Elefanti in movimento: mappare le connessioni nei territori africani
La salvaguardia degli elefanti è una delle principali priorità nell'Africa meridionale, ma la perdita di habitat e l'urbanizzazione fanno sì che i pachidermi che vivono in zone remote vengano sempre più confinati in aree protette come le riserve di caccia, con il rischio che queste popolazioni possano diventare geneticamente isolate, rendendo gli elefanti più vulnerabili alle malattie e ai cambiamenti ambientali.
Lo studio “Integrating habitat suitability modeling with gene flow improves delineation of landscape connections among African savanna elephants” pubblicato su Biodiversity and Conservation da un team dio ricercatori statunitensi e sudafricani dimostra come i responsabili della conservazione di un’area compresa nel territorio di 7 Paesi potrebbero creare e ottimizzare i corridoi per favorire gli spostamenti degli elefanti e fornisce una mappa che mostra le connessioni territoriali che sosterrebbero le esigenze di habitat degli elefanti e consentirebbero un maggiore flusso genico tra le popolazioni.
L'autrice principale dello studio, Alida de Flamingh dell’università dell’Illinois - Urbana-Champaign, ha sottolineato che «Altri team di ricerca hanno integrato dati genetici e spaziali in precedenza, ma di solito lo fanno su scala più locale. Il nostro è stato il primo a combinare entrambi i tipi di dati per gli elefanti dell'Africa meridionale in un'area geografica così vasta».
Gli elefanti africani hanno areali molto ampi, che si estendono fino a 11.000 chilometri quadrati, e spesso percorrono lunghe distanze per evitare habitat inadatti. Comprendere questa scala in un'unica analisi non è stata un'impresa facile. La de Flamingh conferma: «E’ stato uno sforzo enorme. Siamo usciti con i nostri partner della Conservation Ecology Research Unit dell’università di Pretoria (CERU)per raccogliere campioni di DNA non invasivi da escrementi di elefante in tutta la zona. La CERU ha anche fornito dati da localizzatori GPS su 80 elefanti con collare in circa 54.000 località».
I dati del collare GPS mostrano come gli elefanti si spostano nel territorio, ma non possono indicare se questi spostamenti apportano flusso genico. Invece, i dati del DNA documentano il flusso genico, ma non possono mostrare come gli elefanti si sono spostati per farlo accadere. L'integrazione dei due dataset ha richiesto un approccio di genetica del paesaggio.
Uno degli autori dello studio, Nathan Alexander dell’Illinois Natural History Survey, spiega che «La genetica del paesaggio adatta alcune idee dalla teoria dei circuiti elettrici per discutere di come gli animali potrebbero spostarsi e arrivare al flusso genico. Il nostro approccio esamina le resistenze o i costi che gli elefanti incontrano mentre si spostano lungo più percorsi attraverso la regione, tenendo conto della possibilità di perdere o guadagnare percorsi individuali».
I costi includevano pendii ripidi, aree sterili con poca o nessuna vegetazione, insediamenti umani densamente popolati e aree lontane dall'acqua. Per spiegare come gli elefanti potrebbero spostarsi nel loro habitat, I ricercatori hanno combinato queste sfide ambientali con i dati del DNA, identificando percorsi chiave per mantenere il flusso genico attraverso le aree protette.
La de Flamingh evidenzia che «Non abbiamo trovato una semplice relazione lineare in cui gli habitat più adatti sono meno costosi. Invece, abbiamo trovato un modello non lineare pronunciato in cui gli habitat meno adatti hanno il maggiore impatto sullo spostamento degli elefanti o sulla loro distribuzione nel territorio. Gli habitat intermedi non dettano necessariamente i loro spostamenti tanto quanto questi habitat molto inadatti. Questo, se ci si pensa è positivo. Sono tolleranti verso gli habitat intermedi e possono comunque spostarsi attraverso di essi».
Ma come si individua habitat molto inadatto per gli elefanti? I ricercatori hanno identificato aree come le saline di Makgadikgadi, prive di vegetazione, in Botswana, così come insediamenti umani densamente popolati e dicono che «Fornire connessioni per gli elefanti che evitano queste aree ridurrà anche il conflitto tra uomo ed elefante, una minaccia a parte per gli elefanti.
La de Flamingh è convinta che «Le informazioni ricavate da questo studio possono aiutare le autorità governative e le ONG dell'Africa meridionale a sviluppare solide iniziative di conservazione sul campo». ha L'autore senior dello studio, Al Roca, professore di scienze animali all’università dell’Illinois, conclude: «L'Africa meridionale ha il più grande numero di elefanti di tutta l'Africa. Quindi qualsiasi sforzo di conservazione lì, specialmente quelli che evitano il conflitto uomo-elefante, proteggerebbero popolazioni piuttosto grandi di elefanti. I nostri partner al CERU, così come i nostri finanziatori, l' International Fund for Animal Welfare e l'African Elephant Conservation Fund dell'US Fish and Wildlife Service , sono davvero fondamentali in questi sforzi».
Lo studio è dedicato alla memoria del coautore Rudi van Aarde, che ha avuto un ruolo determinante nel suo avvio come capo del CERU, e che è scomparso mentre la ricerca era in corso.