L’insostenibile leggerezza degli escursionisti improvvisati nelle chiare e fresche acque interne
Ormai da diversi anni, durante l’estate, si è diffusa la consuetudine di svelare l’esistenza di luoghi incontaminati dell’entroterra invitando a frequentarli quale possibile alternativa a spiagge e coste, ormai superaffollate. Si tratta di ambienti lontani da una consistente presenza umana, non sempre facilmente raggiungibili, posti nei tratti più incontaminati dei torrenti e dei fiumi, dove l’acqua scorre con una limpidezza incredibilmente elevata, formando piscine naturali, cascate e forre.
Sono luoghi sicuramente allettanti, per la loro inusuale bellezza e per la freschezza delle acque, specie durante le giornate di estrema calura. Ma sono anche luoghi che, proprio per la loro unicità, dovrebbero essere visitati con grande rispetto. L’invito a frequentarli può partire Purtroppo qda periodici locali, estendersi ai social network, che ne amplificano a dismisura la diffusione, ed essere promosso da personaggi illustri che evidentemente, in piena buona fede, pensano così di valorizzarli.
Le location consigliate quale alternativa alla calura estiva si trovano di solito in ambiti molto isolati delle nostre acque interne, luoghi che fortuitamente si sono sottratti alla pressione antropica, ma quasi sempre caratterizzati da una elevata fragilità. Quando si prendono certe iniziative bisognerebbe quindi pensare anche agli effetti a cascata che le stesse possono produrre. Colpisce che si stimoli l’interesse per ambienti acquatici dove è chiara la mancanza del “suggello di balneabilità” garantito dagli enti preposti, come spesso viene esplicitamente evidenziato all’interno della notizia, o che si sottovaluti l’inevitabile assenza di sorveglianza e la scarsa sicurezza che oggettivamente certi ambienti possono presentare, specie se frequentati in modo errato.
Ma ciò che preme evidenziare con questo breve scritto è che non si prende in minima considerazione la risposta negativa che potrebbero dare alla potenziale frotta di escursionisti improvvisati. Non possiamo infatti paragonare la capacità di reazione (resilienza) che un tratto di mare affollato da centinaia di bagnanti può manifestare per ripristinare lo stato dei luoghi (anche se le reiterate e incrementate frequenze un po’ di rischio forse lo provocano), con quella espressa da brevi tratti fluviali, di dimensioni enormemente più ridotte e con tipologie di habitat ben diverse.
Pur trascurando le oggettive limitazioni rappresentate dalla logistica (per giungervi, almeno all’inizio, ci si muove con propri mezzi), che possono costituire un problema per l’equilibrio dei dintorni, sebbene la consistenza del flusso di visitatori sia molto più contenuta rispetto alla folla agostana delle spiagge, la risposta che scaturisce dalla forza mediatica dei social network può essere più che sufficiente a provocare effetti negativi sull’ecosistema acquatico che essi rappresentano. Soprattutto per le modalità di approccio con cui, in maniera disinvolta, ci si avvicina a questi habitat: l’entrata in acqua, spesso effettuata in compagnia di fidati animali o con le suppellettili tipiche dei vacanzieri, smuove ciottoli, massi, sedimento, intorbidando le acque, danneggiando la poca vegetazione acquatica, distruggendo letteralmente gli invisibili rifugi presenti tra gli anfratti del fondo, costruiti con l’operoso lavoro di minuscoli inquilini che con essi soccombono.
Non dobbiamo infatti dimenticare che, proprio per la lontananza dall’uomo, questi ambienti incontaminati e attraenti non sono soggetti all’impatto di “bagnanti” improvvisati che, inconsapevolmente, distruggeranno la vita che in essi alberga. Per le peculiari caratteristiche ambientali, essi ospitano una “élite” di specie acquatiche che pochi conoscono e che è esclusiva di questi reconditi habitat.
Solo esperti e frequentatori appassionati sanno infatti che lo scorrere dell’acqua dà origine a particolari nicchie ecologiche in grado di ospitare e sostenere una enorme varietà di piccoli animali. Una parte di essi vi trascorre l’intero ciclo vitale, come vermi, molluschi e crostacei, o magari una quota temporalmente predominante di esso, come la maggior parte degli insetti acquatici dai nomi più originali che, raggiunto lo stadio adulto, dopo mesi o anni di vita acquatica, riconquistano gli spazi esterni per riprodursi e, contemporaneamente, fornire energia, sottoforma di cibo, a tutti gli altri animali che frequentano l’ambiente fluviale. Plecotteri, efemerotteri, tricotteri sono tra gli ordini di insetti che più caratterizzano questi luoghi e che non ritroviamo affatto nei tratti più a valle dove, peraltro, la mano dell’uomo ha modificato drasticamente gli habitat fluviali, tanto da causarne spesso l’estinzione.
Un mondo ai più sconosciuto ma che rappresenta un supporto di vitale importanza per la vita dell’intero ecosistema fluviale. Non solo pesci, quindi, come più comunemente siamo abituati a credere, o anfibi, anch’essi comunque minacciati dall’eccessivo sovraffollamento, ma forme le più varie che rappresentano la vera ricchezza di biodiversità di quelle acque, troppo sovente trascurata. Una ricchezza inimmaginabile che in una giornata afosa estiva rischia di essere danneggiata irreparabilmente.
Allora, qual è il monito? Cercare strumenti di valorizzazione che, al contempo, proteggano e conservino questi scrigni di naturalità, non favoriscano visite incontrollate ma, come per molti altri ambienti naturali fragili, ne incentivino una frequentazione con presenze limitate e sotto la guida di esperti, pena il loro grave e irreparabile degrado.
di Gilberto N. Baldaccini