Salvare il paradiso tropicale
Oggi ad Antananarivo, la capitale del Madagascar inizia l’11esima conferenza delle parti (COP 11) della Convenzione di Nairobi e tra i punti all'ordine del giorno c'è il completamento di una strategia regionale per governare l'Oceano Indiano occidentale. La Convenzione di Nairobi, entrata in vigore nel 1996 e firmata da Comore, Francia, Kenya, Madagascar, Mauritius, Mozambico, Seychelles, Somalia, Sudafrica e Tanzania, punte a promuovere una regione dell'Oceano Indiano Occidentale prospera, con fiumi, coste e oceani sani. Fornisce una piattaforma per governi, società civile e settore privato per lavorare insieme per la gestione e l'uso sostenibili dell'ambiente marino e costiero e fa parte del Regional Seas Programme istituito dall’United Nations environmen programme (Unep). L’Ocean Governance Programme della Convenzione è il collante che tiene insieme il suo lavoro per la lotta al cambiamento climatico, contro la perdita di biodiversità e l'inquinamento. Grazie al progetto Sapphire finanziato dal Global Environment Facility (GEF), la Convenzione di Nairobi promuove anche riforme politiche e istituzionali per favorire la gestione sostenibile delle risorse e la governance degli oceani.
La regione, sulla quale si affacciano 10 Paesi, si estende dal Sudafrica orientale al Golfo Persico, e ci vivono circa 220 milioni di persone e innumerevoli specie marine, come squali e capodogli. Ma negli ultimi decenni, questo tratto prima incontaminato di oceano tropicale, che ospita alcuni degli ecosistemi con la maggiore biodiversità al mondo, è stato sottoposto a crescenti pressioni a causa dei cambiamenti climatici, della perdita di biodiversità, della sovra-pesca, dell'inquinamento e dei rifiuti.
Jared Bosire, responsabile della Convenzione di Nairobi, sottolinea che «Mentre le sfide ambientali che l'Oceano Indiano Occidentale deve affrontare sono simili a quelle di altre aree marittime, questa regione è altamente vulnerabile al cambiamento climatico a causa della sua posizione e della sua natura. Una cattiva gestione dei rifiuti e un'elevata dipendenza dalle risorse naturali primarie come motori economici aggravano ulteriormente queste sfide».
La Cop 11 si tiene mentre l'oceano si sta riscaldando più velocemente di qualsiasi altro tratto di mare, provocando spesso tempeste catastrofiche come il ciclone Idai nel 2019 e il ciclone Freddy nel 2023. Oltre a richiedere un pesante tributo umano, le tempeste hanno devastato ecosistemi costieri sensibili, tra cui barriere coralline e foreste di mangrovie. Il cambiamento climatico, in cui l'acqua più calda rende l'ossigeno meno solubile, rendendo quindi l'oceano più acido, limita la sua capacità di assorbire l'anidride carbonica che riscalda il pianeta dall'atmosfera.
Per contrastare queste minacce, la Convenzione di Nairobi sta sviluppando una strategia regionale per aiutare i Paesi a ridurre le loro emissioni di gas serra e supportare le comunità mentre si adattano al cambiamento climatico. In Kenya, ad esempio, l'Unep e la convenzione stanno sostenendo i cosiddetti progetti di Blue Carbon che aiuteranno a indirizzare i finanziamenti verso la protezione di migliaia di ettari di mangrovie.
L'Oceano Indiano Occidentale è ricchissimo di biodiversità ed è attraversato da rotte migratorie. Tuttavia, la pesca eccessiva e la distruzione di ecosistemi che sostengono la vita, come le mangrovie e le praterie di fanerogame marine, stanno minacciando questa biodiversità. Per contrastare questi pericoli, la Convenzione di Nairobi ha investito molto in progetti incentrati sul ripristino e la gestione degli ecosistemi. L'Unep e il Gef hanno collaborato insieme su molti di questi, tra cui uno sforzo per ripristinare le mangrovie in Mozambico e rafforzare il reddito delle comunità locali.
Il successo della Convenzione di Nairobi contribuirebbe notevolmente a garantire una reale attuazione e del Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework, l'accordo globale adottato nel 2022 nell’ambieto cella Convention on biological diversity e che stabilisce 23 obiettivi da raggiungere entro il 2030, tra i quali la protezione del 30% dell'oceano.
Con le sue bellissime isole, le acque calde e le spiagge incontaminate, non sorprende che molte delle aree costiere dell'Oceano Indiano Occidentale, come Mauritius e Seychelles, siano tra le destinazioni più gettonate per i turisti di tutto il mondo.
Ma proprio Maurituis è diventato l’esempio di quel che potrebbe succedere sempre più spesso: nell’agosto del 2020, la petroliera giapponese MV Wakashio naufragò sulla barriera corallina al largo del villaggio costiero di Mahébourg, si stima che circa 1.000 tonnellate di carburante siano fuoriuscite dalla nave danneggiata inquinando una laguna incontaminata e dove vivevano pesci, tartarughe e innumerevoli mammiferi marini. Mauritius è un piccolo Stato insulare nell'Oceano Indiano Occidentale, fortemente dipendente dal mare per la pesca e la sua economia turistica, dichiarò lo stato di emergenza perché il petrolio invase le spiagge e uccise la fauna selvatica. Qul naufragio e la successiva marea nera hanno messo evidenza quanto sia fragile l'Oceano Indiano Occidentale e i pericoli ambientali che deve affrontare.
Anche il sovraffollamento turistico, unito alla rapida urbanizzazione e industrializzazione, hanno portato a un aumento dell'inquinamento, in particolare di quello da plastica: nell’Oceano Indiano finiscono ogni anno circa 15 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica, rendendolo il secondo oceano più inquinato al mondo dopo il Pacifico settentrionale.
Per far fronte alla crescente minaccia di inquinamento e rifiuti, gli Stati della Convenzione di Nairobi hanno lanciato un progetto per ridurre gli stress terrestri proteggendo gli habitat critici, migliorando la qualità dell'acqua e gestendo i fiumi. Inoltre, la Convenzione ha supportato lo sviluppo di uno Strategic Framework on Water Quality Monitoring, una linea guida che è attualmente in fase di implementazione nei Paesi dell'Oceano Indiano Occidentale.
Leticia Carvalho, responsabile della Marine and Freshwater Branch dell'Unep. conclude: «I milioni di persone che chiamano casa le coste dell'Oceano Indiano Occidentale contano sul mare per il loro sostentamento, la sicurezza alimentare e il patrimonio culturale. Preservando la ricca biodiversità della regione, garantiamo la sostenibilità di queste risorse per le generazioni future».