevamenti di suini. Il ministero della Salute, a inizio agosto, ha inviato una nota alle regioni interessate dal problema sottolineando la necessità di «rinforzare il sistema dei controlli disponendo una serie di misure straordinarie». Ma pochi giorni dopo è arrivato un monito dalla Commissione europea: da Bruxelles veniva sottolineato che l’Italia non aveva messo in campo misure sufficienti per far fronte all’epidemia. Gli esperti della Eu Veterinary Emergency Team, dopo aver effettuato una missione in Lombardia ed Emilia Romagna, hanno messo nero su bianco che «la strategia di controllo» della malattia «nel Nord Italia deve essere migliorata». Nel report redatto all’inizio di agosto dall’organismo della Commissione Ue si cita anche la necessità di un piano «comune» e «coordinato» per l’intera area, oltre a un «urgente piano B esteso per il controllo e l’eradicazione della malattia». Anche perché, hanno scritto gli esperti incaricati di eseguire un monitoraggio di quanto stava avvenendo nelle nostre regioni settentrionali, «l’epidemia sembra avanzare più velocemente delle misure adottate» e «c’è da temere che si diffonda verso Est e Sud, verso la Toscana».
Ora è passato un altro mese e il nuovo Commissario straordinario alla peste suina africana Filippini (è arrivato a metà agosto, dopo che dall'emergere dei primi casi già altri due commissari si sono insediati e dimessi) dice all’agenzia di stampa Ansa che «è un’ondata epidemica» ed è naturale che ci sia «tantissima preoccupazione da parte di associazioni e allevatori, soprattutto di quelli che si trovano nelle zone di restrizione e sono soggetti alle misure e ai provvedimenti inserite nell’ultima ordinanza». Ma, fa sapere, al momento non verranno emesse nuove disposizioni. «Stiamo valutando i risultati notte e giorno - assicura il Commissario incaricato dal governo Meloni- in questo momento c’è molta attenzione da parte della struttura commissariale e da parte dei ministeri della Salute e dell’Agricoltura sull’evoluzione della situazione in quei territori. Dopodiché, sulla base di quello che sarà, siamo pronti a valutare la situazione e prendere anche ulteriori provvedimenti. È una situazione dinamica».
Effettivamente, la situazione è talmente dinamica che Confagricoltura fa sapere che secondo le stime fatte da Assica (Associazione industriali delle carni e dei salumi) il danno economico può essere valutato tra i 20 e i 30 milioni di euro al mese, il presidente della Federazione medici veterinari Lombardia, Gian Carlo Battaglia, dice «sia riconosciuto il lavoro aggiuntivo dei medici veterinari o sarà stato di agitazione», e Coldiretti chiede interventi urgenti per salvaguardare la filiera suinicola italiana, «un settore strategico per l’economia nazionale con un valore di circa 20 miliardi di euro e oltre 100 mila posti di lavoro coinvolti».
La peste suina africana è una malattia che, tra picchi e regressioni del morbo, è stata riscontrata in Italia due anni fa. Un aumento dei casi in animali selvatici è stato registrato tra metà primavera e l’inizio dell’estate, ma in questi mesi sono state adottate misure criticate anche da molte altre sigle e associazioni, oltre a quelle appena menzionate. L’aumento di soggetti abbattuti, l’ampliamento della stagione della caccia, la costruzione di trappole e barriere e altre misure messe in campo da governo o singole regioni per far fronte al problema sono state giudicate insufficienti tanto dalle forze di opposizione quanto dagli allevatori, dagli ambientalisti come dal personale veterinario. «Evidentemente l’approccio fin qui seguito, ovvero il ‘liberi tutti’ per i cacciatori appassionati di battute al cinghiale, si è dimostrato inefficace», scrive in una nota Legambiente Lombardia, «i casi negli allevamenti si moltiplicano, e si espandono dalla provincia di Pavia a quelle confinanti di Milano e Lodi, mentre nei boschi della Lombardia da tempo non si rinvengono, se non molto sporadicamente, carcasse di cinghiali positivi alla Psa, dopo il picco epidemico verificatosi in primavera». Ma se adesso è il momento di concentrarsi sul contenimento dell’epidemia, sottolinea il responsabile scientifico dell’organizzazione, Damiano Di Simine, «il dilagare della peste suina è la drammatica cartina al tornasole di un sistema agro-zootecnico insostenibile e, per questo, altamente vulnerabile». Comunque vada a finire, aggiunge l’esponente di Legambiente Lombardia, è il modello intensivo degli allevamenti nel suo complesso che va rivisto: «Deve finire la logica della concentrazione produttiva e dell’aumento numerico, che favorisce la creazione di grandi e grandissimi allevamenti di animali nutriti con mangimi di importazione».
Ci sarebbe anche da ricordare che l’attuale sistema di allevamento intensivo è responsabile del 25% dell’inquinamento atmosferico. Ma, per citare il Commissario straordinario Filippini, è meglio non esagerare.