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I risultati di uno studio internazionale a forte partecipazione italiana

Come la salinizzazione ha rimodellato radicalmente la biodiversità marina del Mediterraneo

5,5 milioni di anni fa solo l’11% delle specie marine sopravvissero al gigante del sale del Mediterraneo
 |  Natura e biodiversità

Nel corso della storia della Terra, I movimenti litosferici hanno ripetutamente portato all'isolamento dei mari regionali dall'oceano globale e a massicce accumulazioni di sale. Giganti di sale di migliaia di chilometri cubi sono stati trovati dai geologi in Europa, Australia, Siberia, Medio Oriente e altrove. All’università di Vienna ricordano che «Queste accumulazioni di sale rappresentano preziose risorse naturali e sono state sfruttate dall'antichità fino a oggi nelle miniere di tutto il mondo (ad esempio nella miniera di Hallstatt in Austria o nella miniera di sale di Khewra in Pakistan).  Il gigante di sale del Mediterraneo è uno strato di sale spesso un chilometro sotto il Mar Mediterraneo, scoperto per la prima volta nei primi anni '70. Si è formato circa 5,5 milioni di anni fa a causa della disconnessione dall'Atlantico durante la crisi di salinità del Messiniano». Il nuovo studio “The marine biodiversity impact of the Late Miocene Mediterranean salinity crisis”, pubblicato su Science da 29 scienziati di 25 istituti in tutta Europa di ricercatori guidato da Konstantina Agiadi dell'Universität Wien,  apre la strada alla comprensione del recupero biotico dopo la crisi ecologica nel Mar Mediterraneo di circa 5,5 milioni di anni fa ed è stato in grado di quantificare la perdita di biodiversità nel Mar Mediterraneo dovuta alla crisi del Messiniano e il successivo recupero biotico. 

Il team di ricercatori, che ha visto la partecipazione delle ricercatrici e dei ricercatori italiane/i  Elsa Gliozzi, Costanza Faranda (università Roma Tre), Francesca R. Bosellini (università di Modena e Reggio Emilia), Marco Taviani (ISMAR-CNR), Giovanni Bianucci e Alberto Collareta(università di Pisa), Francesca Lozar e Alan Maria Mancini  (università di Torino), Stefano Dominici (università di Firenze), Enrico Borghi (Società Reggiana di Scienze Naturali) e Angelo Camerlenghi (OGS Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale), evidenzia che «Solo l'11% delle specie endemiche è sopravvissuto alla crisi e la biodiversità non si è ripresa per almeno altri 1,7 milioni di anni».

Dopo diversi decenni di scrupolosa ricerca su fossili datati da 12 a 3,6 milioni di anni, rinvenuti sulla terraferma nei Paesi peri-mediterranei e in carote di sedimenti di acque profonde, il team ha scoperto che «Quasi il 67% delle specie marine nel Mar Mediterraneo dopo la crisi erano diverse da quelle prima della crisi. Solo 86 delle 779 specie endemiche (che vivevano esclusivamente nel Mediterraneo prima della crisi) sono sopravvissute all'enorme cambiamento nelle condizioni di vita dopo la separazione dall'Atlantico. Il cambiamento nella configurazione dei varchi, che ha portato alla formazione del gigante di sale stesso, ha causato brusche fluttuazioni di salinità e temperatura, ma ha anche modificato le vie di migrazione degli organismi marini, il flusso di larve e plancton e ha interrotto i processi centrali dell'ecosistema. A causa di questi cambiamenti, una grande percentuale degli abitanti del Mediterraneo di quel periodo, come i coralli tropicali costruttori di barriere coralline, si è estinta. Dopo il ricollegamento all'Atlantico e l'invasione di nuove specie, come il grande squalo bianco e i delfini oceanici, la biodiversità marina del Mediterraneo ha presentato un modello nuovo, con il numero di specie in diminuzione da ovest verso est, come accade oggi». 

Dato che i mari periferici come il Mediterraneo sono importanti hotspot di biodiversità, era molto probabile che la formazione di giganti di sale nel corso della storia geologica avesse avuto un grande impatto, ma finora non era stato quantificato. La Agiadi, del Dipartimento di geologia dell’università di Vienna,   sottolinea che «Il nostro studio fornisce ora la prima analisi statistica di una crisi ecologica così importante. Inoltre, quantifica anche per la prima volta le scale temporali di recupero dopo una crisi ambientale marina, che in realtà sono molto più lunghe del previsto: la biodiversità in termini di numero di specie si è ripresa solo dopo oltre 1,7 milioni di anni».

I ricercatori dell’università di Pisa hanno analizzato le evidenze paleontologiche dei popolamenti a squali e mammiferi marini del Mar Mediterraneo a cavallo di questo grande evento geologico Collareta fa notare che «Mentre il registro fossile, nel suo complesso, suggerisce un drastico impatto della Crisi di Salinità del Messiniano sulle forme di vita presenti nel Mediterraneo ,  i fossili di squali offrono delle informazioni diverse e complementari. In particolare, il rinnovamento faunistico che si osserva nel Pliocene Inferiore – con la comparsa nel Mar Mediterraneo di forme moderne come lo squalo bianco (Carcharodon carcharias) e il declino di altri predatori apicali più tipici del Miocene (ad esempio il famoso “Megalodon”) – riflette fenomeni evolutivi e turnover faunistici osservabili alla scala globale più che eventi relativi dalla portata regionale. In questo senso, il biota mediterraneo che rinacque dalle ceneri della crisi messiniana fu dunque necessariamente altro rispetto a quello che aveva caratterizzato il bacino nel corso del Miocene».

Bianucci osserva che «Una dinamica simile si osserva anche nell'evoluzione della fauna a cetacei del Mediterraneo con l'emergere e la rapida diversificazione dei delfini oceanici (famiglia Delphinidae) nel Pliocene Inferiore, come testimoniato da un eccezionale record fossile rinvenuto in Toscana, Piemonte ed Emilia-Romagna. Analogamente a quanto osservato per gli squali, la comparsa di forme moderne coincide con il declino di specie tipicamente mioceniche, come i grandi capodogli macropredatori. Il fatto che anche questo turnover tra i cetacei abbia avuto una portata globale suggerisce che la coincidenza temporale degli eventi non sia casuale: un fenomeno regionale, ma comunque catastrofico, come la Crisi di Salinità Messiniana, potrebbe infatti aver avuto ripercussioni su scala mondiale sugli ecosistemi marini».

I metodi utilizzati nello studio forniscono anche un modello che collega la tettonica a placche, la nascita e la morte degli oceani, il sale e la vita marina che potrebbe essere applicato ad altre regioni del mondo.

L’autore principale dello studio, Daniel García-Castellanos di Geosciences Barcelona - CSIC,, conclude: «I risultati aprono un sacco di nuove domande entusiasmanti: come e dove l'11% delle specie è sopravvissuto alla salinizzazione del Mediterraneo? In che modo le precedenti formazioni saline più grandi hanno cambiato gli ecosistemi e il sistema Terra?»

Queste domande attendono ancora risposte e alcune proverà a darle il nuovo Cost Action Network "SaltAges" che inizierà a ottobre, nel quale i ricercatori sono invitati ad analizzare gli impatti sociali, biologici e climatici delle età del sale.

Umberto Mazzantini

Scrive per greenreport.it, dove si occupa soprattutto di biodiversità e politica internazionale, e collabora con La Nuova Ecologia ed ElbaReport. Considerato uno dei maggiori esperti dell’ambiente dell’Arcipelago Toscano, è un punto di riferimento per i media per quanto riguarda la natura e le vicende delle isole toscane. E’ responsabile nazionale Isole Minori di Legambiente e responsabile Mare di Legambiente Toscana. Ex sommozzatore professionista ed ex boscaiolo, ha più volte ricoperto la carica di consigliere e componente della giunta esecutiva del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano.